RUBRICA. Con gli occhiali di Alice.
Ancora una volta, dopo l’omaggio a Raffaello, Matthias Martelli, il giovane autore urbinate, attore e “giullare”, con questo piccolo libro, scritto in modo colloquiale, scorrevole, ironico, ha contribuito a suo modo a rendere omaggio a Federico da Montefeltro, rievocandone in modo originale gli aspetti salienti della personalità e le vicende della vita, ed evidenziandone luci e ombre. Infatti il testo è una rielaborazione della performance teatrale che è stata tenuta in anteprima il 13 agosto nel Cortile d’onore del Palazzo Ducale di Urbino in occasione della celebrazione dei 600 anni dalla nascita del celebre condottiero, con la musica di Matteo Castellan e che sarà replicata nei teatri italiani.
Ma torniamo al testo e cominciamo dal titolo, senz’altro originale: Il naso del Duca. Che c’entra il naso? In effetti c’entra, eccome! L'autore nota come, nei ritratti del Quattrocento, la figura umana – di eroi, nobildonne, santi – era rappresentata di fronte, al centro del mondo, appunto, circondata da un paesaggio luminoso che si perdeva in lontananza. Ma il celebre doppio Ritratto dei Duchi di Urbino, di Piero della Francesca, è diverso: Federico è rappresentato di profilo, perché, in una giostra giovanile, la lancia del suo avversario, ficcatasi nel foro della visiera, gli aveva colpito un occhio e mozzato il naso; perciò Piero ne aveva dipinto il profilo “bello”, perfetto: in esso il naso “più famoso d’Italia” si staglia nel cielo, mozzo all’attaccatura della fronte.
Il testo è diviso in due parti, e ciascuna in sette brevi capitoli, che sono altrettante scene, introdotte da una immagine – la foto di un quadro, o di un paesaggio – che ne annuncia il tema: così nella prima parte vediamo Urbino, poi il profilo del Duca Federico, il suo maestro Vittorino da Feltre, il Palazzo Ducale...
Federico appare un Signore fermo e deciso che “con l’unico occhio” guarda al futuro, e anche nell’equilibrio dei lineamenti richiama la proporzione e l’eleganza della sua dimora, realizzata come “città a forma di palazzo”, centro adeguato di una cultura raffinatissima. L’autore ne sottolinea la novità: era un luogo “aperto, ed era possibile – novità assoluta – consultarne la biblioteca; è noto inoltre che alla sua corte accolse grandi intellettuali, trasformando Urbino in una “perla” del Rinascimento.
Sul retro del Doppio ritratto Piero dipinge i Trionfi dei Duchi di Urbino, in cui Federico è celebrato come “condottiero valoroso e vincente”: infatti è con i compensi delle guerre che finanziò le meraviglie di arte, cultura, architettura del suo Ducato, ne mantenne stabili le condizioni sociali e l’apparato statale e ne ingrandì i confini: praticava la guerra dunque, ma aveva come obiettivo la pace.
Tuttavia, come il ritratto ha dall’altra parte del naso un lato nascosto, sfregiato, anche l’immagine del sovrano ideale ha una zona d’ombra, che la rende ambigua, complessa, ma non meno interessante, espressione anch’essa dell’uomo del Rinascimento. Nella seconda parte l’autore cita ancora un dipinto di Piero, La Flagellazione, precedente all’altro e difficilissimo da decifrare. Tra le numerose tesi proposte nel tempo, sceglie quella del professor Bernd Roeck dell’Università di Zurigo, secondo cui “il quadro sarebbe un atto di accusa nei confronti di Federico” – figlio illegittimo di Guidantonio – “mandante dell’omicidio del fratellastro Oddantonio” - erede legittimo – “ al fine di usurpare il potere a Urbino”. Piero dunque avrebbe denunciato il lato oscuro di Federico. Il Duca, per allontanare ogni sospetto, curò, attraverso l’arte figurativa, una vera e propria “campagna di immagine”, in cui si fece ritrarre come sovrano giusto e saggio, magnanimo e pacifico. Anche in campo militare, tuttavia, una ulteriore ombra pare abbia offuscato il suo profilo: la partecipazione alla congiura dei Pazzi.
Ma delle sue contraddizioni – sottolinea l’autore – pagò le conseguenze, in vita e poi, dopo la morte, con l’estinzione della dinastia; ma soprattutto perché, quando il territorio del Montefeltro passò allo Stato Pontificio, molta parte del patrimonio artistico e culturale di Urbino fu portato a Firenze e a Roma. Anche la Pala Montefeltro, da lui commissionata a Piero e collocata poi nella chiesa di San Bernardino, sul suo sepolcro, finì a Brera. L’autore, uomo di teatro, immagina che il Duca, dal cielo, dove era asceso nonostante le ombre della sua vita, gridasse infuriato per quello strazio, finché San Pietro non lo placò, profetizzando la futura fama di quelle opere che avevano illuminato il mondo. Urbino, “la piccola città” nascosta tra le colline del centro Italia, conserva infatti ancora intatto lo spirito del Rinascimento. ◘
di Gabriella Rossi