Arte di MARIA SENSI.
Da qualche tempo si dibatte se i musei occidentali debbano rendere ad Africa, Asia, Americhe e Oceania opere d’arte e oggetti sacri sottratti durante conquiste, colonizzazioni, guerre. Da più parti si rileva che i manufatti conservati in Occidente non solo sono fuori contesto, ma privano gli abitanti dei Paesi d’origine di tasselli importanti della loro storia, cultura e religione. Il gruppo britannico “BP or not BP?”, chiede la fine della sponsorizzazione dell’azienda petrolifera BP al British Museum e la restituzione delle opere d’arte rubate dalla Gran Bretagna, grande potenza coloniale. Il collettivo organizza pure, per rendere edotti i visitatori, visite guidate sul tema Stolen goods (beni rubati): i bronzi del Benin, appesi come panni al sole, furono rimossi dal palazzo reale dell’oba (oggi a Benin City, nel sud della Nigeria); la Grecia rivendica i marmi del Partenone; gli abitanti dell’isola di Pasqua rivogliono Hoa Hakananai’a, scultura in pietra lavica.
Al museo parigino “Quai Branly” alcuni attivisti hanno tentato di portar via un palo funerario (XIX secolo) del popolo africano bari. È tornata intanto in Senegal la spada del comandante El Hadj Omar Tall, in prestito per cinque anni, in attesa che i deputati francesi approvino una legge per le restituzioni definitive. A Bruxelles, l’Africa museum conserva circa 180mila oggetti, spesso sacri, saccheggiati in Congo. E che dire della scultura raffigurante la “regina Bangwa” del Camerun ora nella fondazione privata francese Dapper, delle migliaia di oggetti degli aborigeni australiani conservati nei musei britannici, dei manufatti di Machu Picchu che l’università di Yale nicchia a restituire al Perù, del busto di Nefertiti che i musei nazionali di Berlino non intendono ridare all’Egitto, delle opere trafugate in scavi archeologici clandestini o a seguito di guerre (Libano, Irak, Siria e moltissimi altri Paesi…) In suolo statunitense, per quanto concerne i manufatti dei nativi attualmente nelle istituzioni, solo un piccolo museo del Massachusetts ha restituito 150 oggetti sacri al popolo Lakota-Sioux, sottratti durante il massacro di Wounded Knee nel 1890.
Grazie a recenti indagini, antiche opere Khmer, smerciate negli Usa tramite mercanti quali Douglas Latchford, sono state restituite alla Cambogia. Il Metropolitan Museum di New York ha dovuto rendere un antico sarcofago in oro all’Egitto e dei Buddha alla Thailandia. Questi ultimi erano stati rubati dal mercante Subhash Kapoor e dai suoi complici, che hanno trafugato opere in tutta l’Asia, vendendole a musei e collezionisti. Da altre indagini sono emersi speculatori in Borsa, che elargiscono pure ingenti somme di denaro a musei per far parte dei loro consigli di amministrazione. Leon Levy, hedge fund manager, era uno di questi: la sua vedova, Shelby White, ha dovuto restituire opere d’arte rubate all’Italia e alla Turchia. Alla coppia, in ringraziamento per il denaro ricevuto, fu intitolata un’ala del Metropolitan. Michael Steinhardt, altro hedge fund manager, intestatario di un’altra sezione del Met, è stato obbligato a rendere reperti, acquisiti illegalmente, sia all’Italia (compresi affreschi da Ercolano e Paestum) che alla Grecia.
Gruppi di attivisti hanno protestato di fronte al Museum of Modern Art di New York per la presenza di figure discusse nel suo CdA: Larry Fink, presidente del maggior fondo di investimento mondiale, il potentissimo conglomerato BlackRock (che, oltre a effettuare speculazioni finanziarie globali, gestisce, in modo privato, istituti penitenziari negli Usa); Steven Tananbaum, che tramite il suo Golden Tree Asset Management si è praticamente comprato Porto Rico; Leon Black che, oltre ad avere avuto una società facente parte di Constellis Holding (ex Blackwater Worldwide, i cui mercenari, poi graziati da Trump, uccisero 17 civili a Baghdad nel 2007), è accusato di stupro da due donne: le avrebbe violentate in casa del suo amico Jeffrey Epstein, famigerato predatore sessuale ora defunto.
Un’artista che si è fatta sentire nei musei è stata Nan Goldin, che ha allertato l’opinione pubblica sull’attività della famiglia Sackler. Da dove veniva il fiume di denaro elargito? Dalla casa farmaceutica Purdue Pharma, di proprietà dei Sackler, produttrice del farmaco OxyContin, responsabile della crisi degli oppioidi che negli Usa ha provocato mezzo milione di morti. Ma, a parte le targhe rimosse dai musei, i Sackler se la sono cavata con una multa.
Tra gli artisti, il nostro plauso va anche a Banksy che, in Ucraina, dove le truppe russe hanno depredato interi musei per cancellarne storia e cultura, ha realizzato sette graffiti fra le macerie, quale atto di solidarietà con le vittime. A Hostomel una donna in vestaglia da camera, coi bigodini in testa e una maschera antigas sul viso, tiene in mano un estintore. È stata raffigurata in piedi sopra una vera sedia rotta, abbandonata di fronte al muro giallo di una casa in rovina. Lo scorso dicembre alcuni ladri hanno staccato questo graffito dal muro, poi recuperato dalla polizia, che ha arrestato i malviventi. Altra opera molto significativa è a Borodyanka: chiaro riferimento all’episodio biblico di Davide e Golia, raffigura un bambino che, a colpi di judo, mette a terra un uomo. L’allusione è a Putin e al suo amore per l’arte marziale giapponese: è infatti cintura nera, proprio come appare nell’opera. ◘
di Maria Sensi