Intervista a NICOLÁS DEL MASTRO, argentino, impegnato nella Ong Foundation Alameda.
Nicolás Del Mastro, argentino impegnato nella Foundation Alameda e da 20 anni contro la tratta e lo sfruttamento delle persone. Ha partecipato ad Assisi a The economy of Francesco, incontrando nuovamente Papa Bergoglio che, da vescovo di Buenos Aires, aveva appoggiato le sue battaglie.
Nicolas, tu hai risposto all’appello di Papa Francesco e hai partecipato all’incontro di Assisi. Quali erano i principali obbiettivi e quali i risultati a tuo parere conquistati?
«La proposta nasce dall’appello che apa Francesco ha lanciato il 1° maggio del 2019, una data significativa e simbolica. In poco tempo hanno risposto più di 3.500 giovani di meno di 35 anni da ogni parte del mondo. L’obiettivo non era quello di convocare economisti o quelli che pensano l’economia, ma costruire progetti, con una visione più ampia e imparziale della realtà, e non solo dall’Europa, in Europa e per l’Europa. Includere, quindi, altri punti di vista, altre storie, altre esperienze, coinvolgendo le periferie territoriali, non solo la centralità del nord. In un primo momento si pensava di organizzare un evento della durata di tre giorni, ma in poco tempo quell’evento si è trasformato in un movimento. E questo è accaduto perché l’unica verità è la realtà, che è più forte di quello che pensiamo. In particolare, per la concomitanza di tre crisi: prima la crisi socio ambientale, poi quella del Covid e oggi quella della guerra. In ogni Paese questi gruppi di giovani hanno cominciato a incontrarsi e a lavorare, non solo in termini teorici o accademici, ma realizzando progetti. Tutto questo è culminato in un incontro presenziale nel quale è emersa la determinazione di continuare. Si è costruita una grande rete di complementarietà tra i molti che stavano lavorando sugli stessi temi in ambiti diversi».
Il messaggio di papa Francesco è forte, impone un cambio di paradigma a partire dall’idea che l’economia non può più essere considerata un meccanismo che mercifica tutto, cancellando le vite delle persone. Le strutture dominanti degli Stati e della finanza hanno paura di questo messaggio Quando papa Francesco chiede il protagonismo dei giovani è perché ha sfiducia sulle possibilità che siano le elite politiche e i governi ad attivare i cambiamenti necessari?
«Questa lettura va fatta sui 10 anni di pontificato. La sensazione è che il messaggio di papa Francesco sia quello di “portare il corpo” in coerenza con quello che si afferma. Per papa Francesco la periferia non è solo territoriale ma anche esistenziale. Il papa è andato a parlare nei consessi più alti, all’Onu, al congresso degli Stati Uniti, alle istituzioni europee, è andato a parlare al centro. Ma è andato soprattutto a “portare il corpo” nelle periferie del mondo, in Africa, in Centroamerica, in America Latina, nel sud-est asiatico, nel Mediterraneo e a Lampedusa per evidenziare la sofferenza migrante. Una gestualità che porta il corpo a parlare con i massimi rappresentanti, però soprattutto mettendosi dalla parte degli ultimi della terra. Una forma esplicita di avviare un lavoro. A ogni azione corrisponde una reazione. È fisiologico che di fronte a una proposta di cambiamento tanto profondo, a ripensamenti radicali come quelli che propone Francesco, ci sia una reazione che dice “non si può cambiare niente”. Francesco fa una lettura storica quando fa appello ai giovani e afferma che i giovani in tutte le circostanze della Storia hanno risposto, sono stati all’altezza della situazione. Quando è morta la Regina d’Inghilterra il Papa ha mandato al funerale un burocrate del Vaticano, e in quello stesso giorno, nonostante le limitazioni fisiche, ha preso un elicottero ed è andato di persona all’incontro con i giovani. Ecco dove ha “messo il corpo” per marcare l’agenda delle priorità che sono: distinzione tra economia e finanza, tornare all’economia reale della produzione, alla centralità del lavoro fuori da questa mano invisibile della finanza , lavoro per tutti e lavoro degno. Queste sono le priorità».
L’impressione è che papa Francesco tenti di entrare da ogni lato possibile, dall’alto come dal basso, per incidere e cambiare la realtà del problema.
«Francesco pone la necessità di recuperare sicurezza e prevedibilità in economia, affermando un altro modello. Il nostro lavoro, come nel mio caso in Argentina ad esempio, mette in discussione un modello che persegue la massimizzazione del profitto a ogni costo, che colpisce le persone più vulnerabili, che cancella posti di lavoro, che priorizza l’accelerazione tecnologica e compromette processi naturali che danneggiano i beni comuni. Questo ha gravi conseguenze, non solo dal punto di vista tecnico economico. L’attività di estrattivismo o del monocolture intensive genera grandi aree di produzione dalle quali vengono espulse le famiglie, concentrandole in megalopoli, in grandi periferie urbane prive di infrastrutture sociali di base, mettendole nelle mani delle mafie, del narcotraffico, della tratta, dello sfruttamento. E ognuno di questi processi è legato all’altro».
