SANITÀ. Inchiesta parte seconda.
La Sanità umbra sta per sprofondare in una enorme voragine che si è aperta nel bilancio regionale. Ottanta milioni di debito nel 2021 solo la Usl 1 Umbria, la nostra. Altrettanto, se non più, la Usl 2 e poi ci sono le due aziende Sanitarie regionali, per un debito complessivo stimato attorno ai 200 milioni di euro, ma c’è anche chi sostiene che il conto da pagare sia molto più alto. Contro questa deriva è stata ingaggiata una lotta delle parole: prima ci aveva provato la Sinistra con il “mantra” della “razionalizzazione” con cui ha cercato, senza successo, di mettere toppe ovunque per fermare l’emorragia irrefrenabile di soldi, personale e servizi.
Poi è arrivata la Destra che, invece di cambiare sistema, ha sostituito la parola “razionalizzazione” con “efficientamento” (il nuovo Piano di efficientamento e riqualificazione del sistema sanitario regionale). Due modelli gemelli per dire che tutto cambia perché nulla cambi. Una sorta di gattopardismo applicato alla complessa organizzazione sanitaria. Anzi, spesso dietro le parole si maschera un lento e progressivo logoramento della Sanità pubblica.
Qual è la spia di tutto questo dal punto di vista dei cittadini? La cosa è molto semplice, lapalissiana si direbbe: le liste d’attesa. Se si va a prenotare un qualsiasi esame o visita ci si deve mettere in fila e attendere due, tre, quattro mesi e, nei casi più clamorosi, fino a un anno. Ne deriva la semplice conseguenza che con una piccola, a volte consistente, spesa in più, si può ottenere la stessa prestazione da un privato. Quindi, non c’è partita: la bilancia pende sempre più da quella parte. Con una conseguenza decisiva. Che la richiesta presentata allo sportello pubblico, può essere evasa in loco ma anche a Pantalla, Gubbio, Foligno, Perugia: prendere o lasciare. Mentre quella a pagamento ce l’hai sotto casa. La Sanità pubblica ti manda a Canicattì, la Sanità privata ti viene incontro a domicilio: una differenza sostanziale. Chi può, lo fa; chi non può si piega obtorto collo alle liste d’attesa infinite o rinuncia.
Così anche in Umbria si va verso una Sanità a due velocità: quella privata, sempre più ambita da chi abita nei quartieri alti del codominio sociale, e quella a bassa intensità pubblica, frequentata da chi sta ai primi piani o negli scantinati. L’idea di universalità e gratuità delle prestazioni piano piano si sta dissolvendo.
E cosa hanno pensato i registi della Destra al governo regionale? Di mettere un’altra toppa su un vestito già logoro. D’ora in poi qualsiasi richiesta di prestazioni sanitarie potrà essere evasa non più e solo all’interno del proprio Distretto sanitario di appartenenza, ma in qualsiasi altro Distretto. Estendendo i confini prestazionali a tutta la Regione, le liste d’attesa potranno essere abbattute e i nuovi amministratori cantare vittoria. Al cittadino non rimarrà che scegliere se fare una ecografia o una visita cardiologica a Terni o Amelia se a Umbertide o Città di Castello non c’è disponibilità. Se rinuncia, è un problema suo, non del sistema sanitario che ha garantito la prestazione. Ciò significa stendere tappetini rossi al privato che, così, va all’ingrasso senza muovere foglia. Per correttezza di informazione la Regione ha previsto una sperimentazione anche di nuovi servizi per cercare di ridurre le liste d’attesa, un trittico di nuovi nomi: ‘Smart Cup’, ‘Progetto di presa in carico da parte degli specialisti’ e ‘Piastra ambulatoriale’. Nuovi servizi sperimentali, appunto, che richiedono più personale e attribuzione di nuove funzioni a medici e specialisti, già sovraccarichi di lavoro a causa delle mancate assunzioni assenti anche nel Piano di efficientamento, che dovrebbero fare direttamente la prenotazione in ambulatorio. Appare quindi alquanto improbabile che cambiando l’ordine dei fattori cambi anche il risultato. Tuttavia si tratta di aspettare i risultati della sperimentazione, per capire quale sostanza c’è dietro alle parole.
Il secondo aspetto riguarda la centralizzazione dei servizi all’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. Dopo la Centrale unica degli acquisti e delle farmacie, ora si propone di accentrare anche i Laboratori analisi. I prelievi saranno fatti sempre nelle sedi ospedaliere e verranno trasferiti a Perugia per essere processati.
Ma lo schema teorico si scontra con diverse criticità pratiche. Prima di tutto cambia la logistica. Ogni mattina, da tutti gli ospedali dove si effettueranno prelievi, le provette dovranno essere trasferite a Perugia con gli evidenti costi di trasporto. In secondo luogo gli ospedali che operano in emergenza non possono attendere il riscontro di esami da compiere con immediatezza mentre stanno facendo un intervento chirurgico, per cui devono ricorrere all’utilizzo dei cosiddetti Poct (Point-of-care Testing), test rapidi e attendibili, ma costosissimi. Inoltre la razionalizzazione del sistema per essere efficace deve prevedere lo spostamento del personale, altrimenti i conti non tornerebbero. Infine si pone la domanda decisiva: l’azienda sanitaria perugina riuscirà a smaltire questa ulteriore mole di lavoro?
L’esperienza recente del Covid depone a sfavore. Durante l’insorgenza della pandemia fu deciso di centralizzare l’analisi dei tamponi a Perugia. Dopo un mese l’ospedale alzò bandiera bianca perché non riusciva a smaltire la montagna di prelievi da processare, e si tornò a più miti consigli, decentrando le operazioni nei vari ospedali. E poi c’è in scaletta il terzo polo ospedaliero che aggrega 5 ospedali: Foligno, Spoleto, Narni, Trevi e Cascia con 560 posti letto, eliminazione del punto nascita di Spoleto. Insomma si mescolano carte che sono sempre uguali.
In Lombardia, per gettare fumo negli occhi dopo che la pandemia ha messo a nudo lo smantellamento del sistema sanitario pubblico voluto dalla classe dirigente nazional-leghista-popolar-berlusconiana per favorire la Sanità privata, si è trovata una soluzione originale. Per riparare il danno, i neoamministratori, compresa la sig.ra Moratti, hanno riempito la Valseriana e dintorni di nuove Case di Comunità, con tanto di inaugurazioni, taglio di nastri, nuove targhe appese ai muri, nuovi servizi ambulatoriali, medici di base a disposizione, sevizi di degenza per h. 24, per dire a una popolazione provata “abbiamo sbagliato, ma adesso facciamo sul serio”. Poi si è scoperto che, in realtà, hanno cambiato solo nomi a servizi già esistenti prima del Covid, e come in precedenza i medici non ci sono, i servizi sono aperti solo 12 ore, quando sono aperti perché il personale non c’è, i presidi sanitari mancano. Non vorremmo che si stesse facendo la stessa cosa anche in Umbria. Ma il tempo è galantuomo: chi vivrà, vedrà. ◘
Redazione