Personaggi: contributi per una riflessione sul pacifismo.
Oggi bisogna resistere anche all’oblio storico, all’indifferenza, alla sindrome della rimozione. Un j’accuse agli storici “nichilisti”, non più interessati alle grandi vicende dell’antinazismo, è venuto il 9 di agosto a St. Radegund nell’Alta Austria, nel giorno della commemorazione di una di queste splendide figure che sono andate controcorrente rispetto allo spirito del tempo: il giovane contadino, padre di famiglia, obiettore di coscienza con la quinta elementare, Franz Jägerstätter, ghigliottinato a Berlino proprio il 9 di agosto del 1943: «Scrivo con le mani legate ma è meglio così che se fosse incatenata la mia volontà» annotò Jägerstätter nel suo ultimo testamento spirituale mentre era legato in catene in cella nel carcere di Tegel a Berlino.
Ma l’accusa alla storiografia nichilista, mossa dal teologo tedesco Franz Josef Tremer, era orientata a far luce sulla vicenda di un altro gigante della coscienza, praticamente sconosciuto: Franz Reinisch. Sì, qualche libro e perfino un documentario su questo frate dell’ordine dei Pallottini – ucciso anche lui con la ghigliottina il 21 di agosto del 1942 – girano nel mondo tedesco, ma in circuiti ristrettissimi, in piccole nicchie di ricerca storico-teologica, nella comunità cattolica di Schönstatt, vicino a Coblenza, dove aveva deciso di dedicare la sua vita attiva, o nei meandri dell’ordine religioso di cui faceva parte. In Italia non se ne parla, se non indirettamente legandolo alla vicenda di Jägerstätter. In Alto Adige pochissimi lo conoscono nonostante abbia vissuto a Bolzano e Brunico e si sia formato nel seminario di Bressanone e nonostante ci sia la presenza di una casa pallottina a Merano. Un articolo è uscito nel 2018, sulle pagine di Avvenire. E poco altro. La stampa, anche cattolica del Sudtirolo, ne ha scritto molto poco e qualche rapido accenno lo ricorda in qualche saggio incentrato sui martiri della fede. Eppure anche per Pater Reinisch è in atto il processo di beatificazione, arrivato già nella fase conclusiva, con il carteggio depositato in Vaticano.
L’accenno più conosciuto della vicenda di Reinisch è legato agli ultimi istanti di vita di Jägerstätter. Poche ore prima della morte del contadino austriaco, il cappellano del carcere di Tegel, Heinrich Kreutzberg, lo incontra per un ultimo sostegno spirituale. A un certo punto il sacerdote racconta a Franz che esattamente un anno prima aveva accompagnato alla morte un altro austriaco, il giovane pallottino di Feldkirch Franz Reinisch, anche lui obiettore di coscienza per motivi di fede. Nell’ascoltare questa storia, Jägerstätter ha un sussulto di sollievo e se ne va confortato dinanzi al boia, con la consapevolezza di non essere da solo in questa lotta per salvare la fede dalle grinfie dell’Anticristo.
In effetti i due Franz avevano molte cose in comune. Intanto il rimando, già nel nome, all’ideale francescano di una vita in letizia. Entrambi, poi, non nascono santi e non nascono martiri. Anzi. Hanno voglia di vivere, di sperimentare, di amare e perfino di trasgredire. Sono giovani come tutti, fra vizi e virtù. Jägerstätter non si tira indietro quando c’è da menare le mani. Per via di una rissa con altri ragazzi di un paese vicino è costretto al fermo di polizia per due giorni nella caserma della polizia del paese. Spesso lo si ricorda al Gasthaus a chiacchierare con gli amici e a bere birra. E poi amava. In uno dei suoi vari incontri amorosi ha una figlia “illegittima” di cui si prenderà cura fino alla fine. Per un altro è costretto a stare lontano per qualche anno da casa e va a lavorare nelle miniere della Stiria dove viene a contatto con alcuni gruppi socialisti e comincia a capire l’ingiusta divaricazione fra ricchi e poveri. Torna e si compra la prima moto del paese. Balla il contadino fino a consumare le scarpe e proprio ad una festa da ballo incontra la sua Franziska che gli cambia la vita. Pure Reinisch era preda di amori giovanili, amori sinceri, forti, passionali. Se ne ricordano, in particolar modo due, quelli più intensi. Si divertiva, il ragazzo, come tutti i suoi coetanei. Per festeggiare la maturità, nel 1922, si lancia in bicicletta sulla via principale di Innsbruck vestito da spazzacamino con un cilindro in testa. Anche lui, dicono le fonti, era un ballerino fantastico e un brillante pianista. Fumava tantissimo. Era talmente dipendente dalla nicotina che in una notte di crisi d’astinenza, per via delle limitazioni imposte dal noviziato dell’ordine, decide di scappare dal convento, ma durante la fuga si imbatte nella grotta di Lourdes e proprio lì prende la decisione, con grande fatica, di disintossicarsi.
