Martedì, 23 Aprile 2024

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Il Corso specchio della Crisi

Città di Castello. La crisi infinita del centro storico tifernate. Inchiesta parte prima.

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È il primo sabato del nuovo anno. Giorno di mercato, parecchia gente in giro. Mi metto a contare quanti locali al pianterreno di corso Vittorio Emanuele hanno cessato l’attività commerciale. Tra l’imbocco di “Piazza di sopra” e la chiesa di Santa Maria Maggiore ne conto una ventina. Sono meno di 400 metri. Insieme alle piazze, è il segmento più vivo e “in” del centro storico, dal punto di vista commerciale. È una realtà inconfutabile: in quel corso che un tempo attirava il passeggio – e lo shopping – di tifernati di ogni età, 20 negozi che prima c’erano ora non ci sono più. Alcuni hanno cessato l’attività di recente; talvolta provano a subentrarne di nuove, ma faticano a sopravvivere. L’abbandono di qualche locale comincia ad assumere un carattere “cronico”: i più giovani forse nemmeno sanno che esisteva il Banco di Roma; e forse avranno solo un vago ricordo del Caffè Centrale. E che dire del negozio di dischi e audiocassette Zucchini, della macelleria Ciribilli o della libreria Gulliver? Fuori dei locali che li ospitavano ora campeggiano i cartelli “vendesi/affittasi”. Nel caso dell’ex Banco di Roma, nemmeno quelli…

Facendo un calcolo sommario, i negozi chiusi sono poco meno del 30% di quelli che un tempo davano vita al corso. Quasi uno su tre. Con tutti i risvolti economici, sociali e culturali immaginabili.

Il problema è complesso. Esistono difficoltà oggettive: spopolamento del centro storico, caro-affitti, scollamento tra città e periferia, tendenza ormai consolidata a servirsi dei centri commerciali e via dicendo. Vorremmo che se ne discutesse un po’ di più, evitando luoghi comuni. È infatti evidente che le iniziative finora attuate per rinvigorire il centro storico non sono state in grado di invertire la tendenza alla sua graduale “desertificazione” commerciale. Se un castellano ripercorre oggi quel centinaio di metri di via Marconi che sbocca sul corso, prova un senso di avvilimento. In un tratto di via così breve, un tempo rigoglioso di vita commerciale, sono ben 10 gli esercizi cessati; resistono solo un negozio di abbigliamento e uno di cornici. E, allargando lo sguardo, piange il cuore vedere alcuni spazi commerciali inutilizzati, di cui due molto ampi, in “piazza di sopra” e altri nella limitrofa piazza Fanti. Ma avremo modo di riparlarne.

A reggere ancora, lungo il corso, - e facciamo loro i migliori auguri! - sono meno di 50 attività. Il settore più rappresentato è quello dell’abbigliamento, stoffe e calzature, con 15 negozi; poi abbiamo 5 gioiellerie o oreficerie, 4 bar, 3 tabaccherie, un paio di parrucchierie. Inoltre ci sono un ristorante, una pizzeria, un fruttivendolo, un fioraio, una sanitaria, una erboristeria, una profumeria, una ferramenta, una rivendita di mobili, negozi di casalinghi e regali, agenzie viaggi e immobiliari e qualcos’altro ancora. Insomma, chi per campare punta sul commercio è in trincea lungo il corso e cerca di vincere la sua battaglia. Spesso fatica, ma resiste. Avrebbe bisogno del supporto di politiche coraggiose e lungimiranti. ◘

di Alvaro Tacchini


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