Lunedì, 11 Novembre 2024

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Umbria a rischio?

Criminalità. Intervista al Procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone.

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Raffaele Cantone è Procuratore della Repubblica di Perugia da tre anni. Prima di assumere questo ufficio è stato Presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) dal 2013 al 2019, ha prestato la sua opera in qualità di magistrato alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, e successivamente  è stato designato alla DDA (Direzione Distrettuale antimafia) di quella Procura.  Grazie a questa esperienza di contrasto alla criminalità organizzata è divenuto una delle figure più significative in questo campo a livello nazionale e non solo. Ha accettato di rispondere ad alcune domande proprio sul tema delle criminalità mafiose presenti in Umbria.

L’atteggiamento di questa Regione verso le mafie è stato in un primo momento rassicurante: “la mafia qui non esiste”. Successivamente, con la presenza di alcune figure apicali nella gerarchia criminale e di famiglie malavitose per provvedimenti di protezione, l’atteggiamento è cambiato: “l’Umbria è solo un luogo dove nascondersi”. La terza fase è quella attuale, in cui la presenza delle mafie comincia a farsi sentire.

«Mi sono occupato in passato di criminalità organizzata in contesti in cui questa era radicata e non possiamo fare assolutamente paragoni fra le due realtà. Questa è una zona in cui non esistono gruppi criminali autoctoni e stanziali; esistono situazioni di infiltrazioni che sono oggettivamente pericolose, ma che allo stato non hanno intaccato il tessuto connettivo regionale; non si è creato, per fortuna, in nessun luogo quel clima tipico delle organizzazioni mafiose: l’omertà e le attività illecite controllate dall’organizzazione».

Eppure gli allarmi sono continui e ripetuti.

umbria a rischio altrapagina aprile 2023 evidenza 2«Ci sono indici che riguardano il rischio di infiltrazioni in ambito economico e un conseguente pericolo di riciclaggio. Un altro aspetto che credo che sia invece un po’ sottovalutato riguarda la presenza in Umbria di gruppi criminali stranieri che monopolizzano soprattutto il traffico di droga e che si stanno organizzando secondo logiche non da semplici spacciatori, ma di clan, di organizzazioni che sono in grado di dare a propri associati ogni tipo di assistenza: case, cellulari, stipendi, assistenza legale; un sistema che mutua moltissimo dalle logiche mafiose.  Questi gruppi cominciano a infiltrarsi ancheattraverso investimenti in attività economiche». 

Quali sono i “reati spia” indicatori di queste realtà in un contesto economico così infiltrabile, e quali gli ambiti di azione preferenziali: compravendite immobiliari, curatele fallimentari, cambi di gestione dei pubblici esercizi, noleggio veicoli e mezzi di lavoro, brokeraggio finanziario fuori dall’ambito bancario, commercio ambulante…?

«I “reati spia” riferiti alla criminalità organizzata tradizionale (mafia, ‘ndrangheta e camorra) sono soprattutto economici e riguardano fatturazioni per operazioni inesistenti, i reati fiscali in generale, i reati fallimentari  e il riciclaggio. L’indagine sugli ambiti indicati nella domanda è difficile, perché la criminalità organizzata rispetto a meccanismi di questo tipo è molto più strutturata di quello che immaginiamo. Se noi proviamo a indagare sul cambio di proprietà di attività economiche, probabilmente troveremmo situazioni a tutti gli effetti lecite, né possiamo ritenere che l’unico elemento sospetto sia la provenienza degli amministratori: non sarebbe corretto criminalizzare i tanti calabresi onesti che in questa Regione registrano una presenza significativa. In altri casi abbiamo verificato, per esempio, che società di soggetti sicuramente inquinati erano intestate a umbri. Questi indici dunque sono molto più interessanti dal punto di vista sociologico che dal punto di vista giuridico. La nostra attività deve concentrarsi moltissimo sulle attività economiche, cioè sugli investimenti. I criminali, più che la criminalità, appena arrivano in Umbria comprano, si specializzano in alcuni settori. È emerso già da alcune indagini, ad esempio, come sia un settore sensibile quello della compravendita di prodotti petroliferi e sono spuntati in quel contesto soggetti collegati alla criminalità organizzata».

