Un centro adatto alla ristorazione. Ma i clienti?

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Città di Castello. La crisi infinita del centro storico Inchiesta parte quarta..

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Possibile che la crisi del commercio nel centro storico finisca con il lasciarci solo una Città di Castello tutta da bere e da mangiare? Ossia, un centro urbano brulicante soprattutto di bar, caffè, ristoranti, pizzerie e via dicendo?

Gironzolando tra le vecchia mura tifernati, ho contato 27 tra bar, caffè e pub, e 14 tra ristoranti e pizzerie. Si addensano soprattutto tra le piazze principali e il corso. Non è messo male il rione San Giacomo. Maluccio invece il Prato. È chiaro – ed è normale – che tutti questi locali cerchino di attrarre una clientela ben più vasta di quella che possa offrire un centro storico poco abitato. Alcuni si sono ormai affermati e consolidati. Altri invece hanno una vita più stentata. In alcuni casi, purtroppo, locali un tempo adibiti ai vari tipi di ristorazione hanno le serrande inesorabilmente abbassate. Insomma, non è facile avviare un’attività commerciale in questo settore; talvolta è ancora più difficile tenerla in vita.

Chi nel centro urbano ci sta, o ci capita con frequenza, si rende ben conto della situazione. Talvolta, anche in ore di punta, Città di Castello appare quasi vuota. Un deserto con poche oasi qua e là; dei viandanti che lo percorrono andando svelti in qualche negozio o ufficio. Fino a qualche anno fa era costume che, in tarda mattinata e la sera, il centro si popolasse di gente. Non avviene più. Solo le mattine dei giorni di mercato la città appare animata quasi come un tempo. Ci sono momenti della giornata nei quali così poca gente frequenta il centro storico, che vien da domandarsi come facciano a resistere quei commercianti che ancora vi lavorano.

È vero che certe trasformazioni sono epocali, inarrestabili, forse irreversibili. È altrettanto vero che, in tale contesto, ci sarà una selezione darwiniana ancor più spietata anche delle attività dedite alla ristorazione. Dispiace dirlo, ma la realtà è questa.

Chi opera nel centro storico avrebbe bisogno di contare sulla clientela che abita nella estesa periferia tifernate. Ma chi risiede nei rioni periferici molto spesso preferisce rimanere lì. E cerca locali nelle vicinanze. C’è da capirli. Anche se questi rioni sono tutto sommato vicini al centro, la possibilità di raggiungerlo a piedi o in bici è di fatto preclusa (o sconsigliabile), per la mancanza di percorsi ciclo-pedonali protetti e gradevoli. Io che insisto ad andare in centro quotidianamente dal rione Salaiolo-La Tina ho due percorsi possibili: 1) Lungo via Ferrer, senza marciapiede e con un incrocio “cieco” e privo di passaggio pedonale; e poi viale De Cesare pericolosissimo in bici. 2) Attraverso il sottopasso ferroviario di viale Moncenisio, anch’esso pericoloso e con pendenze ripide; assolutamente sconsigliabile per anziani e bambini. Insomma, chi deve andare in centro alla fine è costretto a prendere la macchina, nonostante che disti meno di 10 minuti a piedi e ancor meno in bici. Così molti preferiscono restare nel rione.

E che dire dei residenti alla Madonna del Latte? Da lì a piazza Garibaldi è appena un chilometro. Sarebbe un sano esercizio per tutte le età fare una passeggiata in centro o raggiungerlo in bici. Ma bisognerebbe percorrere via Bologni e via De Cesare, transitatissime e prive di un decente percorso ciclopedonale, con marciapiedi malmessi e talvolta occupati da macchine in sosta.

E chi abita a Montedoro e a San Pio? Vicinissimi al centro, che però appare più lontano proprio per come viale Martiri della Libertà è stretta, disagevole, con punti pericolosissimi.

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Segnalammo anche qualche anno fa questa grave cesura tra centro e periferia, che concorre enormemente allo scadimento del centro storico. Ma non è servito a niente. Nemmeno coloro che in questi quartieri ci abitano, né le società rionali che li rappresentano, hanno chiesto pressantemente agli amministratori locali di fare qualcosa. Forse non lo sentono come un problema? Se fosse così, la speranza di veder risorgere il centro storico si affievolirebbe considerevolmente. Non giova molto riempirsi la bocca di “piazza Burri” come snodo fondamentale per la rinascita urbanistica della città. In parte è vero, ma non si può rinviare a chissà quando (e a chissà chi) la questione molto pratica di come far affluire la gente di periferia verso il centro.

Intanto si sente parlare di vocazione turistica della città, di una città che dovrà essere meta di flussi importanti di visitatori; e quindi di un turismo che potrà risollevare le sorti del commercio del centro storico. Non guasterebbe un bagno di realismo. Il centro si riempie di gente solo in occasioni di particolari eventi; e non necessariamente essi si traducono in affari per i commercianti o per i ristoratori. Chi frequenta il centro la domenica mattina ha la sensazione di una “città fantasma”. Prima almeno si riempivano le chiese; ora nemmeno quelle. Ma nemmeno in altri orari – tranne in alcuni momenti dell’estate – si riesce ad apprezzare un flusso di visitatori tale da creare prospettive per il commercio locale. Speriamo davvero che la mole del turismo cresca; ma intanto tocca agli stessi tifernati ridare vita al proprio centro storico. ◘

di Alvaro Tacchini