25 APRILE. La nascita gemellare della Repubblica e della Costituzione. Partigiani ed Esercito di liberazione. Gli ideali traditi: la revoca del ripudio della guerra, le armi all’Ucraina e la guerra ai migranti.
Che cosa siamo venuti a celebrare? Stiamo celebrando la nascita di una Repubblica. Potremmo anche dire: la nascita di una Costituzione, perché Repubblica e Costituzione sono per noi dei sinonimi, simul stabunt et simul cadent dicono i giuristi, stanno insieme o cadono insieme, non possono stare l’una senza l’altra. Per questo quelli che tradiscono la Costituzione, che la deformano, che la violano, tradiscono la Repubblica o, come dicono loro, la Nazione.
Ma, come tutte le creature, anche la nostra Repubblica ha avuto una gestazione, ha sofferto le doglie del parto, e questa lunga e dolorosa gestazione fu l’antifascismo e la Resistenza. Durante la Resistenza ci fu l’azione partigiana contro le truppe di occupazione tedesche che marciavano in via Rasella a Roma. Per rappresaglia il giorno dopo, il 24 marzo 1944, i Tedeschi uccisero 335 uomini alle Fosse Ardeatine, che stanno a Roma, non stanno a Praga. Chi erano questi 335 uccisi, 10 per ognuno dei 33 tedeschi caduti, poiché questo era il calcolo della loro equazione tra Tedeschi e Italiani?
Io ne conoscevo uno, che abitava nel mio palazzo, in via Bosio 2, avevo allora 13 anni. Lui, la vittima, si chiamava Genserico Fontana, fu prelevato dai Tedeschi dal carcere di Regina Coeli, sotto gli occhi della moglie in lacrime, anch’ella detenuta per ragioni politiche. Chi era Genserico Fontana? Un italiano, certo, ma era un carabiniere di 26 anni, aveva organizzato un gruppo di partigiani per la Resistenza, catturato, si era rifiutato di svelarne i nomi, dopo mesi di carcere finì alle Fosse Ardeatine; di lui è rimasta una medaglia d’oro alla memoria e una targa sulla casa di via Bosio. Era dunque un italiano? Sì, ma era un carabiniere del Regio Esercito, un antifascista, un partigiano, un combattente per la libertà. Perché bisogna dire che anche dal Regio Esercito molti si schierarono contro i Tedeschi e si unirono ai partigiani. Dopo l’8 settembre l’esercito fu chiamato a combattere contro i Tedeschi, ci furono scontri a porta San Paolo, a Roma, a Cefalonia, nell’Egeo, a Corfù, a Spalato, in Sardegna; 87.300 furono i militari italiani caduti tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945.
Questo glielo diciamo a Giorgia Meloni, perché sappia da dove è nato il suo governo, sappia perché lei oggi può governare dopo il lungo tragitto fatto da underdog, come dice lei, dalla Garbatella a palazzo Chigi. Può governare perché in questo Paese con la lotta contro il fascismo abbiamo conquistato la democrazia, perché con la Liberazione anche le donne sono state liberate, hanno ottenuto i diritti politici e sono state chiamate a votare, non a dare figli alla Patria, anche senza lavoro, senza asili e senza cure adeguate; e se tutti oggi sono cittadini è perché abbiamo fatto una Costituzione che non è “afascista”, come voleva il monarchico on. Lucifero alla Costituente, ma antifascista.
Perché non possiamo dimenticare l’antifascismo? Per due ragioni. Perché l’antifascismo non è un’ideologia, ma è una categoria interpretativa della storia come il Rinascimento, come il Risorgimento, come la decolonizzazione.
E la seconda ragione è che, proprio per questo, i fascisti li avremo ancora con noi, come è successo anche dopo la Liberazione. Oggi il presidente del Senato La Russa si ferma a Trieste nel suo viaggio per Praga per recarsi ad altri luoghi di sterminio, ma a Trieste egli dovrà fare i conti col ricordo di Ettore Messana che era stato questore fascista di Trieste ma prima aveva installato e diretto la Questura di Lubiana in Slovenia durante l’occupazione italiana, organizzando camere di tortura, espulsioni, internamenti e persecuzioni di ebrei e di altri cittadini sospetti: fu indicato come criminale di guerra dalla Commissione delle Nazioni Unite ma poi riciclato e inviato come Ispettore generale di Polizia in Sicilia, dove ha trescato con la mafia favorendo nei processi i padroni espropriati dei feudi e rapportandosi con la banda Giuliano fino alla strage di Portella della Ginestra.
