Supplemento al numero 11/2022
da l'altrapagina.it
Ideazione e coordinamento editoriale
Andrea Chioini
Direttore Responsabile
Antonio Guerrini
Hanno un valore inestimabile i circa 400mila ettari di superficie boscata che coprono il 47% del territorio dell’Umbria (8456 kmq): un valore di cui ci si comincia a rendere conto anche in termini economici oltre che per la bellezza che conferiscono al paesaggio, alla salubrità dell’aria che si respira nelle vicinanze, alla biodiversità che custodiscono…
Con il riscaldamento globale e le ricadute sull’alterazione del clima stanno diventando una sorta di grande scialuppa di salvataggio per i tempi prossimi venturi.
Esattamente 396.540 ettari di superficie boschiva sono in grado di catturare ogni anno una quantità oscillante tra i 2 e i 3,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, contribuendo anche a mantenere in equilibrio il malconcio sistema idro-geologico regionale.
Gli alberi potrebbero immagazzinare da un terzo fino a metà delle circa 6,5 milioni le tonnellate di Co2 emesse ogni 12 mesi dall’attività umana in Umbria (stima Openpolis.
Da qui la necessità di conoscere gli elementi fondamentali della “matrice vegetale” nella bio – regione collocata a metà della penisola italiana: questo numero 2 di EcoSistema (novembre 2022) abbozza alcune “mappe” di dati che non risultano organizzati e di cui non esiste conoscenza diffusa se non tra coloro che se ne occupano professionalmente.
I PILASTRI DEL CIELO
Nella matrice vegetale il fuguro dell'umanità
Possiamo solo “abbozzare” queste idee di mappe perché in rete e nei siti istituzionali sono presenti solo cartografie “reticenti”, con operabilità vicina allo zero e scarsa o nulla estensione agli allegati tecnici determinanti per interpretare e approfondire, per diventare materiali di studio o di innovazione didattica.
Prodotti che, magari in forma di pannelli, dovrebbero essere presenti persino sulle pareti delle aule scolastiche come un tempo c’erano le carte geografiche raffiguranti le regioni italiane, gli stati europei, lo “stivale” con le sue città…
La ricostruzione dettagliata della copertura forestale presente in ognuno dei 92 comuni dell’Umbria è stata resa possibile da Corine Land Cover ai cui dati è stato possibile accedere grazie alla disponibilità di Mauro Frattegiani, dottore forestale e presidente della sezione italiana di Pro Silva, associazione con 33 anni di attività, presente in 25 stati europei. A.C.
È l’umanità che ha bisogno degli alberi e non il contrario”, questa la linea guida di Alberi maestri quando interviene sul corpo (seppur legnoso) di esseri viventi che non vorrebbero essere toccati.
Da qui le complicazioni di un rapporto che richiede una progettazione attenta nella creazione o manutenzione di aree alberate in zona urbana.
Uno dei casi di scuola è il rapporto (assente, almeno in Umbria) tra chi progetta e realizza le strade – piantando alberature lungo di esse, con chi si occupa del verde: si moltiplicano i casi di danni all’apparato radicale che subisce un forte schiacciamento dopo essersi inoltrato sotto il manto asfaltato.
Da qui i rischi di caduta repentina soprattutto in presenza di eventi meteo di portata non usuale. Quando si piantano alberi ai bordi delle strade si dovrebbe ricorrere ad asfaltature drenanti, con una particolare attenzione alle presenze dei pini domestici i cui apparati radicali rompono i terreni asfittici (dove aria e acqua sono assenti): un effetto evitabile stendendo uno strato di ghiaia sotto il piano di scorrimento dei veicoli. Metodi che nei contesti urbani più sensibili vengono prescritti anche dai regolamenti.
ALBERI MAESTRI NELLA CITTA'
"Smettetela di capitozzarci: ci condannate!"
di michele Speciale
Entità autotrofe, ovvero in grado di produrre il proprio nutrimento, pompe viventi ad energia solare in grado di sollevare a decine di metri d’altezza migliaia di litri d’acqua con un processo di cui ancora non è stata completamente svelata la natura.
Una funzione questa che fa intuire il compito svolto da queste presenze nella mitigazione delle alte temperature, soprattutto in città, grazie alla traspirazione garantita dagli stomi delle foglie: al riparo della loro chioma rispetto a zone edificate prive di copertura verde riescono ad abbattere di quasi 10° la temperatura esterna e fino a 15 gradi quella dell’asfalto esposto al sole.
Il servizio “eco-sistemico” più efficace ed efficiente, senza consumo di energia che viene meno quando si riduce drasticamente l’ampiezza delle chiome che costituiscono il tramite del nutrimento mediante la fotosintesi, processo che garantisce l’approvvigionamento di zuccheri, base indispensabile per la vita di ogni esemplare.
Le “capitozzature” costituiscono una pratica tutta italiana: da chi si occupa di arboricoltura l’Italia è definita “toppic land”, la terra della cimatura, ovvero del capitozzo.
Pratica che viola qualsiasi principio di cura degli alberi che hanno dinamiche di crescita e mobilità non paragonabili alle creature capaci di movimento repentino, per i tempi né percepibili né paragonabili con quelli degli umani.
Inoltre costituiscono un doppio spreco di soldi: annullano il ruolo eco-sistemico e vanno a incidere sulle difese immunitarie della pianta provocando un indebolimento generale, facilitando l’accesso di agenti patogeni, abbassando il potenziale nutritivo.
