Mercoledì, 04 Dicembre 2024

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Poesia che zitta germoglia dal dialetto

RUBRICA. E SIA POESIA A cura di GIO2.

silvia romano2

Secondo Sciascia “la differenza sostanziale tra dialetto e lingua sta nel fatto che nessuna opera di pensiero (intendendo quello sistematico e metodico) può essere scritta in dialetto”, mentre l’uso del dialetto “consente di raggiungere la madre”. E, forse, è perché il dialetto apre la porta ai pensieri più intimi che, oltre che nel parlato familiare e tra amici, è in alcuni casi la lingua della poesia. Come succede a Nadia Mogini, perugina residente da lungo tempo ad Ancona che, capita a volte a poeti quando vivono lontano dalla città dove sono nati, scrive poesie nel dialetto della città d’origine.

Ed il suo non è un semplice dilettarsi con il dialetto: con esso riesce a scavare non solo dentro di sé, ma anche nella lingua madre ritrovando parole dimenticate persino a Perugia, altre circoscritte al suo lessico familiare, mentre altre ancora paiono filtrate dalla sua cultura. Lo ha fatto scrivendo del percorso doloroso, molto doloroso, che la vita costringe a vivere quando si perde una persona amata. Un dolore espresso nel canto poetico di Ìssne (Andarsene), titolo bellissimo che dà slancio a una raccolta di struggente bellezza. Per i toscani struggere è anche sinonimo di sciogliere e i versi di Ìssne si sciolgono in un pianto silenzioso nel quale il cuore di Nadia vibra all’unisono con quello di Lorenzo, il marito che se ne sta andando, mentre la poesia accudisce il dolore che la moglie prova e il sentimento che a Lorenzo la lega.

Nadia è poetessa che riesce a trovare le corde più liriche di una parlata come quella perugina da questo punto di vista particolarmente ostica: lo ha fatto con Ìssne e lo ha confermato in “Gettlìni de linòrio” (Germogli di alloro), sua seconda raccolta nel dialetto perugino che Walter Cremonte, poeta e saggista che non si fa far velo dall’amicizia nei giudizi e non esagera mai, ha definito nella prefazione “memorabile”. In essa Nadia  conferma d’essere padrona in maniera sorprendente del dialetto pescando dalla sua memoria parole dimenticate e belle. È grazie a questa raccolta che ritroviamo “gaucciolo” per gomitolo, “bufa” per la neve, “scalàmpa” per schiarisce, “ciabattà” per un camminare rumoroso, così come riconosciamo la padronanza del dialetto nell’utilizzo del diminutivo vezzeggiativo per descrivere situazioni forti o pesanti da sopportare chiamando “penina” una “pena struggente” (i perugini, per esempio, chiamano “tramontanina” il vento quando soffia forte e gelido).

Una liricità che mantengono le versioni in italiano delle poesie. Non sono semplici traduzioni dell’autrice, ma poesie esse stesse che potrebbero benissimo far parte di un’autonoma raccolta in lingua italiana. Con esse Nadia Mogini dimostra d’essere poetessa “bilingue” e al lettore che si accosta alla sua poesia è raccomandabile, anche se perugino, la doppia lettura non solo, e non tanto, per capire il dialetto, ma per apprezzare questa sua capacità e capire a fondo la sua poesia. Ci vuole tempo a scrivere poesia, un po’ di tempo bisogna restituirglielo nel leggerla, perché è dopo questa doppia lettura, questo pendolare da una versione all’altra che dai versi di Nadia si sprigiona compiutamente la sua poesia che zitta “gettla” e si manifesta come un germoglio appena sbocciato. ◘

a cura di Giorgio Bolletta e Giorgio Filippi
di Vanni Capoccia

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