PERSONAGGI. La scomparsa di Piero Signorelli.
Cominciammo a parlare della Resistenza nel 2012. Lui, Piero Signorelli, vicecomandante della banda partigiana di Monte S. Maria Tiberina, aveva allora 87 anni, una mente lucidissima e un fisico ancora scattante. Mi disse: “Vorrei fare una bella camminata dal Monte ad Arezzo, ma non trovo nessuno che viene con me”. Piero è deceduto pochi giorni fa. Era l’ultimo partigiano dell’Alto Tevere umbro ancora vivente.
Ebbi la fortuna di parlarci spesso. Mi guidò in alcuni sopralluoghi sulle alture della Resistenza tra Umbria e Toscana, a Marzana, Muccignano e Meone, raccontandomi tanti dettagli della lotta alla macchia: «Qui morì Calagreti per una scheggia di granata»; «lì ho sparato a un tedesco, ricordo ancora i suoi denti bianchi e il suo elmetto che rotolava»; «lassù tenevamo i tedeschi prigionieri»; «su questo pendio si andava di pattuglia, tenendoci a mezza costa per avere sempre una via di fuga, se attaccati»; «qui m’hanno sparato i fascisti; ho ancora la pallottola conficcata nella spalla».
Signorelli è stato un partigiano “vero”, un combattente; gli venivano affidate operazioni rischiose anche fuori della valle. «Non tutti i giovani alla macchia – ammetteva – erano portati per la guerra. Magari erano bravi per fare le pattuglie o le sentinelle, o come informatori, o per compiti meno pericolosi. Comunque facevano comodo anche loro». Per combattere per davvero ci voleva il giusto carattere. Signorelli l’aveva. Non ha esitato a sparare contro il nemico, più volte. Non amava le armi: tuttavia, disse sornione, «devo ammettere che mi hanno fatto comodo».
Era tutt’altro che un rivoluzionario. Coltivatore diretto, lottò con convinzione al fianco di altri coetanei contadini per liberare l’Italia dalla dittatura fascista e dall’occupazione tedesca. Ribadiva sempre che loro, giovani, erano digiuni di politica, inesperti. Era fiero di essersi ribellato a quella dittatura che aveva plasmato il loro modo di pensare e che aveva condotto l’Italia alla rovina. Raccomandava sempre di continuare a mantenere alta l’attenzione, perché le dittature possono risorgere, e di non disperdere il patrimonio di unità antifascista ereditato dalla Resistenza. ◘
di Alvaro Tacchini