La criminalità, come abbiamo visto in Sicilia e in Calabria, si appoggia moltissimo sulla massoneria. L’Umbria è la terza regione per densità massonica. Si hanno evidenze di vicinanza o contiguità tra queste due entità in Umbria?

«Non abbiamo notizie di infiltrazioni specifiche delle logge locali nella criminalità organizzata. La mia impressione è che esse siano molto autoreferenziali e il dato giudiziario certo è che questi elementi non sono mai emersi. Segnalo, tuttavia, una stranezza che in qualche modo ricollego a questa presenza: in tre anni che sono a Perugia non ho ancora visto una denuncia per usura di imprenditori».

Quale relazione esiste tra le due realtà?

umbria a rischio altrapagina aprile 2023 evidenza 3«Quando si è manifestata la pandemia, gli esperti di economia avevano previsto una impennata dei casi di usura, in particolare in quelle Regioni la cui economia si fonda sul terziario e sui servizi rispetto ad altri distretti regionali diffusi nel Paese a prevalente sviluppo industriale. Nella fase del contagio la produzione industriale non si è fermata, turismo e servizi sì. Teoricamente l’Umbria, la cui economa privilegia turismo e servizi, avrebbe dovuto subire maggiori danni. Invece non ci sono state denunce per usura. Perché? Una risposta potrebbe essere che gli aiuti a molti imprenditori siano arrivati da solidi rapporti esistenti tra di loro, che potrebbero anche essere giustificati da legami di tipo massonico. Le uniche denunce pervenute sono quelle per l’usura bancaria, cosa ben diversa da quelle di imprenditori in difficoltà che si rivolgono allo strozzino. Quindi è difficile trovare una spiegazione criminale, se non l’esistenza di solide reti di rapporti che consentono di assorbire questi fenomeni».

Le istituzioni e non solo, i Comuni, l’Agenzia delle Entrate, anche gli organismi professionali, il mondo del notariato, potrebbero costituire una prima soglia di attenzione di questi fenomeni?

«La difficoltà di trovare notizie di reato che riguardano la criminalità organizzata è il vero problema. Abbiamo pochi processi di criminalità organizzata mafiosa. Sono pochissimi anche gli “spunti investigativi”, ossia quelle situazioni che non sono oggettivamente delle notizie di reato, ma che costituiscono un allarme da attenzionare. Le situazioni di “alert”, ossia di allertamento, potrebbero arrivare da molte realtà, oltre che dalla Polizia e altre fonti: la partecipazione ad appalti di aziende sospette o lo stanziamento di certi gruppi familiari in contesti particolari... A oggi, che mi risulti, questi dati sono oggetto di segnalazioni sporadiche. Mancano inoltre segnalazioni di infiltrazioni criminali dal territorio: denunce dagli enti pubblici, denunce di privati, denunce di associazioni. Al di là di generiche affermazioni di principio “in Umbria c’è la mafia”, “in Umbria c’è la ‘ndrangheta”, a oggi non ho visto denunce concrete di fatti specifici.  Tutto ciò significa che non ci siano emergenze di questo tipo?».

Si segnala l’arrivo di manodopera specializzata nell’edilizia e anche nella Sanità, di cui non si capisce quali siano le filiere di reclutamento. È stato osservato che dopo il 2008 molte aziende si sono trovate in difficoltà finanziarie, ma sono riuscite comunque a rimanere a galla. È quello che lei ha detto?

«Abbiamo indagini che fanno intravedere fenomeni di intermediazione di manodopera più o meno leciti, ma non da farci supporre infiltrazioni della criminalità organizzata. Abbiamo invece verificato situazioni di sfruttamento in alcuni settori specifici che riguardano soprattutto i lavori agricoli con l’impiego di soggetti stranieri. Ma anche qui non mi sentirei di evidenziare situazioni di patologia, tipo il caporalato».

La Magistratura contabile ha evidenziato molte storture nella gestione della Sanità regionale, in particolare nell’affidamento degli appalti, i danni erariali arrecati, ecc. Una Sanità peraltro funestata da Sanitopoli e Concorsopoli. Quali rischi di penetrazione della criminalità esistono nella Sanità umbra?

