Politica.
«O noi o Meloni», parola di Enrico Letta, ex giovane Dc, allievo del fu ministro Andreatta apripista del neoliberismo in Italia, ex prodiano, ex margheritino, ex europarlamentare, ex premier, ex professore di scienze politiche a Parigi, quasi ex tutto, inopinatamente catapultato alla segreteria del Pd di cui non era tesserato da 7 anni. E Giorgia Meloni? Da sempre ammiratrice del repubblichino Giorgio Almirante, di cui, nomen omen, ha ereditato il nome di battesimo, ex militante finiana del Msi-Dn, poi di An, ex ministra della Gioventù del IV governo Berlusconi (votò in Parlamento per Ruby Rubacuori nipote di Mubarak), deputata per 4 legislature, dal 2014 presidente di FdI.
Chi dei due è il nuovo? Nessuno, ambedue legati dal cordone ombelicale a un passato che non passa. In mano a Letta o Meloni, l’Italia sarebbe governata dal deja vu, dagli ex, spesso ex di quasi tutto, come provato da alcuni candidati ministri e nomi in lista: Casini, Franceschini, Cottarelli, Di Maio da una parte, Tremonti, Giorgetti, Bossi e il Caimano dall’altra. E poi perché l’antitesi bipolare Letta-Meloni? Non è una stortura propagandistica per suggerire un improponibile «voto utile»? Non due sono i «poli» in campo, ma quattro, anzi cinque, per chi vuole e sa contare, e di cui, stando ai sondaggi, i 5S sono il «terzo polo» e Azione-Iv il quarto, e non viceversa, come perlopiù declamano tv e stampa, di fatto falsificando le carte in tavola.
E poi, l’antitesi rimanda almeno a un diverso e inconciliabile programma economico-sociale? Mi pare di no. A saldo della propaganda elettorale per gonzi (il milione di posti di lavoro, rinverditi dal milione di nuovi alberi), il programma neoliberista (l’«Agenda Draghi»), con alcune differenze marginali è comune a entrambi gli schieramenti: «Sì» incondizionato al mercato, alla Confindustria, alle élite capitalistico-finanziarie europee e globali; il «No», dichiarato o camuffato, al Rdc e al salario minimo ne è la controprova. Semmai, qui la differenza non è tra Letta e Meloni, ma tra loro, compreso il duo cabarettistico Calenda-Renzi, da un lato, e dall’altro Conte, i cui famosi 9 punti non sono certo sgraditi a De Magistris, che non a caso ai 5S aveva proposto, ma inascoltato, un accordo elettorale. E comunque, data la gravità della crisi energetica e dei consumi, se il Cd vorrà governare, dovrà sottoporsi volente o nolente ai diktat di Madame Lagarde, della Bce, e a quelli del Fmi. Altrimenti, il dio spread li (e ci) metterà in ginocchio. Grecia docet.
E le loro rispettive posizioni sulla guerra in Ucraina? Lo schema binario lettiano «o con Putin o con l’Europa» è irricevibile, sia perché l’intero Cd è oggi, come i centristi Letta Calenda Renzi, contro Putin, per l’invio di armi a Zelensky e per il riarmo dell’Italia e dell’Europa, sia perché professa oggi apertamente (e Meloni più di tutti) la sua fede filo-euroatlantista, cioè filo-Usa, cioè bellicista. Tutti per l’escalation militare, a ogni costo, inanimati megafoni di Biden e Zelenski, per i quali dissennatamente la salvezza dell’Ucraina e dell’Impero vale la fine atomica del mondo, quindi anche dell’Ucraina e dell’Impero. L’Ue, la cui attiva e lungimirante mediazione poteva prima evitare la guerra, e poi ottenere ancora la possibile pacificazione sulla base di un’Ucraina indipendente e neutrale, ha scelto invece sadomasochisticamente la cobelligeranza con Biden e Zelenski, con una raffica di sanzioni economiche antirusse. E ora si inalbera per le contro-sanzioni di Putin, tra cui la riduzione fino alla prevedibile cessazione della fornitura del gas, da cui continua a dipendere l’economia e il benessere europeo. E che si aspettava, baci e abbracci?
L’antitesi Meloni-Letta vale, infine, se interpretata in chiave fascismo-antifascismo, ovvero tra chi attacca da Destra e chi difende da Sinistra la Costituzione antifascista? Varrebbe se Letta e il Pd difendessero davvero la Costituzione. Dopo il tentativo fallito del Cd caimanizzato di stravolgerla, nel 2006, ci fu nel 2016 quello di Renzi, il quale tuttora fa eco a Soy Giorgia con il richiamo al «Sindaco d’Italia». Lo stesso premier Letta «stai sereno» aveva tentato nel 2013 di por mano a una riforma in tal senso. Ergo, quale antitesi? Forse sì, una differenza c’è: il polo lettiano è per i diritti civili (ius scholae, ius soli, Lgbt, ecc.), mentre quello di Cd è ostile. Ma la Costituzione prevede innanzitutto, dal suo primo articolo, i diritti sociali, senza dei quali i primi sono o vuoti o validi soltanto per i benestanti delle note Ztl. Una Costituzione dimezzata è una Costituzione tradita!
Il ventilato presidenzialismo di Meloni Salvini Berlusconi – che è l’estremo frutto avvelenato di una lunga storia itali(di)ota, che comincia negli anni Novanta con Craxi e Segni, e a cui non fu estraneo né l’Occhetto ex comunista del Pds, fautore dell’«elezione diretta del premier», né il D’Alema inciucista della Bicamerale – forse non sarà imposto formalmente dal Cd, pur con i supposti 2/3 di voti. Troppo complicato l’iter istituzionale tra agognati «pieni poteri» da mojto (a chi? al Presidente della Repubblica o del Consiglio) e resa dei conti col Parlamento e l’opposizione, con la Magistratura e le Forze armate, con i Sindacati e la società civile, con la libertà d’espressione e organizzazione, ossia con la noiosa pelosa questione della «divisione o equilibrio dei poteri» e del pluralismo democratico. Meglio un presidenzialismo di fatto, sulla strada già tracciata da Berlusconi, anzi da Craxi a Draghi, che, ancor più oggi col pretesto dell’emergenza, metta definitivamente ai margini le legittime funzioni e cariche costituzionali. Un malaugurato esito che, se ci sarà, sarà infine anche storico altisonante (de)merito della demenziale campagna elettorale dello pseudo-stratega Letta, che a un possibile vincente «campo largo» anti-destre, dal Pd ai 5S a De Magistris (Prodi non si alleò per due volte con Bertinotti?), ha preferito le forche caudine di Pd-Verdi-Su. ◘
di Michele Martelli