Negli anni ’90 sono arrivati a conclusione due processi negativi complementari. Da una parte il capitalismo classico si è definitivamente involuto in neoliberismo e la finanziarizzazione speculativa dell'economia. Dall’altra affermato un nuovo medioevo che crea masse crescenti di poveri al sud e nuovi servi della gleba, al nord, mentre i partiti socialisti europei, un tempo progressisti, sono diventati i difensori di questo modello neoliberista. Molti dei problemi attuali dipendono da questi processi. Siamo di fronte a due diversi modi di vivere e interpretare la realtà che sono arrivati a uno scontro decisivo?
È vero, tutto questo non sorprende. C’è una realtà che va per un altro binario e che non viene registrata dagli Stati, dai governi, dai mercati e dai media. In Argentina e in molti Paesi dell’America Latina in tanti vivono con meno di un dollaro al giorno. Ma poi c’è una economia informale che consente di vivere alla giornata, frutto della necessità e della creatività. Una economia, come la chiama Francesco, dei movimenti popolari, solidale, un’agricoltura contadina mutuale e cooperativa, i sindacati… Un universo ampio, a volte caotico, ma c’è. Dobbiamo applicare alcune idee di base: 1) il tutto è superiore alla parte; 2) la realtà è più importante dell’idea; 3) l’unità deve prevalere sul conflitto. Uscire da questa logica onegeista, quella di Ong che non si compromettono, che credono che il ruolo del terzo settore sia quello di maneggiare fondi per generare leggi. È necessario prendere partito, nelle contraddizioni, o nelle crisi, o nella frustrazione di ciò che fa o non fa lo Stato. La realtà è più urgente della burocrazia. Niente è imparziale in questo contesto. Dobbiamo unirci in un denominatore comune, propone Francesco in Fratelli tutti. Come si può costruire la politica attraverso l’esclusione? Occorre superare concetti ideologizzati che ci separano dalla realtà, come in parte sta avvenendo in America Latina. Lo abbiamo visto in Messico, in Bolivia, in Argentina, ieri in Colombia e oggi in Brasile. Io sono impegnato da venti anni contro la tratta sessuale e lavorativa, oggi stiamo lavorando per un organismo pubblico statale che contrasti la tratta. E questo è positivo».
Questo Papa, con la sua semplicità e il suo carisma è diventato riferimento per tanti settori differenti delle società del mondo. Religiosi e laici. Eppure assistiamo alla crescita delle cosiddette “megachiese”, dei gruppi politici fondamentalisti evangelici che hanno conquistato ricchezze, potere, parlamenti e governi. Tuttavia, come dicevi, processi di cambiamento in molti Paesi dell’America Latina stanno tentando di affermarsi.
«C’è la necessità di legittimare i processi politici che si stanno profilando con una nuova prospettiva. L’agenda locale deve dare priorità alle emergenze marginalità, povertà, diseguaglianza, redistribuzione, temi centrali che non devono essere oscurati da altri. Poi è evidente che esiste un piano internazionale, come lo affronta papa Francesca, e ha a che fare con la crisi socio ambientale e il cambio di struttura. Quello di cui abbiamo bisogno è che gli Stati e l’agenda dei movimenti che propongono questa alternativa la assumano e la applichino anche a livello locale. Questo aiuta la continuità dei processi e produce il cambiamento, che non viene generato dalla sola occupazione dello spazio delle pubbliche decisioni. Ricordo il consiglio pratico che una volta diede papa Francesco a un esponente della nostra Fondazione, suo amico. “Non esiste una ambulanza dietro un corteo funebre”, disse Francesco. Voleva dire che non esiste la possibilità di generare ricchezza all’infinito. Non ci porta da nessuna parte. Più si è in alto e più si deve vivere come coloro che sono al più basso livello. Si deve sostenere anche con la schiena quello che si sostiene con il becco. Bergoglio ha una modalità pratica, semplice e diretta di comunicare che arriva al cuore dei problemi, che genera coscienza e commozione. Quello che tentiamo di fare con L’Economia di Francesco è lavorare su temi di fondo coinvolgendo le comunità e partendo dal concreto. Condividendo l’impegno locale e il globale che hanno una relazione evidente. C’è sempre una salvezza comunitaria, sempre con altri, senza eroi né martiri».
di Luciano Neri