Domenica, 06 Ottobre 2024

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Città di Castello. La crisi infinita del centro storico

Inchiesta parte seconda. Prato, un rione da rivitalizzare.

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Strade e vicoli del Prato

Tre lunghe strade attraversano il centro storico tifernate, collegando “piazza di sopra” alle porte Santa Maria, San Florido e San Giacomo: il corso, di cui abbiamo parlato nel numero scorso; via XI Settembre, che con via Angeloni percorre il rione San Giacomo; e via San Florido, che con via Marconi passa per il rione Prato. È di quest’ultima, e delle sue adiacenze, che vogliamo parlare.

Svoltando dal corso in via Marconi, si entrava in un tratto urbano commercialmente molto vivace. Lo frequentavo spesso perché era lì lo studio fotografico dello zio Giuseppe Tacchini. A fianco la “Olivetti”; di fronte un fioraio e un corniciaio; ai fianchi un negozio di tessuti, un macellaio, un barbiere e un elettricista; un po’ più in là la rivendita di abbigliamento sportivo di Ivano Bambini. Tutti i locali allora occupati da queste attività commerciali sono chiusi. Resistono eroicamente – oasi nel deserto – una bottega di abbigliamento e un’altra di cornici.

Questa è la nuda realtà e la raccontiamo per quella che è. Ha ragione Pier Giorgio Lignani (vedi Lettere in Redazione) a sottolineare che la mutazione del centro storico viene da lontano e dipende anche da fattori non risolvibili solo a livello locale. Ne sono convinto. Tuttavia, dobbiamo presentare la realtà per quella che è e auspicare che essa stimoli una riflessione più approfondita e corale tra noi tifernati. I problemi di Città di Castello, alla fine, dovremo saperli risolvere noi.

Continuiamo la passeggiata verso il Prato. Sulla destra, all’imbocco di via Oberdan, si aprivano le sedi del Partito Socialista, della Federazione Giovanile Comunista e dell’ARCI. Allora la politica c’era e intorno a queste sedi si vedeva un bel giro di gente. Pochi passi oltre, si apre la spettrale visione dello sventramento dell’ex Cinema Vittoria. Sono anni che si attende il recupero dell’amato cinema; e sono ormai anni che incombe invece su di noi uno scorcio urbano che sembra devastato da un terremoto o da un attacco aereo.

Ancora qualche passo e si trovava la frequentatissima Armeria Vitali. Poi “piazza della Gramigna”. Qui abbiamo un esempio positivo di “resistenza” all’abbandono. Il bar ha ridato vita a una piazza dove un tempo si aprivano i negozi di Gaetano Monti e Pietro Giornelli, tra i più importanti della città. Erano esercizi commerciali di supporto alle attività artigianali e di raccordo tra città e campagna. Ora la piazza si riempie invece di giovani, beneficiando anche della chiusura al traffico in quel tratto di centro storico. Un rifugio di vita tra tanto abbandono. In tal caso la trasformazione è irreversibile. Un certo genere di commercio ha bisogno di grandi spazi, di facilità di parcheggio, di sedi vicine agli snodi viari. Nel contempo il “vecchio” centro storico si riscopre ideale per ritrovarsi, per stare insieme in uno scenario tranquillo e accogliente. Però non si può pensare al centro storico solo come sede di bar, caffè, pub, ristoranti, pizzerie e via dicendo.

Proseguendo lungo via San Florido, dalla “Pendinella” in poi cresce un po’ il numero delle attività commerciali. Tuttavia si notano vistosi spazi abbandonati: là c’erano una rivendita di biciclette e una cartoleria, più oltre un fabbro, un falegname e una macelleria… Spazi ormai evacuati da anni.

Facendo il cosiddetto “conto della serva”, da porta San Florido all’imbocco del corso sono una cinquantina i locali chiusi, un tempo esercizi commerciali o artigianali. Tanti. Si legge “affittasi/vendesi” solo in pochi di essi: forse nemmeno i proprietari nutrono speranze di ricavarci qualcosa. In qualche caso, purtroppo, colpiscono anche i segni di degrado e di incuria.

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I vicoli tra la via principale del rione e la Mattonata sono tra gli angoli più tipici di Città di Castello. Dopo l’ultima guerra vi sorsero numerose botteghe artigiane dedite alla falegnameria, al restauro e alla produzione del “mobile in stile”. Poi, hanno doverosamente trovato più degna collocazione nella zona industriale. Solca questa zona urbana una strada anticamente di un certo prestigio, che ora incanala il traffico in uscita verso la circonvallazione: via dei Casceri. È in condizioni pietose: il lastricato è tutto scombussolato, con buche e rigonfiamenti. Una strada più da mountain-bike che da bici da passeggio,

È un rione illuminato dalla luce di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, con la Pinacoteca; ma pure segnato dall’ombra del vecchio e derelitto ospedale: un palazzo denso di significato architettonico e di storia sociale, per il cui degrado non possiamo prendercela né con Roma, né con gli Dei, né con l’ineluttabile e inarrestabile corso degli eventi. Il suo destino – e quello del rione – dipende tutto dalle scelte degli enti locali, Regione e Comune.

Lì di fronte si ergeva la Fattoria Autonoma Tabacchi. Nessuno certo rimpiangerà quell’insediamento industriale brutto, massiccio e superaffollato che intasava l’area tra via Oberdan e la Mattonata. Quello sì che era cosa d’altri tempi, anche se – è doveroso dirlo – significava pane e dignità per centinaia di lavoratori, specie donne. Però, quando si attraversa l’attuale deserto di quell’area, il ricordo va al brulichio continuo di gente che percorreva strade e vicoli per recarsi al lavoro ai “Tabacchi” o per andare all’ospedale. L’epoca delle “tabacchine” è finita; l’ospedale nuovo è quello che ci voleva: ma spetta alla nostra comunità ridare vita a questa ampia zona del centro urbano. ◘

di Alvaro Tacchini


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