Luca Mercalli, meteorologo, climatologo, divulgatore scientifico italiano, è noto al pubblico televisivo italiano per la partecipazione alla popolare trasmissione "Che tempo che fa".
È impegnato nel divulgare uno stile di vita più attento alla riduzione dell’impatto ecologico, servendosi delle esperienze fatte in prima persona, nella sua abitazione in Val di Susa. Sulle tematiche ambientali ha pubblicamente espresso la sua contrarietà alla costruzione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.
Gli chiediamo se dopo l’incontro di Parigi del 2015 è cambiato qualcosa a livello internazionale sulla questione climatica.
«A parole sì, di fatti no! Basti guardare l’emissione di Co2. In effetti il 2021 è stato l’anno con le maggiori emissioni. Quindi non solo non è cambiato nulla in meglio, ma addirittura in peggio»
Riprendiamo gli stessi sentieri e facciamo gli stessi errori? Perché?
«Sì. Al di là delle parole, degli annunci, dei piani europei, tante belle parole che non vengono tramutate in fatti. Ci sono tantissime problematiche interconnesse: la prima è che dietro la transizione energetica delle rinnovabili ci sono interessi economici e quindi si cerca di rallentarla mantenendo le cose come stanno. Le rendite di posizione ormai secolari sull’energia fossile fanno comodo a chi le detiene, e quella è già una ragione incredibile di mantenimento dello status quo. C’è poi, sicuramente, anche il tema sociale delle persone: i singoli individui non vogliono cambiare, preferiscono mantenere uno stile di vita legato ai consumi perché cambiare è sempre faticoso. Talvolta è anche costoso e pure questo è un freno.
La politica, dal canto suo, non trova consensi ed è un altro freno. Insomma c’è una vischiosità generale che mantiene le cose così come stanno».
La questione climatica ci spinge verso una catastrofe sempre più imminente. È ancora possibile cambiare rotta? E in quale modo?
«Cambiare rotta nel senso di riparare il danno non si può più, perché ormai abbiamo perso tempo: lo avremmo dovuto fare cinquant’anni fa. Il primo documento sul clima, la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite è del 1992, trent’anni fa, firmata a Rio De Janeiro, alla quale non ha fatto seguito alcuna riduzione dell’emissione di CO2, ma solo l’aumento, quindi ora ci resta solo poter diminuire l’entità del danno. È un po’ come se avessimo già la febbre, la terra ha un grado in più rispetto a cento anni fa, possiamo dire che siamo a 38° e non si può tornare a un clima sano se non in tempi millenari. Possiamo però scegliere se far salire la febbre a 39° e poi fermarci oppure continuare fino a 42°, quando il corpo non ce la fa più. A questo punto lo spazio di manovra c’è ancora, ma è solo un tentativo di ridurre il danno, non di evitarlo».
I giovani che si sono radunati a Torino per discutere sul clima sono l’espressione di un disagio crescente per il destino del pianeta. Perché la politica non sembra capace di ascoltare né il grido della terra né quello dei giovani?
«La politica semplicemente va dove trova consensi e spinte economiche che la sostengano. La politica non va dai giovani, ma i giovani, intanto, dovrebbero essere più presenti politicamente. Credo che oggi i giovani siano una parte importante degli astenuti nelle elezioni democratiche, che non avendo un peso politico, non avendo minimamente un peso economico, sono un po’ trasparenti per i leader politici. Se i giovani elettori sopra i 18 anni facessero sentire la loro voce in maniera compatta, chissà se qualcosa potrebbe cambiare. Lo vedremo il 25 settembre. Mi piacerebbe vedere otto o dieci milioni di giovani compatti a votare un partito ambientalista. Se non lo faranno, avremmo semplicemente ciò che ci meritiamo».
Come climatologo quali prospettive si aprono di fronte alla situazione contemporanea? Siamo ancora risospinti verso l’energia fossile?
«Per ora sì. L’85% del mondo è basato sull’energia fossile, le energie rinnovabili sono appena ai primi passi e contano pochi punti percentuali. Abbiamo la possibilità di farle crescere, ci sono ancora tanti problemi tecnologici, anche se da sole non basterebbero. Occorre anche investire in ricerca scientifica per migliorarle, però è chiaro che oggi potremmo finalmente fare molto di più, complice anche il grande aumento dei costi dell’energia fossile legati alla guerra in Ucraina. Sarebbe una potente motivazione per fare ancora più in fretta non solo per motivi economici, ma anche per motivi di autosufficienza e indipendenza energetica. Eppure non mi sembra di vedere questa attenzione; ci si lamenta senza percorrere altre strade».
Cosa pensa dell’invito al nucleare pulito per risolvere il problema energetico?
«Molto semplice. La parola “nucleare pulito” è un ossimoro. Con le parole si può fare tutto: il carbone pulito, il cancro buono ecc. Con le parole si fa tutto, ma di fatto il nucleare non è pulito, punto e basta». ◘
di Achille Rossi