SPECIALE PALESTINA. Reportage di Francesca Borri.
Dal fondo, all’improvviso, sul corteo funebre di Jamel al-Kayyal, ucciso stamattina all’alba nell’ultimo scontro a fuoco, piovono lacrimogeni. Ma non sono gli israeliani: è la polizia palestinese. Che disperde tutti.
Anche se in realtà, a Nablus ci si ritrova al cimitero.
Andrebbero lì comunque.
Mentre il mondo è concentrato sull’Ucraina, in Medio Oriente sono franati gli Accordi di Oslo, siglati nel 1994 da Rabin e Arafat: con l’impegno di un’intesa definitiva entro 5 anni. I palestinesi sono tornati alle armi. E questa volta, indipendentemente da Fatah e Hamas. Dalla fine della Seconda Intifada, nel 2005, hanno puntato sulla non violenza e il diritto internazionale, tentando, pezzo pezzo, di costruirsi da soli quello Stato che gli era stato promesso, tentando di tutto: e non è cambiato niente. I nati del 2005 hanno tutta un’altra cronologia. Ma tipo, il 2012, l’anno del seggio all’ONU, che anno è stato?, domando a tre 17enni. “L’anno in cui è stato ucciso mio fratello”, dice il primo. “L’anno in cui hanno arrestato mio padre”, dice il secondo. “L’anno in cui un proiettile mi ha sbriciolato la caviglia”, dice il terzo. “L’ultimo che non ho zoppicato”.
Passano il tempo qui, tra le tombe degli amici.
Nel 2022 sono morti 230 palestinesi. Il numero più alto dalla Seconda Intifada. E l’età media è 21 anni. Il 38 per cento dei palestinesi ha meno di 15 anni.
Si chiama il Cimitero dei Martiri. È il cimitero dei bambini.
Stanno davanti alla lapide nera di Ibrahim al-Nabulsi. Il fondatore dei Lions’ Den. La Fossa dei Leoni. Le prime sono state le Brigate Jenin. Ma mentre a Jenin ognuno è legato a un partito, e poi si combatte uniti, qui non segui Fatah o Hamas, o l’Islamic Jihad, segui Instagram. Segui Tik Tok. Su Telegram, i Lions’ Den avevano 230mila followers, poi l’account è stato bloccato: più di Fatah e Hamas insieme. Non rispondono che a se stessi, e non hanno che se stessi: è la loro vulnerabilità e la loro forza. Perché sono ventenni come mille altri, in Blundstone e felpa con il cappuccio: e invece chiunque, qui, in qualsiasi momento, può sgusciare oltre il Muro, e arrivare a Tel Aviv: e sparare. “Non è morto. Io sono Ibrahim”, dice un altro 17enne. Ahmed. Indica l’amico accanto. “E quando sarò ucciso, lui sarà Ahmed”.
Vengono da tutta la città. E da tutta la West Bank. Si fermano tra le macerie del rifugio in cui Ibrahim al-Nabulsi è stato centrato da un drone, con i resti della sua ultima cena, una sua Nike annerita vicino a un Corano, e poi vengono qui.
A fissare il vuoto.
Era il 9 agosto. Ibrahim al-Nabulsi aveva 18 anni, era del 2004: l’anno in cui all’Aja, la Corte di Giustizia ha dichiarato il Muro illegale. Da allora, i palestinesi hanno eletto il venerdì a giorno di manifestazione, ogni venerdì, in ogni città, e nel 2005, chiusa, appunto, la Seconda Intifada, hanno cercato la mobilitazione generale, come il Sudafrica di Nelson Mandela: avviando il movimento BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, mentre la Lega Araba, intanto, proponeva a Israele la pace in cambio del ritiro dalla West Bank. Era il 2007. Non è mai arrivata risposta. Un 17enne raddrizza delle foglie di palma che il vento continua a piegare. “Il 2007?”, dice. “L’anno in cui è stato ucciso mio padre”. E il 2010?, dico. L’anno in cui è stata fondata Rawabi? La prima nuova città palestinese dal 1948? Il suo amico mi guarda. “L’anno in cui casa nostra è stata demolita”, dice. Il 2015, l’anno dell’adesione alla Corte Penale Internazionale? Celebrata come una svolta? “L’anno in cui è morta mia madre. Ed è morta sola. Perché era ricoverata a Gerusalemme, e nessuno di noi aveva l’autorizzazione per andarci”, dice un altro. Il 2018, allora. L’anno della Marcia del Ritorno a Gaza. L’anno in cui i palestinesi hanno provato a rompere l’assedio non più con i razzi: ma scavalcando tutti insieme il confine. “L’anno in cui mio padre ha perso il lavoro, e ho lasciato gli studi per stare in un’officina”. E Il 2020? L’anno degli Accordi di Abramo? Della pace con gli Emirati Arabi? Che così, in quanto alleati invece che nemici, avrebbero avuto più influenza su Israele? “La prima volta che sono finito in carcere”. “La terza volta”. “Per me la seconda”. “Anche per me. Ma arrestato non da Israele. Da Fatah”.
