Rubrica.
Il profluvio di commemorazioni, di ricordi, di riepiloghi che abbiamo letto, visto, ascoltato per la morte di Maurizio Costanzo era inevitabile. Quando se ne va un personaggio pubblico e in particolare un personaggio televisivo così popolare, la risonanza mediatica ed emotiva fra i tantissimi suoi ammiratori è normale, appunto.
Ma forse c’è qualcosa di “troppo” nei funerali di Stato, nella girandola di panegirici che la stampa e i media hanno prodotto, nell’ondata di cordoglio e di commozione fra la “ggente”: le migliaia di romani in fila per l’ultimo saluto alla bara nella camera ardente del Campidoglio.
Maurizio Costanzo è stato un grande giornalista, un intellettuale eclettico, un uomo di televisione che ha capito in anticipo certe tendenze della comunicazione pubblica e del linguaggio politico. Merita plauso e riconoscimento per ciò che ha realizzato brillantemente. Ma non è stato un eroe della patria. La sua iscrizione alla P2 (di cui peraltro Costanzo ha chiesto scusa apertamente), la sua lunga amicizia con Berlusconi and company... non sono proprio medaglie al valore.
Al di là dei fatti e dei rapporti privati di ognuno, è indiscutibile una sorta di bisogno collettivo di santificare i personaggi più popolari, che hanno comunque già avuto ampiamente restituiti nella loro vita i meriti che si sono guadagnati. Indiscutibile la tendenza dei media a spettacolarizzare tutto: nascite, matrimoni, divorzi e perfino la morte.
C’è una retorica della “celebrazione” dei vip assai nota, nata già insieme alla cultura di massa, ma che sembra avere assunto dimensioni crescenti soprattutto con il fenomeno delle reti sociali, dove ogni pincopallino cerca la sua visibilità. Riguarda i vivi e i morti, si nutre di una spinta incontenibile a offrire il proprio consenso a larghe mani, con una generosità acritica e incondizionata, che appare inquietante. Questo “pieno”, perfino questo “eccesso” di palcoscenico probabilmente riempie in qualche modo un “vuoto”, di sicuro quello dei valori tradizionali, che hanno attraversato millenni di civiltà: la sobrietà per esempio, l’onestà, il rigore della verità, che sembrano essere divenuti obsoleti. In questa enfatizzazione rumorosa la morte è un momento molto favorevole per riempire la scena di parole, fiori, riti, sfilate…
Alla fine tutto ciò che fa notizia fa denaro. ◘
di Daniela Mariotti