TUTELA AMBIENTALE. La speculazione mette a rischio i boschi altotiberini. Colloquio con Sauro Presenzini, ex Guardia forestale.
Non solo il fuoco minaccia il patrimonio boschivo nazionale, specialmente nei periodi estivi, ma anche il taglio sconsiderato con cui si diradano le colline di gran parte del Bel Paese, per trarne vantaggi economici. L’economia della legna da ardere, come ogni forma di economia, tende a fare profitto senza preoccuparsi di tutelare la natura. La legge del “mercato” anche in questo ambito impone la sua logica. Le Comunità Montane ora smantellate, e oggi l’Afor (un altro carrozzone regionale), non hanno mai messo fine a questa logica, ovvero a un uso giudizioso. Continuano a farlo in maniera organizzata, come ieri, afferma Sauro Presenzini, Coordinatore regionale delle Guardie giurate del WWF Italia. «Il problema, aggiunge Presenzini, è che in Umbria abbiamo bosco in quantità ma non di qualità, cosa che per la verità riguarda un po’ tutta Italia». «Non abbiamo più bosco di alto fusto, perché il naturale interesse dei proprietari non è quello di avere legno per fare mobili, imbarcazioni o altri usi pregiati per i quali occorrerebbe avere un bosco maturo di età non inferiore ai 60 anni, semplicemente perché un proprietario non può attendere l’arco di una vita per realizzare guadagni su questo bene. Quindi si preferisce avere un guadagno minore, con una prospettiva di corto respiro».
«Nessuno ha più interesse ad avere boschi di castagno, di noci, di querce, vuoi perché le traversine ferroviarie ormai si fanno in cemento, vuoi perché le imbarcazioni di pregio non si fanno più con legno pregiato ma in ferro, quindi non c’è più richiesta di mercato in settori una volta privilegiati. Anche i mobili adesso si fanno, come Ikea ad esempio, con truciolare pressato» aggiunge Presenzini, qualsiasi sia la marca di questo segmento di mercato. «L’unico inserto di legno può eventualmente essere solo lo sportello. Quindi la tipologia di legname che oggi interessa è la legna da ardere e per fare il pellet». È il mercato a dettare le regole, i proprietari dei boschi chiedono di «ridurre turni di taglio. Oggi un bosco ceduo, secondo le diverse essenze, è pronto per essere tagliato dopo 20-25 anni». Anche l’uso dell’essenza arborea per alimentare le biomasse di ecologico, di sostenibile, di rinnovabile non ha assolutamente nulla: «Il cosiddetto ciclo chiuso non esiste: chi vuole fare una centrale a biomasse deve avere un’azienda di proprietà e che utilizza questo materiale come scarto di altre lavorazioni e pertanto può riutilizzarlo all’interno del suo ciclo produttivo». Se invece la si fa venire da fuori, da lontano, afferma Presenzini, questa convenienza non c’è più. «A meno che, la scusa di produrre biomassa serva a nascondere altro, come ultimamente sta emergendo; avendo dichiarato le biomasse assimilabili ai rifiuti, esse si trasformano in mini inceneritori».
Il taglio del bosco dovrebbe rispettare la logica della rotazione come avviene in agricoltura. «Un taglio sostenibile, certificato, ecologico di una porzione di superficie alberata dovrebbe essere fatto per porzioni di bosco, in modo da creare una specie di rotazione che in 60/70 anni possa consentire la crescita di nuova essenza arborea». Ma ciò non avviene, spiega Presenzini, perché «abbiamo un patrimonio boschivo parcellizzato, con una serie di micro-proprietari (che va da un ettaro, a dieci e così via), i quali pensano ognuno ai propri interessi. Se un proprietario vende il taglio di 100 ettari di bosco, l’acquirente ha interesse a tagliare più legna possibile nel minor tempo consentito per rientrare nelle spese. Questi due interessi non sono sovrapponibili all’interesse ecologico di un bosco sano». Esiste ancora la legge che impone di lasciare 110 matricine (piccoli virgulti che vengono piantati per rigenerano l’essenza arborea), cosa che normalmente avviene, «Il problema, dice Presenzini, è che non sono inidonee a colonizzare il terreno che è stato disboscato, perché sono di bassa qualità. E i controlli si sono molto affievoliti».
Quando si parla di bosco si pensa sempre a un suo uso economico, «ma il nostro è un Paese fragilissimo da un punto di vista idrogeologico, con un territorio esposto alle intemperie, alle frane, alle alluvioni, che ha interesse a mantenere un patrimonio arboreo consistente, perché gli apparati radicali degli alberi impediscono anche l’erosione, il dilavamento ecc.». Se si guarda all’uso di questo bene solo con l’ottica economica, non solo si mette a rischio la tutela ambientale, «ma si favoriscono anche quei fenomeni di sfruttamento della manodopera che, come in agricoltura, vedono l’impiego crescente di extracomunitari, privi di tutele, senza contratti, senza diritti. Il “motoseghista” che ha affittato il bosco, ha ovviamente l’interesse a tagliare più legna possibile, per rientrare dalle spese». ◘
Redazione