Editoriale.
Fanno proprio tenerezza questi bambini sbarcati a Lampedusa, con occhi neri e scuri, avvolti in un foglio termico ricevuto dopo lo sbarco e si ritrovano soli senza l’appoggio di un adulto. Come la piccola Linda di quattro anni che ha attraversato il Mediterraneo perché i genitori sono stati bloccati dalla Guardia costiera tunisina nell’attimo della partenza. O il bimbo di sei anni che i genitori hanno affidato a un conoscente di fiducia. Storie di sofferenza e di coraggio, come il quattordicenne guineano che ha dovuto lavorare da schiavo e si appoggia a due coetanei che gli proteggono le spalle.
Hanno creato una specie di comunità: si spostano insieme, dormono insieme, fanno la coda insieme e non vogliono essere separati dato che la vita li ha affratellati nella sventura. Save the children sostiene che sono 300 o 400 i bambini che viaggiano con un adulto di riferimento. Ma arrivano a Lampedusa anche i bambini che giungono da soli e la partenza dal centro di accoglienza è abbastanza rapida.
Se la condizione dell’infanzia sulle sponde del Mediterraneo è preoccupante, altrettanto drammatico è quello che accade per i bambini ucraini: vengono deportati e trasferiti a forza verso la Russia e nelle zone occupate. Dei 20 mila rastrellati dai russi, al momento ne sono stati riportati in patria solo 361, nonostante l’impegno delle organizzazioni internazionali.
L’affluenza dei migranti e il prolungamento della guerra in Ucraina finiscono per far ricadere il peso sui più piccoli. Il loro futuro ci sta a cuore, ne va della nostra stessa esistenza. ◘
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