Intervento. Intervista a Leonardo Salcerini Presidente del Festival delle Nazioni.
Archiviata la 55° edizione, il Festival delle Nazioni resta a metà del guado tra il declino decretato dall’ancien regime e la speranza di un risveglio dovuta al recente cambio al vertice; ma la transizione non si è ancora compiuta e restano intatte le scorie del passato ancora incombente. Sui temi caldi della manifestazione abbiamo sentito il Presidente Leonardo Salcerini
Può tracciare un bilancio sintetico sul piano artistico e su quello gestionale complessivamente inteso di quest’ultima edizione?
«C’è da registrare con soddisfazione un incasso doppio rispetto all’edizione dello scorso anno e l’allargamento del target tradizionale del Festival con i due concerti in piazza svoltisi nell’ anteprima di luglio».
Lei ha vantato il terzo posto attribuito alla manifestazione tifernate (su 36) in una graduatoria stilata a livello ministeriale: ma questo riconoscimento si tramuta poi in migliore accesso a risorse statali ?
«Dovrebbe, anche se poi i finanziamenti vengono determinati pure da altri parametri che oltretutto cambiano ogni volta con la Finanziaria annuale, ma, comunque, si tratta di un riconoscimento importante e di buon auspicio».
In tempo di ristrettezze come questo non sarebbe meglio immaginare una kermesse quantitativamente più agile per puntare alla qualità di due/tre serate di eccellenza anche sul piano mediatico?
«Assolutamente d’accordo, ma ci vorrebbero più finanziamenti pubblici: il Festival costa 500.000 €, di cui la metà proviene dalle Istituzioni… andrebbe rivista la logica di coinvolgimento dei privati… non sono certo gli sponsor che possono risolvere il problema, se si pensa soltanto che un cartellone a bordo-campo in uno stadio di serie A porta 30.000 € alle casse con ben altro pubblico rispetto ai nostri contenitori (700 posti all’aperto e 300 agli Illuminati)… con questi numeri dove si va? C’è poi da dire che il contributo ministeriale (140.000 €) è condizionato dallo svolgimento di un certo numero di concerti (cui si potrebbe ovviare aumentando le collaterali ndr), che comporta pure il coinvolgimento dei Comuni altotiberini minori».
Sotto il profilo organizzativo-promozionale qualche crepa si è evidenziata.
«Sicuramente! Ma un direttore organizzativo con il nostro budget risicato non ce lo possiamo permettere. In passato Nocchi, nel bene o nel male, faceva tutto e tutti i giorni. Oggi ci vorrebbero un paio di consiglieri in grado di svolgere questa funzione vicaria rispetto a un ruolo attualmente non ricoperto».
Il direttivo è composto di figure che ben poco hanno a che fare con il mondo dello spettacolo e in particolare della musica; fatte salve le prerogative del Direttore artistico, non sarebbe il caso di valorizzare il ruolo dei musicisti presenti nel vertice?
«Certo, ma il Maestro Fabio Battistelli incontra limiti operativi poiché spesso fuori sede per i suo concerti. D’altronde è vero che altri consiglieri non hanno competenze specifiche. Il vicepresidente Lignani è prezioso per le questioni statutarie e normative, ma per le conoscenze musicali ci vorrebbero altre esperienze».
La più volte annunciata trasformazione in Fondazione del Festival, in analogia con tutti le grandi manifestazioni, tarda a realizzarsi…
«Purtroppo siamo a un punto morto; la Fondazione è l’unica cosa che può tenere in vita il Festival garantendo continuità, ma per procedere concretamente, oltre ai contributi degli enti pubblici ci vorrebbe un privato/mecenate in grado di legare il proprio nome alla manifestazione con 200.000 €. I fondi delle istituzioni arrivano a coprire 250.000 € non sono sufficienti a realizzare la Fondazione, che avrebbe bisogno del doppio!».
Il Teatro degli Illuminati è davvero un forno in estate, San Domenico non si è mai convertito nell’Auditorium il cui progetto giace da anni abbandonato. Non sarebbe il caso di implementare le location dei concerti all’aperto?
«Il parco di Palazzo Vitelli a sant’Egidio sarebbe bellissimo se debitamente attrezzato (in passato lo era stato negli anni di Fuscagni presidente ndr), ma con la perdurante incertezza meteo tutti gli eventi all’aperto sono a rischio, e anche per questo l’anticipo del Festival a luglio andrebbe esaminato (nel 1996 fu anticipato di un mese dopo la tempesta che l’anno precedente si abbatté sulla città appena prima del balletto di Roland Petit al parco di Palazzo Vitelli che poi andò in scena regolarmente ndr). Per quanto riguarda San Domenico ho più volte ribadito che andrebbe riconvertito ad auditorium prima possibile, perché coprire la location di Piazza delle Tabacchine costerebbe 180.000 € (cosa che chiaramente non è nelle nostre possibilità) e inoltre la prossimità di questa con San Domenico consentirebbe un rapido cambio di sede in caso di maltempo, senza contare il recupero dell’adiacente chiostro per iniziative comunque legate ai concerti del programma». ◘
di Massimo Zangarelli
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