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Quel novembre che morì Elia Volpi

Cronaca d'epoca.

silvia romano2

Questo è quello che lessero i tifernati quella mattina del 29 novembre 1938. «Si è appreso ieri mattina la notizia, rapidamente diffusa in città, della morte avvenuta in Firenze dell’illustre, grand’ufficiale, prof. Elia Volpi. La scomparsa priva la città di un figlio affezionato, di un mecenate, di un benefattore…». Quello stesso giorno una rappresentanza del Comune tifernate con il gonfalone partì alla volta di Firenze per partecipare alle onoranze funebri, che quella città volle dedicare all’illustre scomparso e più tardi riportare le sue spoglie a Città di Castello «dove, scrive sempre “La Nazione”, per qualche ora furono esposte nel “suo” Palazzo della Cannoniera, sede della Pinacoteca comunale, per essere poi traslate nella cattedrale. Grandissima fu la partecipazione al corteo funebre, oltre le autorità, enti, scuole, partecipò una gran folla di popolo» Il Comune fece affiggere un manifesto dove, tra l’altro, era scritto «… egli non dimenticò la sua e la nostra città dandone prova con le sue spontanee e cospicue elargizioni ai nostri istituti di beneficienza, fino a fare dono al Comune del monumentale Palazzo della “Cannoniera”. Siamo sicuri che l’illustre estinto abbia chiuso gli occhi al sonno eterno con la visione di quel Palazzo dove spesso tornava a godere spiritualmente della bella opera compiuta…».

Elia Volpi era nato a Colle Plinio, poco distante da Città di Castello nel 1858. Ancora bambino è a Canoscio dallo zio Francesco, arciprete di quel santuario. Qui Elia conosce il pittore Annibale Gatti impegnato a dipingere nella chiesa. Sua, tra altre opere, è L’incoronazione della Vergine tra gli apostoli. L’incontro con il pittore accresce la passione di Elia, che già aveva dimostrato, per il disegno e la pittura. Fatto sta che il Gatti convince Don Francesco ad assecondare tale talento artistico del nipote…

Lasciamo la parola, anzi la penna, a un manoscritto di don Francesco che testimonia quel tempo «Elia, figlio di mio fratello Simone, stava meco in età di anni 11 circa, e dette prove di tendenza alle belle arti. Fu allora che pregai mio fratello e suo padre a fargli studiare il disegno. Ma egli rifiutò per mancanza di mezzi. Fui io ad affidare il nipote ai professori di Città di Castello, Lombardi e Mancini, ai quali dovetti passare una minima di grano al mese e molti franchi. Dopo tre anni a istigazione del signor conte Carlo Della Porta e di molti altri intelligenti fui pregato di mandarlo all’Accademia di belle arti di Firenze, dove lo accomodai in casa di un mio amico, cioè il curato di San Michelino, all’Accademia dell’anno 1872. Furono tanti e rapidi i progressi di Elia che si meritò il primo premio su tutti i compagni di scuola… Il mantenimento non mi costò meno di franchi milleduecento annui, ma mi conviene delle privazioni, ma ripeterò sempre Deo gratias».

All’Accademia Elia Volpi strinse importanti amicizie con artisti e artigiani che l’incoraggiarono nella sua attività di pittore. Così Elia tentò per qualche tempo di guadagnarsi da vivere facendo il pittore. Ma non è con il pennello che diverrà ricco e potente. Scrive Roberta Ferrazza nel libro Palazzo Davanzati e le collezioni di Elia Volpi edito dalla cassa di risparmio di Firenze: «Il Volpi non dotato di grande talento, nonostante la sua versatilità e il suo eclettismo… capì che quella di pittore si rivelò un’impresa disperata…». Così Elia Volpi lasciò la pittura per divenire copista di galleria. Più tardi divenne collaboratore di Stefano Bardini, in quel tempo fra i più importanti antiquari d’Italia. Tra i due iniziò una collaborazione che durò diversi anni, che servì a Elia per imparare il mestiere di antiquario, molto lucroso a quel tempo. Tentò qualche affare in proprio. Il Bardini ne ebbe a male e lo mise al bando. Elia Volpi si ritrovò all’età di 35 anni a ripartire da zero. L’ostilità di Stefano Bardini, che si sentiva tradito, costrinse Elia a lasciare Firenze e far ritorno a Città di Castello. Qui, con l’aiuto di collaboratori, setaccia l’intero territorio alla ricerca di tutto quello che sa di Medioevo e Rinascimento. E a Città di Castello e in più zone dell’Umbria rintraccia tutti gli oggetti d’arte che è possibile comperare da privati e istituzioni religiose, costituisce una propria rete di procacciatori e mediatori in varie città. Gli dà una mano anche lo zio prete, don Francesco a comperare vantaggiosamente nelle varie chiese di campagna. Ormai la fortuna va a braccetto con Elia Volpi, sta diventando ricco. Tanto che per fare una sorpresa alla moglie Pia – è lui stesso a raccomandarlo – fa cucire una grande coperta da letto formata tutta di biglietti da mille lire uno aderente all’altro. Nel 1904, ormai all’apice del successo, Elia compera l’antico palazzo Davanzati a Firenze, lo restaura e lo arreda con mobili «fiorentini», per la maggior parte provenienti da Città di Castello. Il prestigio del tifernate è alle stelle. Il 3 agosto del 1907 compera il Palazzo della “sora Laura” (così allora è chiamato) e con atto del notaio Cecchini ne fa dono al municipio affinché vi sia collocata la Pinacoteca. Il 25 maggio del 1911 Palazzo Davanzati è consacrato dalla visita della regina Margherita. Da oltreoceano arrivano ricchi collezionisti che fanno sempre più ricco Elia Volpi.

Passano gli anni, Elia spesso torna a Città di Castello per ritrovare gli amici, ma tanto tempo lo passa da solo nelle sale dell’antico palazzo che nel 1531 Alessandro Vitelli vi aveva portato in sposa Paola Rossi di San Secondo parmense. Passano gli anni e per Elia Volpi passa anche la fortuna che fino allora lo aveva sempre aiutato. Nel 1927 a New York una vendita di mobili antichi, all’asta, risulta un vero disastro.

L’anno dopo Elia Volpi è implicato, assieme ad altri antiquari, nello scandalo delle sculture di Alceo Dossena, vendute all’estero come opere antiche. Scandalo che riempie le pagine della stampa internazionale. Nonostante lo scandalo e l’età avanzata, Volpi non si rassegna a uscire di scena. Agli inizi del 1929 torna a Città di Castello per riordinare la Pinacoteca. Cura il restauro e le decorazioni della cappella della chiesa della Madonna delle Grazie. Ottiene l’autorizzazione statale a eseguire il restauro dello stendardo di Raffaello. Nell’aprile del 1938 scrive al direttore della Pinacoteca di Città di Castello «Ho superato per fortuna l’inverno, una breve sosta a Viareggio, poi verrò a riprendere e ultimare il lavoro». Ma il 26 novembre 1938 Elia Volpi muore senza aver concluso il restauro dello stendardo di Raffaello.

di Dino Marinelli


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