Martedì, 10 Dicembre 2024

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Profugo per necessità

Siria.

silvia romano2

«C’era una volta la Siria… Era un paese pacifico, ricco, bellissimo anche  per il suo patrimonio storico… - Habib Samra, 41 anni,  racconta la sua storia avendo chiarissimo il “prima” e il “dopo” la tragedia della guerra, che ha causato 350.000 morti, almeno 5 milioni di profughi, la distruzione di città, monumenti e documenti antichi. Tutto quello che sappiamo dalle cronache di questi ultimi 11 anni. »

Quando è arrivata la guerra per te, Habib?

«Quando  la mia città, Aleppo,  fu invasa da Al Qaeda (soprattutto afghani che praticavano il jihad), nel giugno 2012. In pochissimi giorni ho perduto tutto: quattro progetti di lavoro avviati in società: un centro commerciale, un albergo e due centri sportivi. Il mondo ti cade addosso: abbiamo 135 dipendenti, dobbiamo pagare gli stipendi, chiudere le attività e pensare come  vivere. Avevo una famiglia e avevo bisogno di guadagnare per andare avanti.  Mi sono guardato intorno: ho accettato di lavorare con i militari siriani, per far arrivare loro il cibo nelle caserme. Le strade erano controllate dai cecchini, che sparavano su coloro che passavano per portare aiuti. Affrontavo quel percorso con una macchina blindata,  ma a rischio della  vita.  Nello stesso tempo, di pomeriggio, consegnavo  gli aiuti umanitari  inviati  dalla Caritas e dall’Unicef ai ribelli. Un lavoro ancora più pericoloso».

profugo per necessita altrapagina mese dicembre 2022 2Tu non parteggiavi per nessuno dei due fronti…?

«No, per me non c’è una parte buona e una cattiva. I cattivi ci sono da entrambe le parti. La guerra è cattiva. All’inizio abbiamo pensato che il Governo di Bashar al-Assad fosse buono, perché prima della guerra stavamo bene; c’era la pace e il benessere economico: con un solo reddito una famiglia viveva agiatamente. Mia moglie ha compiuto gli studi universitari e si è laureata senza pagare nulla. Non c’erano poveri in Siria. Ma poi tutto è cambiato. I russi sono entrati nel nostro Paese e hanno gestito la guerra come padroni, mentre il nostro Presidente non decideva più nulla! Gli stranieri hanno sfruttato il nostro territorio e le nostre ricchezze sono state depredate! Tutte le fabbriche, le imprese commerciali sono finite in Turchia.  È un mondo perduto per tutti i siriani».

Come sei sopravissuto alla guerra, alla morte…?

«Avevo una moglie, una bimba di un anno e un altro figlio in arrivo. Dovevo sopravvivere. Ho visto saltare in aria la testa di un mio compagno che faceva il mio stesso lavoro a un metro da me, il suo sangue mi ha invaso il viso, il corpo e… tutto. A quel punto ho capito che se fossi morto, la mia famiglia sarebbe stata in grande difficoltà, i miei figli senza un padre. All’inizio ci dissero che la guerra sarebbe durata solo due o tre mesi e abbiamo sperato…. Ma dopo un anno di quell’inferno decisi di partire, di lasciare la Siria. Per 5 o 6 mesi sono stato in Libano, dove avevo parenti stretti, ma mio padre mi sconsigliò di avviare un’attività in un Paese troppo instabile, perché troppo legato alle vicende siriane. Per cui andai a Babilonia, in Iraq. Alcuni amici mi proposero di impiantare un parco giochi molto grande in società: per alcuni mesi, va tutto molto bene… finché alla fine del 2014 arrivò Daesh, i musulmani terroristi… anche lì! La nostra zona, dove lavoravo, diviene molto pericolosa… e nessuno viene più. A questo punto mi vedo costretto a lasciare i Paesi arabi e a venire in Europa».

E perché hai scelto l’Italia?

«No! Non avevo scelto l’Italia! Devi sapere che  nessun profugo  vorrebbe venire in Italia,  perché qui non ci sono possibilità di vita per noi. Lo Stato italiano non dà aiuti come in Olanda, Germania.. Al massimo ti rinchiude in quei centri orribili di accoglienza, ti dà un piatto di pasta… E poi? È una vita miserevole! Io volevo andare in Belgio, dove avevo amici e conoscenti e avrei potuto lavorare. Per arrivare in Belgio, dove mandai le mie valigie, dovevo fare alcune tappe. La prima fu in Turchia, dove per noi i confini sono aperti. Ma poi da lì bisogna scappare clandestinamente, non ci sono alternative, perché i siriani non possono ottenere un visto di espatrio.  Così mi organizzai per  andare da Bodrum a Kos, una isoletta della Grecia».

Come hai trovato la possibilità di fare il viaggio in mare?

«Ho pagato 3500 euro per un viaggio di poche decine di chilometri, che i turisti normalmente fanno in 20 minuti. Noi profughi  in 16 in due barchette… ma molto piccole e vecchissime! Tanto che una delle due barche (non la “mia”) ha un guasto al motore e si rovescia in mare. I soccorsi arrivano dopo 13 ore: l’acqua era gelida (siamo a Febbraio 2015) e 4 giovani ragazzi, due siriani e due iracheni, muoiono. Arriviamo in Grecia in un’isola “militarizzata”:  tutti i clandestini venivano arrestati. Ci hanno messo in carcere per due giorni, poi con una nave profugo per necessita altrapagina mese dicembre 2022 4la polizia greca ci viene a prendere per portarci  in un’altra isola dove ci identificano e ci  consegnano un visto per 6 mesi. Se non riesci a fuggire entro 6 mesi ti rimandano in Turchia. Subito compro documenti falsi e un biglietto aereo per l’Italia, intanto… perché qui si fanno meno controlli. Per due volte mi è andata male, perché mi hanno identificato e bloccato, al terzo tentativo con i documenti falsi di un rumeno mi lasciano passare.  Era il 15 marzo 2015».

Che cosa succede in Italia?

«Insieme a un amico di Rimini  subito vado a Milano all’’Expo a vedere se c’è qualcosa da fare per me. Comincio a vedere che in Italia si può stare bene, il clima è simile a quello della Siria e c’è molto lavoro nel settore della ristorazione, così decido di rimanere in Italia. Chiedo asilo da rifugiato politico a Varese, perché anche a Varese ho un amico, un medico siriano molto bravo che mi ha accompagnato in Questura, dove avvio la pratica per me. Ma la mia pratica viene bloccata perché in Grecia ho le mie impronte digitali e da lì sono fuggito… Quando mi dicono che dovrò aspettare mesi, addirittura un anno per avere una risposta positiva… (per verificare che non avevo commesso reati, che ero fuggito per salvare la mia vita…) lì sono caduto! Dopo due anni di lontananza, le bambine che erano cresciute… che non avevo più rivisto. È stata una notizia tremenda. Avevo rischiato di morire tante volte, ma non avevo mai avuto paura. Ma quell’ultimo anno fu molto duro. Lavorai a Rimini con il mio amico nel suo ristorante… senza documenti. Finché arrivò la risposta positiva. In pochissimo tempo ottenni anche il nullaosta per il rimpatrio della mia famiglia. A metà luglio 2016,  dopo 3 anni tre mesi e 15 giorni, riabbracciai mia moglie e le bambine. Per me è finita bene». ◘

di Daniela Mariotti


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