Intervista a YARA VALVERDE ambientalista brasiliana.
Yara Valverde, ricercatrice ambientale e docente presso la Pontificia Università Cattolica del Brasile e il Politecnico di Milano, responsabile del Cenri – Centro Relazioni Internazionali del Brasile. È una storica attivista ambientalista brasiliana, ha ricoperto diversi incarichi di Governo, è stata Direttrice del Parco della Mata Atlantica e stretta collaboratrice di Marina Silva, attuale Ministro dell’Ambiente del Governo Lula ed erede del martire ambientalista Chico Mendez. Con lei abbiamo conversato sulla situazione attuale, con particolare riferimento alla guerra in corso in Amazzonia, su Marina Silva, Ministra dell’Ambiente, e sul suo impegno per fermare la distruzione della foresta e il genocidio degli indigeni.
Perché oggi Lula si riconcilia con Marina Silva dopo la rottura del 2007 nel suo secondo Governo? Chi ha voluto le dimissioni di Marina Silva allora e quali sono state le conseguenze ?
«Io credo che Lula abbia fatto questa scelta perché oggi lui è un leader più maturo. Lula è un uomo intelligente che ha avuto il coraggio e l’umiltà di apprendere dagli errori. È molto positivo che sia Marina Silva a guidare un Ministero fondamentale come quello dell’Ambiente, con un ruolo e una responsabilità ancora più importanti di ieri, considerando i disastri lasciati da Bolsonaro e la crisi ambientale e climatica che nel frattempo è precipitata. Il bolsonarismo ha sterminato tutto: diritti, territori, ambiente e persone. Marina Silva dovrà ricostruire su questo disastro. Non sarà facile, ma resto convinta che se c’è qualcuno nel Governo che può farcela questa è lei».
Oggi si sente riproporre l’obiettivo “deforestazione zero”, lo stesso che venne lanciato dal primo Governo Lula, che si perse per strada nel secondo e che venne completamente cancellato dai successivi governi di Dilma Roussef, che preferirono lo sviluppismo estrattivista e i megaprogetti tipo Belo Monte o Complesso chimico di Rio de Janeiro. Perché oggi dovrebbe essere diverso?
«Marina Silva, gli ambientalisti come me e i gruppi indigeni avevamo tentato di raggiungere l’obiettivo “deforestazione zero” già nel 2003. E molti passi importanti furono fatti. Marina aveva attivato un ambizioso programma di controllo e contrasto del disboscamento. La deforestazione era crollata del 67%. Era la prima volta che una donna, una militante, una ecologista socialmente impegnata, con “il grido della terra e il grido dei poveri” portava avanti nel Governo scelte così necessarie e radicali con un consenso tanto alto. È per questo motivo che sono cominciati i sabotaggi e le resistenze dei grandi gruppi estrattivisti e delle mafie dell’agrobusiness. Di fronte alle misure ambientalmente insostenibili del Governo, spinte soprattutto dall’allora Ministro delle infrastrutture Dilma Roussef, Marina ha giustamente rifiutato una funzione meramente decorativa e, come chiedevano molti gruppi ambientalisti, progressisti e indigeni, si è dimessa. Quelle scelte sbagliate del Governo e del Pt sono state pagate da tutti, non solo dal Governo e dal Pt, ma anche da tutto il popolo brasiliano. Sono state pagate dal nostro sistema democratico che è stato compromesso dall’attitudine fascistoide di Bolsonaro e delle sue milizie. La vittoria di Bolsonaro non è il frutto del suo genio, ma da una parte di una tendenza internazionale e dall’altra di errori che potevano essere evitati e che non devono essere ripetuti. Oggi fortunatamente, mentre stiamo recuperando la democrazia, mi sembra che la consapevolezza ci sia, come la voglia di cambiare radicalmente tutto il peggio che abbiamo subito con Bolsonaro negli ultimi cinque anni. Per questo mi sento di dire che oggi è diverso. Deve essere diverso».
Da qualche settimana le notizie che arrivano dall’Amazzonia parlano di scontri e conflitti, di aggressioni e morti, di incendi e disboscamenti.
