Ernesto Balducci e la modernità

Stampa

silvia romano2

Bruna Bocchini Camaiani è stata docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea all’Università di Firenze.

Lei ha potuto studiare da vicino, attraverso una ricerca d’archivio, il percorso intellettuale e spirituale di Ernesto Balducci. Cosa La colpisce della sua figura?

«Io credo che la sua caratteristica centrale fosse quella di saper cogliere con molta lucidità le linee del pensiero e le aspettative della società contemporanea, leggendole alla luce della Parola. Un’espressione che ripeteva spesso era quella di Barth: ‘La Bibbia e il Vangelo’. Già nel seminario romano, dove gli studi risentivano fortemente delle censure derivanti dalla lotta antimodernistica e avevano un’impostazione esclusivamente apologetica, aveva incontrato chiusure e incomprensioni. I suoi diari rivelano una ricerca autonoma e parallela, che aveva alcune analogie con le linee di ambienti intellettuali cattolici. Anche per i modelli spirituali cercava fonti autonome, meno devozionali e più aderenti alle fonti scritturali, criticando le cosiddette virtù “passive”; infatti, pur accettando la regola dell’obbedienza, alla quale si sottometteva anche con sofferenza, non rinunciava alla libertà di giudizio, non seguendo l’obbedienza del giudizio e della volontà.

Ma poi dopo la sua ordinazione e l’arrivo a Firenze iniziava una “vita nuova” e libera sul piano dello studio, della ricerca e dell’azione pastorale. Diventava uno dei collaboratori più stretti di La Pira, condividendo il suo impegno sociale, in particolare con le lotte sociali contro i licenziamenti in massa nelle fabbriche fiorentine, come ‘La Pignone’, che provocavano scontri con la Confindustria sostenuta da molti giornali come “La Nazione” e “Il Corriere della sera”. Altro impegno centrale, come collaboratore di La Pira, era quello per la pace, con i ‘Convegni per la pace e la civiltà cristiana’, aperti negli anni della guerra di Corea, che cercavano di aprire un dialogo con i paesi dell’Est o almeno evitare quella logica del modello della Cristianità che identificava Cristianesimo e Cristianità e impediva ogni reale dialogo. Attraverso quei convegni i relatori proponevano le linee e le distinzioni ispirate a Maritain tra Chiesa, Cristianesimo e civiltà, proponendo un dialogo tra est ed Ovest, tra Nord e Sud del mondo.

Balducci negli anni Cinquanta seguiva con molta passione le linee della filosofia francofona che poi avrebbe trovato ascolto e sviluppo nel Concilio. Nel 1963 difendeva la posizione di Gozzini, il primo obiettore cattolico italiano, criticandone la condanna e fu a sua volta condannato con la motivazione di aver sostenuto tesi non accettate dalla Chiesa. Questo nonostante la Pacem in terris e il dibattito conciliare».

Balducci ha vissuto con grande speranza la stagione del Concilio. La sua produzione letteraria è stata molto intensa, seguita da un periodo di Esodo. Cosa è accaduto in questi anni nella Chiesa e nella società?

«Al Concilio i vescovi italiani sono arrivati del tutto impreparati, erano nella quasi totalità scelti con criteri di assoluta uniformità alle direttive della Curia romana. Le novità delle tematiche teologiche ed ecclesiologiche venivano proposte dai vescovi e teologi francofoni, tedeschi e americani, questi in particolare sui temi della libertà religiosa. Tra i vescovi italiani erano protagonisti Montini, Lercaro, che aveva come consultore Dossetti, e Siri che era presidente della Cei e rigidamente conservatore. I documenti conciliari sono molto importanti, in particolare la Dei Verbum sulla Parola di Dio, quello sulla liturgia, quello sulla libertà religiosa e quello sull’ecumenismo e la Nostra Aetate sulle religioni non cristiane che segnava una svolta molto importante sui pregiudizi anti ebraici e sulla condanna dell’antisemitismo.

