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Il primo amore di Elia Volpi: la pittura

Cronache d'epoca.

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Su questa pagina lo scorso novembre si è parlato del tifernate Elia Volpi, uno dei più prestigiosi antiquari italiani a cavallo fra fine Ottocento e primo Novecento, questo a discapito del primo amore di Elia: la pittura. Si rimedia ora. Come già scritto, Elia Volpi nasce nel 1858 a Colle Plinio, poco distante da Città di Castello, dove ben presto la famiglia si trasferisce. Il padre Simone affida Elia, di circa dieci anni, al fratello Don Francesco, arciprete della pieve di Canoscio. È il 1869, è quasi terminato il nuovo santuario dove vi sta lavorando il pittore forlivese Annibale Gatti. Il ragazzino segue sempre il pittore, mostrando interesse per l’arte figurativa. Il Gatti convince lo zio, Don Francesco, ad assecondare il talento artistico del nipote. Così, nel 1872 Elia Volpi è all’Accademia delle Belle Arti di Firenze: «L’accomodai in casa di un mio amico, il curato di San Michelino». Scrive Don Francesco.

All’accademia Elia ritrova il pittore Annibale Gatti e sotto la sua guida studia le opere dei grandi maestri, soprattutto Raffaello, Andrea del Sarto, il Ghirlandaio. Il Volpi è uno dei più bravi all’accademia, vincendo diversi premi. Nel 1876, in occasione di un suo ritorno a Canoscio egli realizza, nella pieve, la sua “opera prima”, l’affresco della Madonna del Carmine. Allo zio arciprete dona una tela a olio che rappresenta l’interno del Santuario di Canoscio, parato a festa nella circostanza della sua inaugurazione, raffigurandovi nel mezzo della chiesa Don Francesco a colloquio con Padre Pincardini.

il primo amore di elia volpi la pittura altrapagina mese gennaio 2023 3A testimonianza degli anni passati, ospite del parroco di San Michelino, a Firenze, resta la foto di un dipinto Vocazione sbagliata,  dove due chierichetti, dopo la messa, si contendono in sacrestia il resto del vino dell’ampolla. In un altro dipinto, intitolato Finché uno ha i denti in bocca non si sa quel che gli tocca, un parroco è caduto a terra a causa della neve, questo suscita il riso di due donne. Nel 1878, mentre sta lavorando al suo primo quadro importante, Elia Volpi si trova in gravi difficoltà: il padre subisce un grave incidente; il parroco di San Michelino muore improvvisamente; anche l’aiuto dello zio prete gli viene meno. La sorella maggiore lo sostiene in questo delicato momento, così porta a termine il dipinto Raffaello Sanzio che mostra a Francesco da Castello, lo Sposalizio della Vergine.

Il quadro viene esposto a Città di Castello per un mese, riscuotendo un grande successo (almeno per noi tifernati), tanto che del quadro stampano cartoline anche postali. L’opera, nel 1888, viene inviata all’esposizione di Chicago, poi a quella di Boston nel 1890, procurando a Elia Volpi il titolo di «Cavaliere, per merito artistico, degli Stati Uniti d’America». Dipinge altri lavori ritenuti di un certo valore. Tra questi, su commissione delle signore fiorentine, un ventaglio per la Regina Margherita. Sempre in questo periodo realizza tra l’altro Ritratto della marchesa Lignani Marchesani, che Volpi eseguì in cambio di un mobile della casa dei marchesi a Città di Castello. Con il passare del tempo Elia Volpi si rende conto che con la pittura non diventerà mai ricco e potente, anzi fatica a conciliare il pranzo con la cena e così lascia questa attività per divenire copista di galleria. Conosce poi in quel tempo Stefano Bardini di Pieve S. Stefano, allora ritenuto il primo antiquario d’Italia e tra i due nasce un sodalizio che dura quindici anni e servono a Volpi per conoscere restauratori, mediatori, collezionisti.

Tenta Elia qualche affare in proprio. Il Bardini sdegnato per il comportamento del suo allievo, lo mette al bando. Così Elia Volpi torna a Città di Castello. Qui nella vecchia Tiferno, iniziano la fortuna e il prestigio di Elia Volpi. Nell’Alto Tevere e in tante altre parti dell’Umbria, rintraccia e raccoglie tutti gli oggetti d’arte che trova da privati o da istituzioni religiose. La sorella maggiore lo aiuta per trovare i soldi da investire per i suoi acquisti e lo zio Don Francesco a comprare vantaggiosamente nelle tante chiese di campagna. Ormai la ricchezza e il prestigio fanno compagnia a Elia Volpi. «Il professore (come amava essere chiamato) – si scrive: “incuteva rispetto, si andava da lui con tutti i riguardi, pur sapendo che era la migliore pasta di uomo che si possa immaginare. Con tutto quello che passò dalle mani, tutti capolavori strettamente italiani, si farebbe un museo da gareggiare con tutte le gallerie del mondo…».

Ormai in là con gli anni è spesso a Città di Castello. Riordina la pinacoteca. Nel 1935 compie il restauro, non solo conservativo dell’oratorio della chiesa della Madonna delle Grazie. Sta restaurando lo stendardo di Raffaello quando lo coglie la morte quel novembre del 1938.

Per espresso desiderio di Elia Volpi sulla sua tomba nel cimitero tifernate sono posti due bassorilievi quattrocenteschi rappresentanti La Madonna annunciata e L’angelo,  opere di Alceo Dossena ( del quale si è parlato il novembre scorso) ◘

di Dino Marinelli


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