SANITÀ. Inchiesta parte terza.
Il “dato” è tratto. Il “buco” di bilancio della Sanità umbra è di 200 milioni di euro. Ma cosa volete che sia, ha chiosato l’Assessore alla Sanità regionale Coletto, in confronto agli oltre 450 milioni di sbilancio della Sanità toscana e gli 800 milioni di quella emiliano-romagnola! Certo, dal pareggio di bilancio del 2019 al deficit attuale c’è stato di mezzo il Covid: ma è tutto imputabile alla pandemia?
La prima considerazione: le tre perle sanitarie delle ex regioni rosse, portate ad esempio in tutto il Paese, pardon, in tutta la Nazione, per la loro qualità ed efficienza, sono precipitate dalle stelle alle stalle. O meglio: dallo splendore rosso, allo sprofondo nero.
La seconda: le parole dell’Assessore regionale mescolano le carte, perché se il debito sanitario viene ripartito per ogni abitante delle rispettive regioni, il risultato è questo: 122 euro a testa per ogni toscano, 179 euro per ogni emiliano-romagnolo e 233 euro per ogni umbro. Non è proprio la stessa cosa! Il ché significa che i soldi disponibili o sono stati spesi male o sono stati mal spesi.
Il terzo: i tre deficit cumulati insieme fanno la bella cifra di un miliardo e 450 milioni, escluse le altre 18 Regioni tra cui la Lombardia, che ha un deficit stratosferico. Se si considera che i soldi stanziati per la Sanità con la manovra approvata dal Governo ammontano complessivamente a 2 miliardi per tutto il cucuzzaro, viene da chiedersi: quanti soldi ha stanziato, in realtà, questo Governo per la Sanità? E quanti di essi arriveranno alla Regione Umbria? A conti fatti, sempre dividendo il tutto per ogni cittadino della Nazione, la Giunta Tesei dovrebbe incassare circa 24 milioni di euro per ripianare un debito di 200 milioni. Che, a dire di chi queste cose le conosce dall’interno, non serviranno nemmeno a pagare l’aumento dei costi della bolletta energetica. Briciole. Semi. E noccioline. Nulla più.
Nonostante ciò, la Giunta regionale ha varato un sontuoso Piano di revisione della rete ospedaliera coerente con il debito da ripianare. E nella logica del risparmio si prevede di riaprire l’ospedale di Città della Pieve con due posti di chirurgia generale e 20 di medicina generale; di mantenere la chirurgia a Narni con due posti letto (Narni dista da Terni 10 chilometri); accreditare 95 posti letto per la Sanità privata a Terni, mantenere la chirurgia generale a Umbertide (3 posti), mantenere il Pronto soccorso a Umbertide, stessa sorte all’ospedale di Castiglion del Lago e via di questo passo. Tutte informazioni scritte nero su bianco nel Piano suddetto. Intanto a Città di Castello si prevedono in uscita pensionamenti e abbandoni per altri lidi privati, che non verranno rimpiazzati con nuove assunzioni.
Tutti i nodi di una cattiva gestione stanno venendo al pettine, e dai vari territori regionali si alzano gridi di guerra. Il Comune di Spoleto ha già da mesi ha alzato le barricate contro le scelte regionali; a Orvieto si sta pensando di fare la stessa cosa; a Castello tutto tace o si abbaia alla luna. Ma la Giunta Tesei va avanti senza timore perché, dice, questo è il piano del fabbisogno elaborato da tecnici e politici ed è stato inviato al vaglio del Ministero della Salute, che dovrà decidere sul da farsi. Quindi se tagli ci saranno, verranno dall’alto. In altre parole, sono state distribuiti mance e ricompense agli amici e chimere sulle quali si abbatterà la mannaia del Ministero. E poiché il taglio sarà pesante, perché non c’è un euro in più da spendere, come sarà ripianato il debito di bilancio? Semplicemente, ça va sans dire, tagliando i servizi, o il personale, o le prestazioni, fino a raggiungere il pareggio obbligato, perché, così stando le cose, il sistema non regge più: rischia di collassare.