«La Sanità è senza dubbio un settore in cui c’è il maggiore afflusso economico e per certi versi anticiclico. Anche nei momenti di crisi l’unico luogo dove i soldi arrivano, vedi la pandemia, è la Sanità. Devo dire che dopo Sanitopoli non ci sono state evidenze di fatti eclatanti dal punto di vista delle indagini. Vale per la Sanità ciò che ho detto prima: il livello di informazioni che arrivano è molto ridotto, non abbiamo segnalazioni che possano suffragare l’idea che ci siano attività illecite in corso.

Anche qui mi sentirei di avanzarla qualche perplessità, su questa calma apparente e piatta. Tutto è rientrato nella legalità o i fenomeni illeciti sono sotto traccia?».

Lei ha affermato che la parola “corruzione” nel Pnrr non esiste. Si tratta di una osservazione sfuggita a molti commentatori politici e non solo. Come interpretare questo fatto?

«Nella fase che si è aperta nel 2020 con la pandemia, il tema della legalità è stato messo da parte. È stata modificata, di fatto abrogata, la norma sull’abuso d’ufficio che rappresenta per noi il principale “reato spia” per fare indagini sulla pubblica amministrazione. Spesso sento dire “abroghiamo l’abuso d’ufficio”. Mi chiedo cosa ci sia da abrogare: le modifiche apportate alla norma lo hanno di fatto reso già inattuabile. C’è stato un abbassamento dell’attenzione e, per quanto riguarda il Pnrr, il rischio corruzione non è stato preso in considerazione affatto. Il tema rimane, invece, ancora di attualità, perché è stato speso poco, pochissimo. Le vicende illecite collegate ai superbonus confermano che non c’è da stare tranquilli: su quei temi sono state fatte indagini rigorose, anche in Umbria, e abbiamo trovato situazioni di gravissima illiceità, in situazioni di assenza di  controlli».

A proposito della trasparenza, il trattamento dei rifiuti ha un livello di opacità elevatissimo, da una parte per la complessità della gestione, dall’altra perché c’è una miriade di operatori. La trasparenza in questo settore, che è poi quello della pubblica amministrazione, è accettabile?

«Il tema dei rifiuti è molto delicato. L’Umbria continua ad avere un sistema di smaltimento che fa molto leva sulle discariche e ormai sappiamo che la loro presenza si presta a fenomeni di inquinamento e di presenza di criminalità organizzata. Secondo aspetto non secondario è costituito da un reticolo di società pubbliche, partecipate o controllate, che in passato sono già state oggetto di indagine – ricordo il processo a Gesenu che si sta celebrando a dibattimento ma in cui molte imputazioni rischiano di finire in prescrizione –. Il sistema delle società pubbliche, che apparentemente dovrebbe garantire una maggiore presenza pubblica, finisce, per lasciare qualche perplessità soprattutto quando esse operano in accordo con privati».

La governance è nelle mani dei privati?

«Non proprio. Il problema vero è che la governance delle società che operano nel settore dei rifiuti consente loro di muoversi con una maggiore elasticità rispetto alla pubblica amministrazione nella scelta dei partner. Quindi, ciò che il pubblico non può fare, queste società finiscono per farlo, annacquando le regole della governance. E se da un lato il sistema potrebbe garantire l’efficienza, dall’altro si espone anche a fenomeni di infiltrazione non necessariamente legati alla criminalità organizzata, ma a interessi clientelari e di potere».

In pratica le amministrazioni pubbliche che partecipano nelle società di gestione dello smaltimento dei rifiuti sono informate dalle società, ovvero i dati che le società elaborano e che poi hanno delle ricadute nei bilanci pubblici, sono quelli dell’apparato tecnico del privato.

«Questi sistemi sono stati creati per aggirare sia i vincoli economici sia i vincoli relativi ai contratti pubblici. Nella società pubbliche per lungo si è potuto assumere senza concorso e ancora adesso vi sono procedure semplificate per le assunzioni; non sempre, inoltre, rispettano le regole sugli appalti. Esse sono state create per muoversi in modo molto più agile rispetto al pachiderma pubblico e questo dovrebbe garantire l’efficienza. Il fatto è che se tu ti muovi con grande libertà, accanto all’efficienza c’è il rischio di creare l’arbitrio o il clientelismo. In tutto il Paese spesso è così». ◘

di Antonio Guerrini e Andrea Chioini

 


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