Cronache d'epoca.
Via XI settembre, si sa, prese il suo nome per ricordare quel giorno del 1860 quando le milizie italiane entrarono per porta San Giacomo. Staffetta vessillifera la biturgense Rosa Duranti, che sventolando il tricolore entrò in città prima del Generale Manfredo Fanti. Le truppe italiane entrarono in città cantando. L’unico colpo di fucile fu sparato dai “pontifici” all’altezza di Piazza Fucci (oggi Magherini Graziani), facendo secco un cane che certamente non s’era posto il dilemma di unire l’Italia. Anzi, per essere precisi, ci fu anche una vittima umana: Ercole Castori. Non morì colpito dal piombo nemico, bensì stroncato dall’emozione mentre salutava i liberatori agitando un tricolore affacciato al suo balcone all’inizio di porta San Giacomo. Per la cronaca, in città si mormorò che a uccidere il Castori non fosse stata l’emozione, ma un colpo sparato da un certo Balucco. Le 76 guardie pontificie furono fatte prigioniere e rispedite a Roma, perché «non sfoghi di vendetta turbino la nostra gioia. I popolo liberi sono generosi e perdonano», e i papalini se ne vanno. Meno uno. Non si sa perché. Non seguì i suoi compagni. Non si sa perché i tifernati tollerassero la sua presenza. Forse era stato espulso dalle guardie pontificie? Chissà! Non parlava una parola di italiano. A nessuno disse il suo nome. Forse voleva dimenticare lo specchio rotto di una memoria i cui frammenti taglienti non davano pace… I tifernati gli diedero un nome: “Primavera”, forse in omaggio alla nuova stagione italiana.
L’alloggio, Primavera se lo ricavò occupando una di quelle buche arcuate lungo il Pomerio San Giacomo, e ricavato dalle mura di cinta della città, dalle parti di casa Celestini, oggi Pirazzoli. Le “Cerche”, per capirci.
Lo descrivono alto di statura, il volto scavato e pieno di rughe, una barba che una volta era stata bionda, come i capelli lunghi sulle spalle, gli occhi chiari e tristi, ma colmi di ricordi che solo lui conosceva. Primavera visse qualche anno in quella buca che era la sua casa. Di notte, spesso, andava lungo il Tevere fino all’alba. Non chiedeva niente a nessuno. Nemmeno di essere lasciato in pace quando qualcuno lo dileggiava. Solo negli occhi e in un sorriso c’era la riconoscenza per chi gli portava qualcosa per sopravvivere. Quando veniva l’inverno, Primavera accendeva un fuoco fuori da quella buca. Da lontano la gente guardava quel fuoco. Da lontano, non per paura ma per rispetto. Primavera non si distaccava mai da una borsa che portava a tracollo. Era geloso di quella borsa. E i tifernati si domandavano cosa contenesse… Lo seppero una mattina quando trovarono fuori da quella arcuata buca la borsa vuota e dentro la buca Primavera morto con addosso una giubba delle guardie pontificie con il grado di sergente. Questo aveva contenuto quella borsa. I tratti del viso ormai distesi dalla morte, lo facevano sembrare molto più giovane. Primavera si era arruolato per una nuova storia.. ◘
di Dino Marinelli