Ma la Resistenza non è stata solo italiana. È stata anche la Resistenza europea. E basta leggere le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana e di quelli della Resistenza europea per vedere come gli ideali degli uni e degli altri, il sogno per cui morivano, erano gli stessi, era il sogno della libertà, della giustizia, della pace per l’Italia e per ognuno dei Paesi europei coinvolti nel “flagello della guerra” che per due volte nel corso di quella generazione, come dice lo Statuto dell’ONU, aveva portato indicibili afflizioni all’umanità.
È per questa ragione che noi possiamo dire che non solo l’Italia, ma l’Europa, sta tradendo oggi il suo passato, che essa tradisce le ragioni per cui è nata, che sono la pace l’accoglienza, l’apertura agli altri mondi. Lo ha fatto con la guerra in Jugoslavia, lo ha fatto sobillando e partecipando alla guerra del Golfo per la distruzione dell’Iraq, lo ha fatto abbandonando per 70 anni i palestinesi al loro destino di oppressione e di apartheid, e lo sta facendo ora come dispensiera di armi e partecipe di una guerra a oltranza con la Russia, che è anch’essa Europa. Una guerra devastante che nella sua forma più cruenta certamente è stata iniziata l’anno scorso dalla Russia ma come guerra etnica era in corso dal 2014 nel Donbass ed è stata stimolata dalla NATO, andata ad abbaiare alle ultime frontiere rimaste sicure della Russia, come ha detto papa Francesco. Ed è questa una guerra che non può finire, perché essa non si può concludere con una vittoria, ma con una vera pace, con negoziati equi e capaci di mediare le ragioni degli uni e degli altri. La guerra si confermerà altrimenti come strutturante dell’ordine internazionale, e la prossima partita, una volta messa fuori gioco la Russia, come dicono i recenti documenti ufficiali pubblicati dalla Casa Bianca e dal Pentagono, sarà con la Cina, e questa comunque la si dovrà giocare e vincere, se inevitabile anche con la guerra, perché l’idea del mondo è che esso debba essere unificato sotto un unico potere, un solo dominio; questa è la “sfida suprema”, e a questa dovremmo partecipare anche noi, l’Occidente.
Ma noi per questo celebriamo il 25 aprile. Perché noi abbiamo un’altra idea del mondo. La nostra scelta è per la pace, è per la fedeltà ai valori e agli ideali della Resistenza italiana e della Resistenza europea. Noi pensiamo piuttosto che si debbano sviluppare le istituzioni e l’acquis communautaires dell’ordinamento delle Nazioni Unite.
Nella Costituzione italiana c’è scritto che l’Italia ripudia la guerra. È un termine forte, vuol dire rompere un legame indissolubile, che nella storia c’è sempre stato, della politica con la guerra. Non c’è scritto che l’Italia ripudia una guerra sì e l’altra no, ripudia la guerra di aggressione ma non la guerra umanitaria, ripudia la guerra come mezzo per la soluzione delle controversie internazionali ma non la guerra per la democrazia, per affermare i valori dell’Occidente, per distruggere la Russia, la Cina e fare un unico Impero.
C’è scritto che ripudiamo la guerra e tutte le guerre, compresa la guerra contro i migranti che stiamo combattendo quando impediamo i soccorsi nel Mediterraneo e quando ai migranti togliamo la protezione che chiamiamo “speciale” e invece dovrebbe essere ordinaria e senza limiti, perché l’immigrazione è un fenomeno strutturale, e se dieci anni fa c’erano 60 milioni di migranti oggi ce ne sono 100 milioni. La nuova lotta di Liberazione la dobbiamo fare oggi, guardando questo mare, che dobbiamo rendere un mare di umanità e di accoglienza.
Certo i migranti sono diversi da noi, parlano altre lingue, praticano altre religioni, spesso hanno anche un altro colore. Ma la pace si fa appunto con quelli che sono diversi da noi, perché l’alternativa è una sola: o gli altri li riconosciamo come eguali, come compagni, come “fratelli” della stessa umanità, tutti “nati da donna”, come noi, oppure li trattiamo come nemici. La pace vuol dire non avere nemici. Cutro non si deve ripetere; la domanda di vita, di libertà, di accoglienza, di giustizia, viene oggi da lì. Da questo mare che da qui contempliamo. ◘
di Raniero La Valle