«Da quando il Governo si è insediato e Marina Silva ha assunto il Ministero dell’ambiente è cominciata una vera e propria guerra tra indigeni, soprattutto Yanomani che vivono nella foresta pluviale degli stati di Roraima e Amazonas, e le compagnie estrattiviste. Già subito dopo la vittoria elettorale Lula aveva promesso di riprendere la lotta alla crisi climatica, per la protezione dell’Amazzonia e dei popoli che la abitano. Aveva affermato che l’acqua limpida di un fiume ha più valore di tutto l’oro estratto con il mercurio che uccide la foresta, la fauna selvatica e che mette a rischio la vita umana. Aveva pronunciato una svolta nel contrasto al genocidio dei popoli indigeni. “Quando un bambino indigeno viene ucciso dall’avidità di predatori ambientali, una parte dell’umanità muore con lui, aveva detto con una affermazione che è rimasta nella memoria di tutti. Combatteremo qualsiasi attività illegale, che si tratti di estrazione illegale di oro o di altri metalli, disboscamento o occupazione agricola”.
Parole giuste, forti, piene di speranza, che sono rimaste nella mente di ciascuno di noi, che hanno suscitato grandi aspettative nelle comunità indigene e forte ostilità da parte delle compagnie estrattive. Sappiamo che non sarà una impresa facile, parliamo di estensioni immense di territorio da controllare. La sola area protetta Yanomami è grande quanto la Siria. E considera che le grandi compagnie estrattiviste illegali hanno mezzi enormi e letali a loro disposizione: aerei, armi pesanti, soldi e milizie. Non trafficano solo in oro e altri metalli, ma anche in droga, armi e animali. Attività molto redditizie per loro e devastanti per le comunità indigene della foresta. Solo nelle ultime settimane sono state individuate e smantellate oltre 20 piste di atterraggio clandestine. 75 sono state mappate nel solo territorio Yanomami e ben 800 nell’insieme dei territori indigeni. Si stima che in tutta l’Amazzonia siano migliaia le piste clandestine. Sono state rese inutilizzabili o sequestrate centinaia di barche e gommoni, macchinari per l’estrazione, generatori di elettricità, scorte di mercurio, migliaia di litri di carburante. Sono stati smantellati oltre 200 accampamenti illegali. È stato emanato un decreto che vieta il sorvolo delle aree protette e che autorizza in alcuni casi l’abbattimento dei veicoli.
Non è facile combattere in un territorio tanto vasto. Ma il Governo e Marina Silva stanno facendo la cosa giusta, e ottenendo risultati important»i.
Anche i “garimpeiros” o quelli che lavorano nei cantieri estrattivi dell’Amazzonia sono i più miserabili del Brasile, e se non si fermano le grandi compagnie che depredano e commerciano le risorse naturali, questa rischia di essere una guerra tra poveri. E senza soluzione, poiché in una condizione di miseria così diffusa in Brasile le grandi compagnie troveranno sempre carne da macello, persone disposte a fare qualsiasi cosa per qualche reais.
È così. In questi cinque anni Bolsonaro ha fatto entrare in Amazzonia decine di migliaia di persone, le più povere tra i poveri, gente che non ha niente e che è disposta a tutto. Schiavi a disposizione delle mafie dell’estrattivismo. Non ci vuole una guerra ma la pacificazione. Sono le grandi compagnie estrattiviste che commerciano e si arricchiscono che vanno colpite e fermate. Bolsonaro in questi anni ha smantellato tutte le agenzie di controllo e le strutture del Ministero dell’Ambiente, quelle che oggi il Governo e Marina Silva stanno ricostruendo. Questo è indispensabile se vogliamo che la lotta per la difesa della foresta e delle comunità indigene sia effettiva e non velleitaria».
«Bolsonaro è appena rientrato dagli Stati Uniti, si è riconfermato capo dell’opposizione e mantiene un consenso non trascurabile nel Paese e nel Congresso. Bolsonaro e il bolsonarismo sono stati sconfitti, ma non cancellati. Le milizie, che sono l’equivalente delle vostre mafie in Italia, hanno ancora il controllo militare su molti territori metropolitani e del Paese. Ogni giorno ci sono morti e scontri tra trafficanti e milizie per il controllo dei territori e dei traffici di droga, di armi e di esseri umani. Ma c’è anche una rinascita della coscienza popolare, dei movimenti sociali e ambientali, delle comunità indigene, dei giuristi democratici e degli intellettuali. La lotta è appena cominciata, non sarà certo facile. Il Brasile è un Paese grande, complesso, ricco delle sue diversità. Ci sono politici che hanno compreso gli errori del passato. Hanno compreso che i poteri che praticano il genocidio e il terricidio possono solo essere sconfitti, non convinti. E c’è un Governo che sta andando nella direzione giusta. Io sono fiduciosa». ◘
di Luciano Neri