Editoriale
L’incontro di Samarcanda con gli esponenti del Sud-est asiatico rappresenta per Putin un campanello d’allarme. Ormai sono stufi di una guerra che si protrae da otto mesi senza nessuna tregua e nessun accordo. L’affermazione più esplicita è quella dell’indiano Modi che ha invitato lo zar a fermare la guerra, perché i popoli possano vivere in pace senza sprofondare nella miseria e nella povertà.
Da questo orecchio però Putin non ci sente, convinto che la sua “operazione militare speciale” terminerà quando egli potrà annettere tutto il Donbass. I referendum indetti da Mosca sono una tragica farsa, perché le persone sono state costrette a votare “sì” col mitra in mano o a nascondersi. È sintomatico che a Kherson abbiano votato solo cinquemila persone.
Ma quello che preoccupa la dirigenza russa sono i trecentomila giovani che sono scappati all’estero per sfuggire al reclutamento obbligatorio e alla guerra del Cremlino contro l’Ucraina. Spesso sono giovani che hanno studiato e che non condividono l’invasione dell’Ucraina. Molti di loro attraversano le montagne del Caucaso per rifugiarsi in Georgia, in Kazakhstan, in Mongolia, per rifarsi una vita all’estero, sbarazzandosi di un potere chiuso e ostile.
L’ultimo regalo di Putin è chiudere i rubinetti del gas perché l’Europa possa rimanere al freddo e sabotare il Nord Stream 2 che ha creato una nuvola di metano tra Svezia e Norvegia, provocando un disastro ambientale preoccupante. Ma quello che colpisce nei partecipanti alla cerimonia del Cremlino è la mesta rassegnazione, come se assistessero al crepuscolo degli dei. Quanto durerà il tramonto di un dittatore? Una domanda alla quale nessuno può rispondere. ◘
Redazione