Tutto così. Tutti così.
Nablus è il simbolo del fallimento di Oslo, perché con i suoi artigiani, è l’economia della West Bank: e avrebbe dovuto trainare lo sviluppo. Il sapone è stato inventato qui. E da qui, prodotto come allora, è ancora esportato ovunque. “In un altro mondo, Nablus sarebbe vicina a tutto: è a un’ora da Gerusalemme, ma anche da Beirut, da Damasco, da Amman, dal Cairo. Da Tel Aviv. E invece, per anni è stata isolata dal checkpoint di Huwwara. Ora è facile dimenticarlo: ma le file erano interminabili”, dice Yousef. Che a 17 anni, non è mai stato fuori Nablus. Non ha mai visto il mare. Il Muro, che per l’85 percento non sta tra Israele e la West Bank, ma dentro la West Bank, tanto che è lungo più del doppio del confine, ha cancellato la libertà di movimento, e demolito l’economia: proprio quello su cui Oslo basava la pace. “Oggi l’unica è lavorare in Israele. Da operaio: vai a costruire gli insediamenti. Vai a costruire la tua rovina, invece che il tuo futuro”.
E per lavorarci, è necessaria un’autorizzazione.
Due autorizzazioni. Una di Israele, e una dell’Autorità Palestinese.
E ovviamente, sono rilasciate solo a chi riga dritto - è quella che i palestinesi bollano come: ‘la doppia occupazione’. Il mandato di Mahmoud Abbas, il presidente, è scaduto nel 2009. Le ultime elezioni sono state nel 2006.
Ma in realtà, questa è soprattutto una crisi israeliana. Di là dal Muro, si è votato cinque volte in quattro anni. E Netanyahu, che è di nuovo primo ministro, dipende dai coloni: perché senza i coloni, che dagli Accordi di Oslo, sono tre volte di più, non ha la maggioranza. E senza la maggioranza, non solo non ha il governo: non ha l’immunità per i processi per frode e corruzione in cui è imputato. Ha giurato il 28 dicembre. Dicendo che per Israele, è ora di espandersi in tutta la West Bank. L’Unione Europea gli ha inviato distratta un messaggio di benvenuto, ed è tornata a occuparsi di Ucraina.Il neo-ministro per la Sicurezza, Itamar Ben-Gvir, fu esonerato dalla leva perché ritenuto troppo estremista. E pericoloso.
Israele ha conquistato tutto, ormai. Ma che stato è?
Davvero lo stato che voleva essere?
Le manifestazioni, oggi, non sono più nella West Bank: sono a Tel Aviv.
“Ma con uno squilibrio così, che senso ha? Spari, sì: ma gli israeliani stanno nei blindati. Nei carrarmati. Non gli fai un graffio. Se spari, gli dai solo un motivo per spararti. E basta”, dice Hasan. Del 2011, l’anno della Primavera Araba, l’anno del Medio Oriente sottosopra, dice: “Non so. Non è successo niente”. E così il 2012, il 2013. Il 2014. E quindi, dice, come avrei potuto convincere mio fratello a non entrare nei Lions’ Den? Che alternativa avrei potuto proporgli? Che prospettiva? Non è colpa mia, dice. Giuro. Sta sotto la lapide di fronte. E Hasan sta qui, tutta la sera. Con una mano sulla lapide. “Penso solo: in fondo, Israele ti voleva morto. Cioè, non voleva proprio questo? Un palestinese in meno”.
Poi dice: “Che spreco”.
Dalla strada di sotto, intanto, arriva il chiarore dei lampeggianti. È l’esercito. Sta per iniziare un’altra notte di battaglia.
O più che di battaglia, di caccia. Nablus è tappezzata di foto di martiri, come si dice qui, le foto dei morti: ma per ora, i Lions’ Den hanno ucciso un solo israeliano.
Per ora, su Google la Fossa dei Leoni è solo la Curva Sud del Milan. ◘
di Francesca Borri