Ma l’amministrazione Tesei, sempre per bocca dell’Assessore Coletto, ha già annunciato la (as)soluzione con formula piena, anzi magica, ormai nota a tout le monde. E la formula è questa: «L’obiettivo è aumentare le prestazioni razionalizzando i costi». Slogan, più che formula, già in voga nelle amministrazioni di Sinistra-centro e di Centro-sinistra che significa: meno soldi hai, più stai meglio. Ma con una spolveratina da Sinistra a Destra e viceversa, fa sempre bella mostra nella vetrina della politica, dove si vendono i saldi di stagione. Il suo semplice apparire dimostra, da ere geologiche, che non si sa più dove sbattere la testa; dove andare a prendere soldi che non ci sono; come rispettare i contratti in scadenza; come assumere il personale che serve; come far fronte alla inflazione; come, in definitiva, far funzionare la complessa macchina sanitaria, che, proprio perché complessa, richiederebbe un pensiero complesso che non si vede all’orizzonte. E dietro l’angolo, se il castello non starà in piedi come è prevedibile, c’è l’arrivo del Commissario prefettizio.
L’amministrazione comunale tifernate, invece di guardarsi allo specchio delle sue brame, cosa sta facendo per difendere la Sanità del territorio?
Sottoponiamo agli amministratori questi semplici quesiti che si possono ricavare dalla lettura del documento regionale e non solo.
È stato annunciato con gran sfoggio di trombe l’acquisto di una Risonanza magnetica con i fondi del Lascito Mariani. Sarebbe la seconda per l’ospedale di Città di Castello. Visto che ancora i tempi per effettuare tale esame superano di gran lunga un anno, ci si chiede: che fine ha fatto la risonanza magnetica recentemente acquistata la cui entrata in funzione dovrebbe ridurre drasticamente i tempi d’attesa? Giace ancora impacchettata in qualche magazzino? Perché non è operativa? Stessa sorte pare aver subito la Tac acquistata per il Pronto soccorso, addirittura in tempi antecedenti all’acquisto della Risonanza: quali difficoltà burocratiche tengono ancora impacchettata la nuova tecnologia?
Ma l’aspetto forse più inquietante è la differenza di trattamento che subiscono gli anziani nei diversi territori della Regione. Attualmente nell’Altotevere la Asl finanzia solo il 67% dei posti letto disponibili per anziani non autosufficienti in Residenze protette. Dei 124 disponibili tra Muzi Betti (90) e Istituto G. Balducci (34) solo 83 (60 su 90 Muzi Betti e 23 su 34 Istituto Balducci) ricevono la copertura del 50% del contributo regionale. I letti residui costano all’utente 90 euro al giorno, ovvero 2.700 euro al mese di retta. Ciò fa supporre che, presumibilmente, rimangano inutilizzati o sottoutilizzati perché pochissimi possono permettersi di pagare una simile retta, mentre le strutture servite scoppiano per la presenza di anziani, una parte dei quali, divenuti non autosufficienti, dovrebbe essere trasferita alla Muzi Betti. La situazione è esplosiva perché le residenze servite non riescono a soddisfare richieste di inserimento mentre le residenze protette hanno letti inutilizzati.
Inoltre, i fondi stanziati per le residenze protette sono superiori nei distretti dell’Alto Chiascio e del Trasimeno rispetto a quelli dell’Altotevere, i quali hanno più posti letto da finanziare, ma una popolazione sensibilmente inferiore. Al netto delle eredità storiche di territori non serviti da ospedali, resta il fatto che l’assistenza territoriale deve essere garantita in ugual misura a tutti gli anziani, sia che appartengano a un territorio piuttosto che a un altro.
Sono troppi i conti che non tornano, e le pezze messe su un vestito vecchio strappano, come ben si sa. ◘
di Antonio Guerrini