Quando il vento dell'est.
In una sera del mese scorso seguivo, con una certa indolenza, la trasmissione, su “Arte tv”, di Elisabeth Quin: “28 minutes”. Mi aveva incuriosito il titolo: Le travail e la paresse (Il lavoro e l’ozio). La conduttrice era, come al suo solito, discreta e disinvolta. Dava la parola ai tre invitati con un intercalare raffinato, un po’ come Lilli Gruber sulla TV7 quando trasmette il suo “Otto e mezzo”. Perché quel titolo “il lavoro” contrapposto “all’ozio”? L’ozio riprovevole, irresponsabile, “il padre di tutti i vizi” commentava Franz Kafka. Al tempo dei greci e dopo dei romani, più di duemila anni fa, l’ozio era considerato un tempo piacevole, libero da occupazioni e lontano dalle fatiche della vita pubblica. Un momento distensivo spesso conveniente a meditazioni intellettuali e anche spirituali. L’ozio come liberazione dalla fatica del “negozio”, dal lavoro e dalle preoccupazioni. Un’occupazione in libertà, per la cura dei bambini e degli anziani, per una passeggiata, per discutere con gli amici, per leggere un libro o ascoltare musica. Nel nostro vivere quotidiano l’ozio viene considerato come sinonimo di sfaccendato, sfaticato o, ancora peggio, di scansafatiche: guai a confessare che non si ha voglia di lavorare! Un peccato mortale che la nostra “Giorgia nazionale” considera con palese disprezzo. «C’è lavoro per tutti e tutti possono essere occupabili» ripete dalla televisione, leggendo il suo “quadernetto di Giorgia”, quindicinale.
Tang Ping.
Nella cultura occidentale (particolarmente negli Usa e in Europa) esiste una Cina immaginaria: giornalisti, scrittori, reti televisive, “esperti sinologi” lavorano alacremente e infaticabilmente per sconnettere e scompaginare la Cina reale: «non c’è libertà in Cina – il comunismo opprime violentemente gli esseri umani – le religioni sono abolite – la democrazia è stata cancellata – persecuzioni e orrori …». I cinesi rispondono affermando che il popolo cinese, in molte situazioni, assomiglia a qualsiasi altro popolo. Tang Ping vuol dire “fermarsi e stendersi per terra”, riflettere perché si è stanchi, desiderio di dedicarsi al proprio corpo e alla propria spiritualità. Viene in mente il dibattito di “Arte tv” sul lavoro e l’ozio. Nel 2021 è nato in Cina un movimento di migliaia di giovani che si sono opposti al lavoro stressante e disumanizzante, declinato come “996”, cioè lavorare dalle 9 del mattino alle 9 di sera per 6 giorni alla settimana. «Il nostro lavoro è come un rat race, una pazza corsa di topolini, senza possibilità di vita personale». “China South Morning Post”, nel maggio/giugno del 2021, ha realizzato un sondaggio, su “Weibo”, social network cinese, su 241.000 giovani dai 17 ai 33 anni. Il risultato è stato che il 61% condivideva il concetto di lying flat attitude (l’atteggiamento di calmarsi, sdraiarsi per terra ecc.), che il 41% era molto d’accordo con quel concetto e che il 18% vorrebbe aderire ma che è impossibilitato a farlo per rispetto delle proprie responsabilità. Ecco come possono reagire i giovani del “socialismo alla cinese”. Liberi e disponibili anche al cambiamento profondo. Tang Ping. Molti di questi concetti sono esemplificati nel libro, in lingua francese, di Ruoling Zheng: Les chinois sont des hommes comme les autres – Ed. Denoel – 2013. ◘
Di Mauro Armanino