Nel post-Concilio Paolo VI cercava una via di mediazione tra i conservatori e progressisti, scegliendo alla fine una linea moderata che prevedeva una certa continuità. In particolare i vescovi italiani erano molto legati alle sorti della Dc e continuavano, nonostante il Concilio, a chiedere il voto dei cattolici per la Dc e a interferire pesantemente nelle scelte politiche. Nel 1968 Paolo VI si mostrava molto timoroso delle contestazioni e interveniva con giudizi di censura. Un momento forte di contrapposizione si aveva con la promulgazione della Humane vitae che rifiutava gli anticoncezionali chimici (la ‘pillola’), sostenendo la scelta dei conservatori, nonostante il parere contrario di numerosissimi vescovi europei e americani e proteste anche di episcopati. Un momento di grande opposizione si aveva poi in Italia con il referendum sulla legge relativa al divorzio, con la gerarchia schierata con forza insieme a Comunione e Liberazione contro la legge e un movimento di laici, anche molto autorevoli, che dichiaravano la loro posizione a sostegno della legge per rispetto dello Stato laico. Referendum che, come è noto, vide una grande maggioranza a favore della legge. Analogamente, con Giovanni Paolo II si sarebbe verificato un divario profondo tra le opinioni dei cattolici e le richieste della gerarchia nel referendum sulla legge 194 relativa all’aborto nel 1981. Con i pontificati di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI queste linee di continuità preconciliari si sono accentuate tanto che si è in più occasioni parlato di uno “scisma sommerso”. Solo con papa Francesco si è tornati davvero a riproporre il Concilio e il Vangelo in primo luogo anziché la tradizione metafisico-teologica».

Balducci è stato un uomo della Parola. Qual è stato il rapporto tra messaggio evangelico e cultura moderna?

«Questo è il nodo centrale della sua riflessione e azione pastorale, come lui stesso affermava. “L’indefessa missione di annunciatore della Parola nel contesto dell’Eucarestia è stato il filo conduttore della mia vita che non si è mai spezzato”. Anche nelle riflessioni e nel leggere la Storia della Chiesa e della società evidenziava la continuità tra tempo sacro e tempo profano, con la necessità dell’ascolto, del vivere la storia per ascoltare “la voce di Dio”. Di qui anche la necessità di rivedere criticamente tante tradizioni, ecclesiologiche, teologiche e devozionali, per ripensarle con maggiore aderenza alla Parola di Dio e alle attese degli uomini».

Balducci è stato sempre fedele alla sua identità sacerdotale. Quali sono stati i punti di frizione con l’autorità ecclesiastica?

«Sono molti i momenti di difficoltà e in gran parte dovuti alle scelte politiche. Negli anni Cinquanta la collaborazione stretta con La Pira è all’origine del trasferimento a Frascati di Balducci, come dell’allontanamento di Turoldo e Vannucci da Firenze e del ‘promoveatur ut amoveatur’ di Bartoletti a Lucca. Un periodo successivo di crisi ripetute è quello del post-Concilio quando la Curia romana vedeva in Balducci l’alfiere della contestazione a aveva aperto diverse indagini nei suoi confronti. Paolo VI complessivamente aveva un atteggiamento di stima che evitò decisioni severe. Ma Balducci, pur obbedendo a tutte le censure, non rinunciava a esprimere i suoi pareri con libertà. In particolare era severo il suo giudizio sull’allontanamento delle prospettive conciliari. Questa constatazione era dovuta, secondo Balducci, a una prospettiva “ecclesiocentrica”, che giudicava il mondo sempre a partire dalle prospettive ecclesiastiche. Allora negli anni Settanta egli abbandonava quelle battaglie per una riforma della Chiesa, che lo avevano contraddistinto per tutta la vita. Egli sceglieva allora una prospettiva ‘antropologica’, che partisse dall’esigenze degli uomini, dei poveri in primo luogo, sul modello della chiesa latinoamericana, lontano dalle tesi teologico-metafisiche della teologia tomista».

Balducci ha tentato nuove vie di presenza religiosa ed ecclesiale ma sempre con fedeltà critica. La sua presenza è stata veramente accolta?

«Balducci è stato molto a lungo dimenticato dalla Chiesa italiana, tutta incentrata su prospettive di restaurazione relative ai temi “non negoziabili”. Solo con il pontificato di Francesco e il ritorno delle prospettive del Concilio si è vista anche una rinnovata attenzione. Significativo che le Edizioni San Paolo abbiano iniziato dal 2017 la ripubblicazione di tutte le sue opere, che sono anche state portate al pontefice». ◘

di A.R.