Domenica, 06 Ottobre 2024

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Trattati ineguali

Quando il vento dell'est....

silvia romano2

Ancora qualche parola sull’isola cinese di Taiwan dopo l’articolo denso e puntuale di Michele Martelli sull’ultimo numero de l’altrapagina: rifacciamo il film della storia di più di un secolo con un rapidissimo flashback. Immaginiamo di essere nel 1920, al tempo della nascita del Partito Comunista cinese e del mitico primo Presidente della giovane Repubblica cinese Sun Yat sen (della sua figura dovremmo parlarne in un altro articolo). Fin da allora il primo Presidente della Repubblica cinese aveva dichiarato “ineguale” ogni trattato con le potenze coloniali vincitrici dopo le catastrofiche, per l’Impero cinese, “Guerre dell’oppio”. “Trattati ineguali perché un attentato alla sovranità e all’integrità della giovane Repubblica cinese. Il popolo cinese ricorda ancora oggi con grande amarezza quel periodo storico chiamandolo significativamente “la grande umiliazione di un intero popolo”. Tra i trattati con le potenze che si spartivano la Cina, ve ne era uno con il Giappone emergente. Si chiamava Shimonoseki. Dichiarava che l’isola di Taiwan veniva ceduta con altre isole cinesi all’impero del “Sol Levante”. Fin dalla metà del 1800 l’impero cinese, sfinito, sconfitto, diviso e tiranneggiato pagò un prezzo terribile: l’umiliazione e la dispersione. Il conosciutissimo scrittore cattolico Georges Bernanos ebbe a dire: «in fondo, i potenti nemici della società non sono (solo) i tiranni e gli sfruttatori, ma quelli che proseguono implacabilmente nell’umiliazione dei popoli». Shimonoseki, Wangxia con gli Stati Uniti, Nankino (il più imponente!) con l’Inghilterra, Whanpoa con la Francia, tutti trattati “ineguali”. In quel tempo, dopo il trattato “ineguale” di Pechino, avvenne la miserabile distruzione del Palazzo Imperiale d’Estate di Pechino, un patrimonio dell’umanità incendiato, devastato e sottoposto a ruberie di ogni genere. “Bisognava dare una lezione da non dimenticare ai «cinesi “barbari” da parte degli europei “civilizzati”» dirà Victor Hugo, protestando indignatissimo. Le fameliche potenze vincitrici si chiamavano Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Impero Austro-Ungarico, Germania e Italia. (Sì, anche l’”Italietta”!).

La Cina oggi.

La Cina di oggi non è più quella di un secolo fa e nemmeno Taiwan lo è con i suoi 25 milioni di abitanti. La Cina ha riacquistato tutta la integrità territoriale e la sua dignità. Fa bene Michelle Martelli a ricordare il “Pivot to China” di Obama e le parole “Indo-Pacifico” diventate materializzazione geostrategica dell’Occidente. E poi tutte le basi militari americane intorno al mondo. Quelle basi militari rappresentano “Un cerchio gigantesco intorno alla Cina fatto di missili, bombardieri, navi da guerra, su uno spazio che attraversa il Pacifico e si estende ancora più in là” The Coming War on China (2016) e John Pilger Q&A ‘US missiles are pointed at China. Dal 2018 gli Stati Uniti dispongono di più di 800 basi fuori dai loro confini e sono pronti di volta in volta, irresponsabilmente, a minacciare e controllare il mondo. La Cina possiede una sola base nel mondo: a Gibuti. Fin dal 2009 Obama ha tenuto ben nascosto un piano brutale di attacco diretto alla Cina. Si chiamava AirSea Battle (ABS). L’allora ammiraglio Jonathan Greenert ha descritto ampiamente il “Pivot” obaniano dell’US Navy contro l’intera Asia e contro la Cina e le sue isole nel Pacifico in particolare. (Benjamin Schreer. A.M. Strategy – Planning the unthinkable war: AirSea Battle…).

In mezzo a questi orrori di una violenza inesauribile e forse terminale, non resta che citare la profezia buddista di Shambhala: citare le armi della compassione e della presa di coscienza. La compassione è piena di energia e potenza per avanzare e agire. Ma la profezia dice che senza la presa di coscienza, la sola compassione può “bruciare chi la esercita”. Rifuggiamo dalla lotta tra “il bene” e il “male” e usiamo la presa di coscienza riscaldandoci con il calore della compassione. ◘

di Antonio Rolle


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