AFGHANISTAN. Perché c'è bisogno di una Commissione d'indagine sulla guerra che ha riportato al potere i talebani.
Il Cenri (Centro Relazioni Internazionali), assieme a Malalai Joya e ad associazioni democratiche afghane, ha posto nuovamente all’attenzione la questione afghana, il dramma generato dal ritorno al potere dei talebani, le condizioni di una popolazione di 40 milioni di persone che sta affrontando, per responsabilità delle potenze euroamericane, della Nato e dei fondamentalisti islamici, la più drammatica crisi umanitaria della sua storia. Perché all’interno di questa campagna, a partire dall’incontro che abbiamo avuto con parlamentari della Commissione Esteri di Camera e Senato, abbiamo avanzato la richiesta di una Commissione di indagine? Perché 20 anni fa anche l’Italia ha deciso di entrare in guerra, di far parte della coalizione militare più grande della Storia, a guida americana. Siamo andati, si diceva, “per riportare la democrazia e cancellare i talebani”. Dopo 20 anni siamo riusciti a ottenere l’esatto contrario: abbiamo cancellato la democrazia e riportato i talebani. Dopo 20 anni di guerra condotta dalla coalizione Euroamericana e Nato, dopo decine di migliaia di morti tra la popolazione civile, sofferenze, deportazioni, esodi, miliardi spesi in armi e sostegno bellico, le truppe americane e dei “Paesi camerieri”, autoinvitatisi a quella che pensavano essere un'ottima festa imbandita dal padrone, fuggono ignominiosamente come a Saigon nel 1975.
Chiediamo una commissione di inchiesta perché, dopo una tragedia del genere, il Parlamento, le istituzioni, i cittadini devono sapere cosa è successo, cosa non ha funzionato, perché abbiamo mandato 60.000 soldati a combattere, perché 54 di loro sono morti e centinaia sono stati feriti in maniera permanente, perché abbiamo speso 10 miliardi di euro, perché gli americani hanno liberato i capi dei tagliagole e negoziato con i criminali talebani per restituire loro il potere.
Non ci sono responsabilità, qualcuno ci dice, perché non potevamo fare altro, così funziona la grammatica dei Pesi satelliti di un impero, quello americano. I Paesi vassalli combattono le sue battaglie, partecipano al suo destino, non discutono, obbediscono. Una patologia, una sindrome dello schiavo che ha portato l’Italia e l’Europa a imbarcarsi e a partecipare a tutte le guerre americane più devastanti degli ultimi decenni, dall’ex Jugoslavia all’Iraq, alla Libia, per finire con l’Ucraina. Guerre dichiarate per “esportare la democrazia” che hanno finito per determinare gli effetti opposti: il rafforzamento dei gruppi terroristici jihadisti e di governi islamisti su scala globale.
Come decenni fa, nonostante il mondo sia radicalmente cambiato, i governi europei continuano a pensare che la nostra sicurezza non può che dipendere dal padrone capocordata, gli Stati Uniti. Un pensiero arcaico destituito di connessione con la realtà. Che cancella quell’aspirazione storica di una Europa autorevole e indipendente che avevano disegnato Spinelli, Monnet, Schuman e Adenauer. E appare oggi farsesco, se non fosse che la situazione è tragica, sentire quelli come Minniti o Fassino, e tutto il gruppo dirigenti Pd che oggi gestisce Leonardo-Finmeccanica (dodicesima azienda mondiale di produzione e vendita di armi) abbaiare per conto del nuovo padrone contro chiunque provi a parlare di pace e di trattative e urlare, con la bava alla bocca e la convinzione del posseduto, “più armi, più guerra, più Nato”. Una balla criminale ripetuta mille volte può confondere, ma non diventa mai realtà. Il 2% del bilancio dei Paesi UE in armi non è sostenibile, lo sa chiunque. È insostenibile dal punto di vista economico, sociale, ambientale. Farebbe precipitare milioni di persone ancora di più in povertà, aumenterebbe il debito, impedirebbe qualsiasi investimento per sanare le devastazioni ambientali e per invertire la rotta sul riscaldamento globale. Sarebbe solo l’ennesimo regalo per le grandi imprese, criminali ma legalizzate, che fabbricano e vendono armi e che hanno visto i loro profitti speculativi, macchiati del sangue degli innocenti, aumentare esponenzialmente. Una tendenza già emersa prima della guerra in Ucraina, come evidenzia il report del Sipri di Stoccolma, il più autorevole istituto di monitoraggio sulle armi. E che la guerra ha ulteriormente aumentato.
La sicurezza per gli Stati Uniti, protetti dalle immensità degli oceani Pacifico e Atlantico, non è la stessa dell’Europa, continente attraversato e circondato da criticità e conflitti che vanno spenti, non aumentati. In Africa non si concentrano solo guerre devastanti, miseria insostenibile e tutti i peggiori effetti del riscaldamento globale. La sola Africa registrerà nei prossimi 40 anni il 57% della crescita demografica totale del pianeta, con un’età media di 19 anni e con il 43% della popolazione che avrà meno di 15 anni. Una bomba demografica che se non sarà disinnescata con corposi interventi finalizzati alla pace e allo sviluppo ci scoppierà in faccia. Ma di fronte a questi problemi enormi, ciò che preoccupa di più è la inadeguatezza della politica e dei governi.
Il bellicoso ex Ministro della Difesa e oggi Presidente del Copasir Lorenzo Guerini, intervenendo nell’ultima sessione dei Paesi Nato ha affermato: «Dobbiamo aumentare la presenza militare della Nato in Africa, perché da quel continente arrivano grandi problemi, per ciascuno dei nostri Paesi e per la Nato nel suo insieme». Chiunque comprende, meno Guerini e quelli come lui, che l’aiuto allo sviluppo di quei popoli è il miglior investimento che possiamo fare nel nostro interesse. Invece no, tutto quello che di negativo in termini di colonialismo e di guerre è stato fatto nel passato viene oggi riproposto come soluzione. Geniale!
Gli Stati Uniti hanno condotto le trattative con i talebani senza informare i governi dei Paesi cobelligeranti. Hanno liberato i capi più sanguinari: il mullah Abdul Shani Baradar, fondatore dei talebani assieme al mullah Omar e arrestato a Karachi nel 2010; Muhammad Fazal Akhund, membro sia di al qaeda che dei talebani; Mali Khan, responsabile dell’attentato all’Intercontinental Hotel di Kabul (43 morti) e all’ospedale di Save the Children a Jalalabad. Persino Sirejuddin Haqqani è stato liberato, affiliato talebano e ad al qaeda, collaboratore di Bin Laden e tra i più pericolosi ricercati dagli stessi Stati Uniti che avevano messo sulla sua testa una taglia di 5 milioni di dollari.
Una sconfitta di queste proporzioni non è solo devastante per il popolo afghano ma anche per la credibilità degli Stati Uniti, dell’Europa e della Nato. Oltre a galvanizzare tutta la galassia terroristico jihadista del pianeta. Come ha affermato il più qualificato analista di geopolitica, Lucio Caracciolo, “per questa Europa che esiste solo nella fantasia degli europeisti è arrivato il momento di un ripensamento strategico fra tutti i soci veterocontinentali della Nato, per stabilire se questa alleanza ha ancora un senso, come eventualmente riformarla, o superarla”. ◘
di Luciano Neri