Reinisch nasce a Feldkirch nel 1903. Passa la prima infanzia a Bolzano e a Brunico perché il padre, amministrazione fiscale, trova lavoro in Alto Adige. Nel 1908 si stabilisce a Innsbruck dove frequenta il ginnasio. Poi si iscrive a giurisprudenza e nello stesso tempo frequenta un corso a Kiel di medicina legale. Nel 1923 Dio irrompe, improvvisamente, nella sua vita. Reinisch avverte un richiamo dall’alto, potente, spregiudicato. Interrompe la relazione sentimentale con la protestante Ludowika Linhart e si getta nello studio della teologia e della filosofia. Nel 1925 entra nel seminario di Bressanone dove comincia ad avere i primi contatti con l’ideale religioso dei pallottini. Nel 1928 viene ordinato sacerdote a Innsbruck e subito dopo inizia il noviziato nell’ordine che si conclude nel 1930. Da allora incomincia un periodo di frenetici spostamenti fra Austria e Germania. Viaggia tantissimo, alterna docenze di filosofia negli istituti dell’ordine a incarichi con i giovani, Ad Augusta, nel ‘34, entra in contatto con il movimento di Schönstatt – un’esperimento ecclesiale inedito per l’epoca, un processo di rinnovamento della fede che ha un grande impatto sui giovani – a cui Franz rimarrà legato fino alla fine.
Sono gli anni bui della Germania. Reinisch è un uomo di cultura. Legge, scrive, si documenta, tiene incontri e dibattiti. Le sue conferenze sono molto seguite. Fin da subito, ossia dal ‘33, avverte una ribellione totale nei confronti del nazismo che considera un regime totalmente contrario al senso della vita e della storia del cristianesimo.
Nella sua relazione a St Radegund, il teologo Franz Josef Tremer ricorda la testimonianza di un amico di Reinisch, Ernst Wendl, che nel corso del noviziato a Friedberg già all’inizio del ‘34, lo sentì definire i nazisti come “criminali”.
In una conferenza a Mannheim nel ‘39 – spiega ancora il teologo austriaco – Reinisch afferma che «la carità cristiana deve essere elargita anche al popolo ebraico». Nel ‘40 chiede alla Chiesa di superare le eresie moderne e in particolare quella della “titanizzazione” e della schiavitù della natura umana. Una esplicita condanna del nazismo.
Nel settembre del ‘40 la Gestapo gli impone il divieto di parlare e predicare su tutto il territorio del Reich per aver accusato il nazionalsocialismo di “falsità”. Spiega Bremer: «Proprio a proposito della “falsità”, a un certo punto Franz vi allude nella battuta: “La falsità zoppica nel Paese”. Questa battuta era riferita al Ministro della propaganda Goebbels, che era claudicante».
Da allora iniziano due anni di trasferimenti da una parte all’altra della Germania. Il 14 aprile del 1942 gli arriva la cartolina di precetto per entrare nell’esercito nazista. Reinisch risponde agli amici con una semplice frase: «Con me non ci riusciranno!». Rifiuta e inizia il calvario.
Il 9 maggio viene trasferito nel carcere di Tegel a Berlino (lo stesso carcere dove più tardi verrà rinchiuso anche Dietrich Bonhoeffer, il teologo protestante ucciso a Flossenbürg nel ‘45), dove annota i suoi pensieri politici e religiosi. Scrive: «Il 15 aprile, determinato dalla paura e dalla fuga da me stesso, ho iniziato a realizzare la decisione finale liberamente scelta e liberamente voluta: non prestare il giuramento di fedeltà richiesto». Tre sono le ragioni del rifiuto. Una religiosa «perché oggi la Chiesa è inerme e poi perché le istituzioni, i ministeri, il partito e la Gestapo portano avanti la visone del mondo nazista con astuzia, pertanto la resistenza è legittima difesa»; una politica: «L’attuale governo non è una autorità divina, ma un governo nichilista che ha conquistato il potere con la violenza, la menzogna e l’inganno...»; una riguardante la grazia: «Dove infuriano la violenza, la menzogna e l’inganno io come sacerdote non posso collaborare. Anche se accettassi l’annessione e dunque il governo nazista, sarei ancora lontano dal poter prestare giuramento di fedeltà, perché bisognerebbe fare delle riserve troppo serie. Ad esempio la non accettazione della visione del mondo nazista, delle leggi contrarie alla natura, come l’omicidio, l’eliminazione dei deboli mentali, la sterilizzazione, le leggi scolastiche... Quindi il mio rifiuto è legittima difesa».
Pater Reinisch viene condannato a morte davanti alla Corte marziale di Berlino-Charlottenburg il 7 luglio del 1942 e ghigliottinato il 21 di agosto alle 5.03 nel carcere di Brandeburgo sull’Havel con la stessa lama che un anno dopo ha tagliato la testa di Franz Jägerstätter. «Il sacrificio della mia vita – annota nel diario il 5 luglio ‘42 – deve diventare un inno alla dignità dell’uomo: libertà interiore, che matura fino alla libertà dei figli di Dio. Al valore dell’essere umano: figlio di Dio, non solo figlio del sangue; all’immortalità dell’anima...». ◘
di Fransceca Comina