Solidarietà. Il viaggio del Papa nella Rd del Congo e in Sud Sudan.
Mi ha ricordato da subito i passi, i gesti, gli sguardi dell’uomo itinerante di Galilea. Guardo Francesco l’ ”africano” e vedo Gesù di Nazaret.
Francesco cammina nelle periferie africane accolto con grande entusiasmo dalle folle danzanti che riconoscono in lui l’unico vero leader mondiale che denuncia la ferocia del sistema finanziario globale che uccide, ha davvero a cuore la sorte dei piccoli e guarda all’orizzonte della fratellanza universale. Sentirsi visitati da lui è sentire ribollire nel cuore il sangue della dignità.
Francesco ascolta la voce delle vittime dell’economia predatoria globale, li guarda negli occhi, li prende per mano con parole di infinita tenerezza: “le vostre lacrime sono le mie lacrime”. Li incoraggia a ripartire, loda la loro resilienza, si commuove. Si lascia evangelizzare da loro. Quegli incontri sono decisivi per lui e alimentano il motore della sua spiritualità. È la “mistica dell’incontro” come la chiama Bergoglio nel corso del suo discorso ai catechisti, vescovi, preti e religiosi sudsudanesi. Quella che cambia il cuore del viandante di Nazaret: “Ti rendo lode o Padre perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10,21).
Francesco esce senza peli sulla lingua con fiondate ai leader politici spesso dentro la mischia della corruzione e delle responsabilità di tante violenze e sofferenze dei loro popoli. Li tocca nel vivo a Juba, capitale del Sud Sudan: “Siate padri e non padroni!”. Denuncia con coraggio il saccheggio dei minerali e delle terre da parte di multinazionali e di Stati per conto del mondo occidentale ai danni dei piccoli: “Giù le mani dall’Africa!” tuona a Kinshasa, capitale della Rd Congo.
Francesco sprona anche i leaders delle Chiese dei due Paesi a non essere “capi tribù” ma a seguire l’esempio dei testimoni. Christophe Munzihirwa, martire in Rd Congo nel 1996 per aver denunciato il tentativo di balcanizzazione del paese e Daniele Comboni missionario e profeta delle terre sudanesi. A Juba invita catechisti, religiosi, vescovi e preti a seguire i passi di Mosé, capace di docilità all’iniziativa di Dio dopo aver cercato di farsi giustizia da sé (Es 2,12) e di intercedere cioè “fare un passo in mezzo” al popolo e alle sue sofferenze, lacrime, fame di amore. Insomma immergersi tra la gente e sporcarsi le mani!
Ogni sua mossa ha il sapore del Vangelo.
La carica simbolica e plurale delle immagini con cui descrive i Paesi che incontra e che tutti possono comprendere, come le parabole dei Vangeli, va dritta al cuore dei semplici. Il diamante, “del creato” a memoria della cura di Madre Terra, icona del poliedro che rappresenta i vari gruppi etnici presenti nel paese, insanguinato per il saccheggio dei minerali e simbolo della resilienza del popolo, per la Repubblica Democratica del Congo. Il fiume Nilo, immagine della sete di vita dei suoi popoli, degli affluenti che si incontrano, come le etnie, per formare un solo grande corso d’acqua, le sorgenti come le autorità chiamate a servire la gente e il bene comune, la pulizia del letto del fiume come lotta alla corruzione, i suoi argini come barriera alle armi che circolano indisturbate per il Sud Sudan.
“Basta” tuona a Juba alle autorità a cui baciò i piedi nell’aprile del 2019 a Roma scongiurandoli a fare pace facendo riecheggiare quella stessa parola urlata da Gesù di Nazaret nel giardino del Getzemani (Lc 22,51), ai suoi che volevano impugnare le armi.
“Rialzati!” implora a Kinshasa al popolo congolese attraverso i suoi rappresentanti mentre la memoria va al paralitico e alla fiducia dei suoi amici che osano con lui la ripresa del cammino (Mc 2,1-12).
Parole profetiche e non magiche. Concentrato di Vangelo che ora deve sedimentare, incarnarsi e camminare giorno dopo giorno sulle gambe dei popoli, dei loro leaders e rappresentanti, dei piccoli.
Le sfide sono enormi. Francesco è rientrato e gli scontri, per ora, sembrano non fermarsi.
Almeno il cambio di passo è tracciato. ◘
di Filippo Ivardi Ganapini missionario comboniano