Venerdì, 19 Aprile 2024

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Dalle omelie inedite di Ernesto Balducci

panikkar

…Ritorniamo con umiltà a queste parabole del regno perché esse offrono una sapienza che non è riservata soltanto ai credenti, ma è riservata a tutti. E infatti quanti non erano nel gruppo dei discepoli, l’hanno capita. Gesù parlava di queste cose, ma fra i suoi discepoli c’era chi aveva la spada nel fodero e molti di quelli che non erano del gruppo hanno capito. Forse in un consuntivo che nel futuro dovrà essere fatto - adesso è perfino difficile immaginarlo - si potrà anche dire che il Vangelo ha prosperato là dove non è stato predicato, e si è corrotto là dove è stato predicato. Forse il Vangelo della non-violenza aveva le sue sedi predisposte in un mondo lontano da quello dall’impero romano che stritolò i cristiani e poi apparentemente ne fu sconfitto. In realtà fu lui a sconfiggerli in quanto li fece uguali a sé e portò i cristiani ad accettare la guerra come mezzo efficace per raggiungere il fine. Questo è il dramma della storia che si apre dinanzi a noi, appena lo guardiamo.

Allora mi viene a mente, e non in un taglio consolatorio, questa semplice parola di Gesù: “Non tutti possono capire”; e non perché ci sia una discriminazione da parte di Dio, ma perché chi ha reso il suo spirito omogeneo a questo mondo non può capire. Coloro che per professione sono quelli che capiscono non possono capire; i piccoli e i semplici, che non sono del tutto integrati nella robusta sapienza istituzionale, possono capire. Così fu e cosi è sempre. Che il regno di Dio debba insediarsi in questo mondo come un grande impero lo pensarono i cristiani corrotti dalla volontà di potenza, ma forse il cristianesimo fino alla fine dei tempi non sarà che un granello, non sarà che una manciata di lievito e forse niente altro. Non si obbiettiverà mai in vere istituzioni, perché una istituzione che nasce ha come sua prima preoccupazione quella di salvare se stessa e così si mette fuori del regno di Dio, dove è legge morire. Il seme che non muore non dà frutto, ma le istituzioni, anche quelle ecclesiastiche, non vogliono morire e perciò non danno frutto.

Ecco, forse questo è il mistero che sfioriamo quando tocchiamo queste parole del Signore apparentemente antiche, lontane e innocenti. Esse invece ci assediano, entrano in noi come una spada a doppio taglio, ci fanno capire che o scegliamo i mezzi omogenei al fine oppure saremo stritolati. Il regno di Dio è anche il regno del giudizio di Dio, che ha per noi forme ben chiare! Io penso che questa sapienza evangelica non è affatto decaduta. Apparentemente è alle nostre spalle, ma appartiene all’oggi. Apriamo gli occhi e vediamo che è come una gemma che sboccia oggi perché oggi più che ieri noi ci dobbiamo domandare con quali mezzi potremmo realizzare il regno della pace. Gesù ce lo ha detto: “non ci affidiamo ai potenti, non ci esaltiamo degli alberi verdi perché domattina saranno secchi”. Teniamoci l’animo disposto a questo e scegliamo personalmente la forza che non stritola nessuno, ma che vuole essere soltanto una potenza suscitatrice di coscienze. L’unica via per cui si trasmettono ideali senza umiliare e annientare nessuno è quella con cui una fiamma accende una fiamma, con cui il polline feconda i fiori: con la mitezza, con la spontaneità dell’amore e con questa grande fede. Certo ci vuole fede. Credere vuol dire esser certi che si avvererà quello che secondo la logica costituita non potrà mai avverarsi. Noi dobbiamo vivere con questa fede nel futuro dell’uomo e nel futuro di Dio, con la tribolazione del conflitto fra i mezzi e il fine che vi ho descritto.

di Raimon Pnikkar


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