Rubrica. Il corpo delle donne.
Qualcuno ha detto che ha fatto discutere più del dovuto la richiesta di Giorgia Meloni di essere chiamata Il Presidente del Consiglio e non La Presidente… Con il peso della guerra in Europa, della crisi energica, con l’inflazione che morde i salari e la qualità della vita, si potrebbe anche soprassedere a una “quisquiglia” che riguarda un articolo. Giusto? La stessa Meloni, dopo le polemiche inevitabili in seguito alla circolare d’ufficio che indicava le sue preferenze in materia, ha dichiarato con sospetta semplicità: “Chiamatemi come volete…”. Giusto. Però... una differenza linguistica di questo tipo in tempi di conquiste per le pari opportunità merita una riflessione.
Cominciamo a ricordare che gli articoli e i nomi delle varie professioni declinati al femminile sono stati e sono una delle importanti rivendicazioni del femminismo storico: perciò: la sindaca, l’avvocata, l’assessora… È una questione di orgoglio della propria identità di genere. Le donne, dopo qualche millennio di dominio del patriarcato, sono riuscite in misura via via crescente, a occupare ruoli sociali che fino a 50 anni fa sembravano irraggiungibili. Il femminile grammaticale è la dimostrazione di quel meraviglioso risultato di lotte lunghe e dolorose, che hanno visto il mito divenire realtà, prosa di ogni giorno.
Ma Giorgia non si definisce “femminista”. Sembra che per motivi ontologici il femminismo non possa che essere di Sinistra, innanzitutto perché l’Uguaglianza non è un valore della Destra. E del resto coerentemente con la sua ideologia di appartenenza la Signora (non possiamo vincere l’imbarazzo di quel Signor Presidente della prima versione della circolare di Palazzo Chigi) difende con veemenza la famiglia tradizionale e la fede cattolica più conservatrice e non a caso in politica è contraria alle quote rosa. Eppure non si può dire che Meloni stia “un passo indietro agli uomini”, come ha dichiarato con un certo orgoglio alla Camera durante la replica al suo discorso per il voto di fiducia. Lei il femminismo lo ha incarnato nella sua pelle, con la sua storia: ha scelto fin da giovanissima di fare politica e di fare carriera, diventando una leader vincente, in un partito composto quasi esclusivamente di uomini, che continua a scavalcare con intelligenza e determinazione. Durante le trattative per la composizione del Governo, che presiede quale prima donna della storia italiana, ha letteralmente “asfaltato” il grande capo, patriarca e padrone, Silvio Berlusconi e ha ridimensionato di molto le pretese di Matteo Salvini, in evidente crisi di astinenza di selfie e di consensi.
Potremmo dire che Giorgia Meloni è una femminista sui generis, ma non sarebbe corretto. Al di là della sua straordinaria affermazione personale, la scelta dell’articolo maschile per il suo incarico istituzionale indica chiaramente nella sua weltanschauung il “primato” del genere maschile. Dentro questo perimetro i ruoli di potere - l’essere presidenti, ministri, direttori d’orchestra, ecc.- sono maschili per definizione; sono il riconoscimento della autorevolezza, della superiorità, potremmo dire perfino del fascino sottesi a un patriarcato, che le donne di Destra non vogliono far morire.
di Daniela Mariotti