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La strategia del caos e la barbarie dell’ordine mondiale attuale impongono ai movimenti democratici, sociali, pacifisti l’urgenza di organizzarsi, di unirsi nella loro pluralità, per affermare un pensiero e una azione radicali, per fermare le guerre e promuovere una politica di pace. Adesso, prima che sia troppo tardi. E non c’è altra possibilità se non rivitalizzare la democrazia come sistema di valori e regolamento internazionale di governo, e puntare sulla cultura come unica arma in grado di rispondere alla crisi di pensiero che l’umanità sta attraversando e che costituisce il vero problema che sta portando l’umano sull’orlo dell’abisso.
E ribadisco quello che ho sempre affermato, dobbiamo farlo noi, i cittadini, i movimenti, perché il mondo è pericolosamente caduto in quella che la letteratura e la storia hanno tramandato come la “trappola di Tucidide”. Cioè la geopolitica come azione degli Stati per garantire i propri “vitali interessi strategici e di sicurezza”. I propri contro quelli degli altri. È una concezione che porta dritti alla guerra.
Ci troviamo a un bivio della storia nel quale la costruzione di un sistema di regole e di istituzioni internazionali, a partire da una comunità di destino planetario, è l’unica soluzione realistica, che non può che derivare dalla iniziativa dal basso delle genti e dei popoli. Politica dei popoli finalizzata a costruire rapporti cooperativi tra Stati contro geopolitica dei potenti ossificata nel mantenimento delle attuali e insostenibili conflittualità. Non c’è alternativa, non si sfugge a questo confronto.
Per comprendere quello che voglio affermare divido, semplificando, la storia in tre fasi: 1) Quella dell’ascesa dell’Europa, della conquista del mondo cominciata con la colonizzazione delle Americhe nel 1492 e durata fino al XV secolo. È l’inizio della globalizzazione e le potenze europee sono padrone del mondo. 2) La seconda, rappresentata dall’ascesa degli Stati Uniti che diventano la nazione più potente mai apparsa sulla Terra. 3) La terza, quella nella quale siamo immersi, che definirei “l’ascesa degli altri”.
È la negazione dell’essenza di questa terza fase, caratterizzata dal multilateralismo, che fa scattare la “trappola di Tucidide”. E che potrebbe far esplodere una guerra tra Stati Uniti e Cina, con effetti devastanti per gli umani su questo pianeta.
La guerra in Ucraina è prodromo e pezzo non secondario di questa “guerra grande”. Questo lo aveva capito già nel V secolo avanti Cristo lo storico ateniese che, analizzando la guerra del Peloponneso tra Sparta ed Atene, attribuiva lo scoppio della guerra alla crescita della potenza ateniese e al terrore che questo ingenerava nella rivale, e fino ad allora egemone, Sparta. È comprensibile a chiunque la pericolosa analogia con l’attuale fase storica, con una potenza a lungo dominante come gli Stati Uniti che si trova a fronteggiare una potenza emergente, la Cina.
Il paradosso è che in tempi come in quelli in cui viviamo, con una dotazione di armamenti convenzionali e nucleari capaci di produrre effetti devastanti a livello globale, il paradigma che guida l’azione dei governanti è lo stesso di 2.500 anni fa. È evidente che oggi abbiamo bisogno di democratizzare il sistema di relazioni internazionali e di un nuovo ordine mondiale. La Cina non è in grado di rappresentare da sola il nuovo centro dell’ordine mondiale. Ma senza il dialogo con la Cina, un nuovo ordine mondiale, inevitabilmente multilaterale e policentrico, non potrà nascere. L’idiozia analitica del professore americano Francis Fukuyama è stata spazzata via dalla realtà, e la narrazione autogratificante che come occidente ci siamo fatti sulla “fine della storia” si è rivelato un bias, processo che la psicologia definisce come distorsione cognitiva che crea una propria realtà soggettiva non corrispondente al reale.
Nel 2023 il 50% dell’intero Pil mondiale sarà prodotto da due soli Paesi, l’India e la Cina. L’Europa e gli Stati Uniti produrranno il 10%. Il 40% sarà prodotto dai restanti Paesi. Cambiamenti così profondi non possono essere gestiti con la tradizionale visione della politica internazionale, quella che considera il mondo il luogo dell’anarchia senza regole, popolato da nemici concorrenti con i quali è possibile solo competere e scontrarsi. Anche con la guerra. Ma questo non è vero. Mai come oggi le crisi sistemiche globali stanno dimostrando che le esigenze di popoli e nazioni non solo non sono incompatibili, ma che si possono affrontare solo cooperando. ◘
di Daniela Mariotti