Intervista a Marcelo Barros, teologo e biblista.
Marcelo Barros, biblista e teologo, è stato il più stretto collaboratore Hélder Câmara, il vescovo dei poveri. Marcelo ha un rapporto di lunga data con l’altrapagina che lo ha invitato più volte ai nostri convegni su alcune problematiche di attualità. Con lui parliamo delle minoranze che vivono nell’interno del Brasile
Cosa pensi delle migrazioni come fenomeno globale e quali sono le cause?
«Secondo le informazioni raccolte nel Rapporto sulle migrazioni nel mondo dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite (OIM) 2022, a partire dal 2020, il numero di persone che, in tutto il mondo, migrano in un altro Paese è salito a più di 281 milioni. Il numero dei rifugiati, persone sfollate a causa di guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani è anche aumentato velocemente.
Le cause sono molte; la più comune è la situazione economica e la insicurezza di vita nelle regioni dove le persone vivevano. La società è organizzata per distruggere il lavoro e la immensa moltitudine dei disoccupati crea questa situazione.
In Brasile ci sono molti migranti ecologici: persone che sono costrette ad abbandonare la propria casa, a causa di disastri naturali (inondazioni, pioggia, siccità, ecc). In tutto il mondo i poveri sono sempre le prime vittime di questa realtà drammatica».
Tu vivi nel Nordest del Brasile a contatto con le popolazioni indigene. Cosa subiscono gli indios nella regione amazzonica e quali le cause?
«La regione amazzonica si estende per nuovi paesi del continente sudamericano, anche se il territorio più estenso sta in Brasile. Soltanto nella regione amazzonica del Brasile vivono circa 180 popoli indigeni, con una popolazione totale di circa 208.000 individui, 77% di tutti gli indios che vivono in Brasile. Si tratta di popoli con le più diverse situazioni di relazione e di contatto con le società non indigene, marcatamente occidentali e urbane. Lì stanno dei popoli resistenti, conosciuti anche come popoli risorgenti, e esistono ancora dei gruppi liberi, isolati che non hanno alcun contatto con le società nazionali.
Si stima che all’inizio della colonizzazione europea in Brasile, ci fossero più di cinque milioni di persone. Oggi sono poco più di un milione, di cui poco meno della metà vive ancora nei villaggi tradizionali. La maggior parte sopravvive nelle periferie delle città, generalmente in situazioni di estrema povertà».
Una colonizzazione che continua ancora?
«Durante l’epoca coloniale sono stati perseguitati e costretti a vivere come schiavi dei bianchi. Fino a poco tempo fa molti gruppi indigeni sono stati vittime di violenti massacri da parte dei grandi proprietari terrieri che volevano le loro terre. Attualmente le compagnie minerarie causano la morte di bambini e adulti, avvelenati dal mercurio gettato nei fiumi. Le compagnie di taglio distruggono le foreste per vendere il legno e portano deliberatamente malattie nei villaggi indigeni, già vittime della fame e dell’abbandono da parte dei governi. Ora che ha assunto la presidenza della Repubblica, il presidente Lula ha creato un Ministero per i popoli indigeni e ha nominato ministro una donna india, ma la realtà migliorerà solo a poco a poco e dipende dall’intera società brasiliana e mondiale.
Nel momento in cui vi scrivo, più di 500 indigeni (uomini, donne e bambini) danno vita a un accampamento chiamato “Terra Indigena” davanti al Congresso Nazionale in Brasilia, per chiedere che vengano mantenute con urgenza le promesse fatte dal governo di proteggere le loro terre e dare loro il diritto di abitarle. Non vogliono essere proprietari. Vogliono esserne i custodi della terra».
In Brasile cresce la violenza nei confronti delle minoranze indigene e afrodiscendenti. Quali sono i motivi e le responsabilità?
«Il Brasile è stato l’ultimo Paese del continente ad abolire lo status giuridico della schiavitù. E quando, alla fine del XIX secolo, il governo brasiliano decretò la “liberazione” (non fu liberazione) dei neri e degli indigeni, questi dovettero abbandonare i loro lavori, i mulini e le aziende agricole e furono gettati per strada senza alcun compenso e senza alcun mezzo economico per sopravvivere. Da allora, in Brasile, l’estrema povertà è la condizione dell’immensa maggioranza nera e indigena.
Dalla metà del XX secolo, il Brasile è diventato sempre più un Paese urbano. Le politiche agricole non hanno più dato priorità alla produzione di cibo per la popolazione, ma piuttosto alla produzione di soia e canna da zucchero per l’esportazione.
Negli ultimi anni sono state scoperte ricchezze minerarie in territori dove vivono comunità indigene e alcuni gruppi neri, eredi di ex schiavi che hanno resistito al sistema. Ancora oggi devono lottare contro il razzismo strutturale della società brasiliana e contro le disuguaglianze sociali che negli ultimi tempi si sono aggravate come non mai».
Il sistema economico dominante continua a distruggere l’Amazzonia e ogni forma di diversità?
«Sì, il capitalismo improduttivo è essenzialmente predatore della natura, distrugge qualsiasi rapporto di lavoro che cerchi di essere equo e distrugge lo Stato, poiché propone di privatizzare tutto. Papa Francesco ha ripetuto: questo sistema uccide! Uccide gli impoveriti e uccide la madre terra e la natura.
Il colonialismo trova sempre nuovi modi per perpetuarsi. Il debito estero dei Paesi poveri è una nuova forma di colonialismo che ha come arma la Banca Mondiale e le agenzie economiche mondiali. Purtroppo, fino a oggi, la maggioranza delle Chiese cristiane continuano a legittimare questo sistema e a non essere solidali con il cammino dei popoli crocifissi, perché possano scendere dalla croce e liberarsi».
È ancora possibile il sogno ecologico di custodire la casa comune e di elaborare un nuovo stile di vita sostenibile?
«L’umanità si trova oggi ad affrontare sfide senza precedenti nella sua storia. Il cambiamento climatico sta rapidamente alterando le condizioni di vita sul nostro pianeta. Le tensioni intorno all’Ucraina e a Taiwan stanno facendo rivivere lo spettro (minaccia reale) di un conflitto tra superpotenze nucleari. E il ritmo vertiginoso dei progressi dell’intelligenza artificiale sta sollevando serie preoccupazioni sui rischi di una calamità globale indotta da essa.
Può essere che le soluzioni che cerchiamo oggi, sulla pace nel mondo, sulla transizione verso l’energia pulita e sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale costituirranno un giorno la base di un nuovo ordine mondiale.
È impossibile prevedere dove ci porteranno questi eventi. L’unica cosa che sappiamo è che il nostro rito di passaggio della civiltà apre una porta verso il futuro. Sta a noi attraversarla.
Penso che il nuovo protagonismo dei popoli originari, che dopo la ribellione del Chiapas hanno fatto sentire la loro voce in tutto il mondo, possa essere fonte di nuova speranza. Gli indios propongono il Bien-vivir come paradigma di un nuovo modo di organizzare il mondo, basato sulla priorità delle relazioni umane, sulla supremazia dei beni comuni rispetto agli interessi individuali e sulla cura della natura, che possa essere la nuova via per ristabilire la salute dell’umanità e del pianeta.
Penso che la nostra fede ci chiami a non perdere la fiducia e a credere, come dice la Lettera agli ebrei, “contro ogni speranza”». ◘
di Achille Rossi