Martedì, 12 Novembre 2024

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Inchiesta ANZIANI. TESTIMONIANZA: vorrei tenere mio padre a casa, ma non posso....

silvia romano2

Mio padre ha 94 anni e soffre di una forma di demenza senile. Vorrei accompagnarlo alla sua fine tenendolo vicino a me, con l’aiuto di assistenti esterni, poiché da sola non potrei materialmente sostenere un lavoro per 24 ore al giorno, per 7 giorni alla settimana… ecc. Vivo da sola e posso contare soltanto su qualche visita dei miei fratelli per poche ore alla settimana.

L’assegno di accompagnamento e i tre giorni al mese di astensione dal lavoro (legge 104), concessi dalla Legge, non sono assolutamente adeguati ad affrontare i tanti problemi che la malattia e l’anzianità comportano. Lavoro come docente nella scuola dell’infanzia: pur avendo diritto a questi giorni di permesso scelgo di non usufruirne, perché di fatto non vengo sostituita; non trovo giusto che il mio diritto vada a ricadere a svantaggio di altri: in questo caso parliamo di bambini e di colleghi. Certo, con l’assegno di accompagnamento si può pagare “la badante”, cioè un’assistenza del tutto privata, ma trovarne una “giusta”, è veramente una fortuna, una specie di “terno al lotto”.

Tutti sanno che queste donne, che provengono da altri Paesi, sono persone che hanno alle spalle situazioni economiche e famigliari difficili, che decidono per qualche anno di fare un lavoro di grande sacrificio, lasciando la loro terra e gli affetti più cari per cercare di migliorare la propria vita e quella delle loro famiglie. È in atto da molti anni ormai una specie di pellegrinaggio di persone, di cui la maggior parte è senza nessun tipo di qualifica a trattare gli ammalati, specialmente questo tipo di malattia. Solo a poche famiglie capitano persone coscienziose, oneste e capaci!

A volte si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcuno che cerca il minimo sforzo e il massimo profitto, che rivendica a ogni respiro i propri diritti, senza essere disposto ad affrontare con altrettanto rigore i propri doveri. Spesso una parte di queste lavoratrici, che non vogliono lavorare in regola per una precisa convenienza economica, sono pronte a ricattare i datori di lavoro su questo punto, minacciando denunce attraverso il ricorso ai sindacati, che le sostengono a spada tratta, in caso di conflitto.

Ma le famiglie già dilaniate dalla malattia dei loro cari chi le sostiene? Appena ci si trova impossibilitati a far fronte alla invalidità del famigliare anziano, si diventa “prigionieri” di un sistema sanitario assente, oppure di una badante che chiede aumenti non previsti per ogni minimo peggioramento del malato, oppure che se ne va da un giorno all’altro per un ammalato migliore o per una località migliore…, al punto che si cerca e poi si prende in casa la prima persona disponibile che si trova.

lo stato assente altrapagina mese settembre 2022 1Tutto questo accade più o meno alla luce del sole. Le istituzioni politiche, il Ministero del lavoro sono a conoscenza del lavoro approssimativo e per lo più “nascosto” delle badanti. E che cosa fanno per rendere questo lavoro qualificato, pagato e tassato legalmente?

Anche considerando che da un punto di vista economico per lo Stato il ricovero di un anziano non autosufficiente in una struttura ha sicuramente un costo molto più elevato rispetto alla degenza in casa, si può pensare a un intervento pubblico per migliorare la gestione di questo problema? Si potrebbero formare le attuali badanti e anche i giovani disoccupati, coloro che godono del reddito di cittadinanza per esempio (e che abbiano i requisiti minimi indispensabili) e assegnare loro una qualifica professionale? Si potrebbero veicolare infermieri e assistenti sanitari e medici nelle abitazioni, con la collaborazione dei famigliari? Si può dare una possibilità concreta alle famiglie che desiderano tenere i vecchi in casa un sostegno a livello economico, sanitario e sociale?

Uno Stato democratico dovrebbe e potrebbe mettere in atto delle strategie per rendere questa opzione fattibile, per evitare in tanti casi la sofferenza profonda dell’emarginazione che vivono gli anziani nelle Rsa e quella altrettanto grave del distacco affettivo dei famigliari.

Pensiamo a questi ultimi due anni e mezzo di pandemia: quante persone sono morte di questa malattia o delle complicazioni patologiche nella solitudine e nell’abbandono delle proprie famiglie e quindi anche a causa di queste gravi sofferenze emotive? E quanti famigliari hanno vissuto la disperazione di questo distacco, di questo lutto non risolto…? Certamente le precauzioni per non diffondere il contagio andavano prese, ma questa durezza e questa indifferenza nei confronti dei sentimenti delle persone, queste decisioni senza appello, senza riserve, sono apparse e appaiono ancora oggi eccessive e disumane. Per me sono inaccettabili, una violazione dei diritti umani. Ancora oggi le regole delle visite ai ricoverati nelle Rsa sono di un solo famigliare alla settimana! Per cui chi ha tre figli, per esempio, può vedere il genitore soltanto una volta ogni 21 giorni! Se ci sono altri parenti, nuore, generi o nipoti, il periodo tra una visita e l’altra si allunga velocemente a un mese o di più! È accettabile tutto questo? Basterebbe un kit di protezione sicuro, come è stato accertato, e come è stato messo in atto in alcune strutture, per consentire incontri più frequenti.

Tenere nelle loro case gli anziani malati è una scelta di umana pietà che molti figli avvertono come un libero atto d’amore e di riconoscenza verso i propri genitori, perfettamente in linea con il rispetto dei diritti umani universali, con la nostra Costituzione e con la tradizione cristiana. Inoltre si tratta di una scelta altamente educativa per i nipoti, o comunque per i giovani della famiglia, che imparerebbero la cura e l’amore per l’altro. Anche qui è in gioco la libertà individuale dei cittadini. La libertà di amare, di onorare i genitori: non deve essere così difficile. ◘

di Daniele Politi


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