Lunedì, 02 Dicembre 2024

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Arte etica e libertà

Arte.

silvia romano2

Tempo fa abbiamo fatto cenno a un dibattito attualmente in corso nei musei occidentali, ovvero se rendere o meno le opere d’arte sottratte ai Paesi d’origine a seguito di guerre, conquiste e colonizzazioni. Tra il 2021 e il 2022 gli Usa hanno restituito all’Irak oltre 17.000 manufatti (tra cui la preziosissima tavola di Gilgamesh): rubati durante l’invasione statunitense, erano stati venduti, tra l’altro, alla Cornell University e al collezionista Steve Green. A dicembre scorso, i Paesi Bassi hanno restituito al Messico oltre 200 manufatti datati dal XIII secolo a.C. al XVI sec. d.C.

Il Messico promuove da anni una campagna di sensibilizzazione per scoraggiare l’acquisto d’arte pre-colombiana o d’interesse storico. Però, a causa di una legge inapplicabile all’estero, lo scorso novembre a un’asta parigina furono venduti oltre 80 oggetti. A nulla valsero le esortazioni per far rientrare in patria sculture e ceramiche olmeche, inca e maya. Solo una galleria viennese ha reso una figura di Tlaltecuhtli, dio azteco della Terra. La giustizia talvolta arriva laddove i suggerimenti non sono sufficienti. A New York, l’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan lavora a pieno ritmo per recuperare arte rubata; a Ginevra i fratelli antiquari libanesi Aboutaam hanno avuto guai con la giustizia per violazione delle leggi sul trasferimento di beni culturali e redazione di falsa documentazione sulle provenienze.

arte etica e liberta altrapagina marzo 2023 2Sebbene a Berlino il Neues Museum rifiuti di rendere all’Egitto il busto di Nefertiti e il Pergamon Museum non intenda riconsegnare alla Turchia l’Altare di Pergamo, lo Stato tedesco (che ha ridato una grande croce in pietra del XV secolo alla Namibia) ad agosto ha firmato il trattato per mandare definitivamente in Nigeria 1.100 bronzi del Benin. Altri manufatti dell’antico regno africano, razziati dalla Gran Bretagna nel 1897, sono in musei svizzeri. Il British museum di Londra (che solo per l’Africa sub-sahariana possiede 73.000 oggetti) non intende aprire la strada alle restituzioni. Per i marmi del Partenone propone un prestito, mentre il primo ministro greco ha promesso che, in caso di sua riconferma alle prossime elezioni, farà di tutto per riportarli in patria.

Le restituzioni vengono attuate, seppur con lentezza, nel caso delle spoliazioni subite da israeliti durante il secondo conflitto mondiale. Quelle su scala globale sono molto complesse e, come accennammo in precedenza, includono anche il ruolo di artisti e collettivi. Essi stanno, a vario titolo, prendendo posizione anche su una serie di tematiche legate al sistema mercantile che ruota intorno all’arte, nonché ai poteri geo-strategici che collimano con essa - vedasi, ad esempio, il ruolo della Francia e degli Usa nel creare il Louvre e il Guggenheim ad Abu Dhabi (da notare che in questa città, così come a Dubai, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina sono atterrati gli oligarchi russi con le loro collezioni).

Molti sono gli artisti (il britannico Banksy, la statunitense Nan Goldin, il russo Andrei Molodkin, il cinese Ai Weiwei…) che attraverso le loro opere denunciano le ingiustizie. Lo scorso dicembre, l’israelo-finlandese Chaim Zabludowicz, proprietario dell’azienda di armi Soltam Systems, è stato contestato da un nutrito gruppo di artisti in Finlandia, che hanno rimosso le loro opere da un importante museo al quale Zabludowicz elargisce cospicue somme di denaro. Lo accusano di rifornire l’esercito israeliano di armi usate nei territori palestinesi occupati, dove Zabludowicz, tramite una sua società immobiliare, costruisce edifici. Shirin Neshat, iraniana in esilio, con le sue opere denuncia da anni la dittatura del suo Paese d’origine. Lo scorso dicembre una lettera aperta è stata firmata, tra le altre, dalle artiste Cindy Sherman, Marina Abramović, Barbara Kruger e Kara Walker: si chiede alla comunità internazionale di boicottare le istituzioni governative iraniane e impedire qualsiasi loro presenza culturale nel mondo. In Afghanistan, quando i talebani hanno ripreso il potere, le prime a dover scappare sono state le artiste. Tra queste, Negina Azimi, Fatima Wojohat e altre appartenenti al collettivo “ArtLords” (nome scelto in contrapposizione ai “signori della guerra / war lords”), nonché Shamsia Hassani, graffitista già docente all’Università di Kabul. Con molte altre sognano di rientrare, un giorno, in un Paese libero. Intanto, cosa di non poco conto, con la loro attività creativa consolano le persone - soprattutto le donne - rimaste in Afghanistan, infondendo loro forza e coraggio. ◘

di Maria Sensi


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