Nella lunghissima fase evolutiva che li caratterizza gli alberi si sono dotati di difese da ogni sorta di aggressione: cambiamento climatico, tempeste, fulmini… tutto meno che un uomo con una motosega o di un aratro che arriva troppo vicino agli alberi isolati nei terreni coltivati.
Eppure la percezione del danno innescato viene azzerata proprio dal lasso di tempo che intercorre tra un taglio drastico e il danno che ne deriva: spesso si tratta di decenni un periodo che rende quasi impossibile identificare la correlazione tra causa ed effetto. Nel 90% dei casi di caduta repentina la causa va sempre ricercata negli interventi che quell’albero ha subito nel corso della sua vita: troppo spesso, l’evidenza del rapporto causa – effetto viene stemperata dal prolungarsi del tempo necessario a percepirlo.
In decine di paesi europei, oltre alle sanzioni per la capitozzatura, si sta arrivando a imporre la regola detta “3 – 30 – 300”: visibilità di 3 chiome di alberi da ogni casa, 30% di ombreggiamento dei quartieri grazie alle chiome alberate, la distanza massima di 300 metri dalle abitazioni di un’area verde di buona estensione.
Tra gli effetti che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potrebbe produrre in Umbria c’è anche l’idea di creare da zero una filiera industriale del legno che si baserebbe sull’utilizzazione pianificata e organizzata dei circa dei boschi presenti nei territori di 31 comuni*, per una superficie oscillante tra i 60mila e gli 80mila ettari.
Il punto di ingaggio del progetto partirebbe dalla riconversione della centrale Enel di Pietrafitta che includerebbe anche l’attivazione di un sistema di metro-bus che la collegherebbe con la stazione ferroviaria di Perugia – Fontivegge utilizzando propulsori a idrogeno.
Questa ipotesi va a intrecciarsi con una più ampia sperimentazione per arrivare allo sfruttamento dell’idrogeno la cui estrazione dovrebbe utilizzare fonti rinnovabili di energia, cioè il legno: solo così potrà venire ammesso nel novero delle produzioni industriali decarbonizzate e quindi finanziabili con fondi europei.
Un’ipotesi di “economia circolare” su cui si appuntano le perplessità di una parte del mondo della ricerca come riferisce un articolo pubblicato dal mensile Altraeconomia (numero 252): “L’illusione dell’idrogeno verde che non aiuta la transizione
in Europa”.
LEGNO E IDROGENO: 200 MLN PNRR
Wood4Green: 31 comuni in "economia circolare"
Lo schema riportato nella seconda parte di questo articolo indica un budget di quasi 200 milioni dai fondi del Pnrr a cui se ne dovrebbero aggiungere almeno altrettanti in termini di co-finanziamenti da parte delle realtà interessate.
Promosso dai comuni di Panicale e Piegaro (che hanno costituito il Consorzio ConsenergiaGreen), il progetto è stato varato in accordo la Regione Umbria (che ha strutturato una “cabina di regia”) e con il supporto tecnico scientifico del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Perugia che punta alla creazione di un laboratorio dedicato: il Wht Design Lab (Wood, Green Hydrogen and Transportation).
Il quadro si è completato con un protocollo firmato dai comuni interessati. In queste settimane si stanno raccogliendo anche le manifestazioni d’interesse da parte di soggetti privati (imprese, associazioni, figure professionali).
Le linee del progetto sono illustrate nel sito da dove è scaricabile un “abstract” di 67 pagine che illustra più in dettaglio le linee lungo cui verranno attivate le varie iniziative.
Documento che conferma quanto sia difficile rintracciare dati “locali”, quindi riferibili alle singole municipalità dell’Umbria per quello che riguarda superficie forestale presente, l’effettivo prelievo di materiale legnoso, le titolarità dei soggetti proprietari, gli assetti fondiari.
Ed è proprio dalle pagine 10 e 11 di questo documento che abbiamo estratto i dati finanziari riportati di seguito.
MONTE PEGLIA: SGUARDO AL FUTURO
Energia, filiera del legno, turismo, agricoltura
Se l’energia costituisce la leva che ha spinto un numero significativo di realtà ad associarsi la Cooperativa di comunità non trascura il resto della vita e dell’economia comprensoriale. Da qui la valorizzazione delle produzioni locali (bosco, agricoltura, allevamento), il recupero del patrimonio edilizio, la promozione dell’accoglienza turistica (con attenzione speciale all’ospitalità diffusa), la proposta di itinerari e sentieri come l’anello denominato Castelli della Contea (100 km di sviluppo). Non mancano le idee su ricerca, formazione, creatività per agricoltura, artigianato, turismo e cultura.
Consiglio direttivo: Adriano Rossi, Luca Guardelli, Isabella Tedeschini, Antonio Corneli
Comunità originarie
“A risollevare, anche solo in parte, le sorti di coloro che non possedevano nemmeno un fazzoletto di terra atto al pascolo erano gli Usi Civici”: queste parole dello storico folignate Fabio Bettoni* lanciano lo sguardo indietro nei secoli, all’Alto Medioevo per cogliere la natura delle “comunità originarie”. Forme di organizzazione delle comunità per l’utilizzazione collettiva e paritaria delle risorse recuperabili dal territorio in cui si viveva senza altro lavoro che non la raccolta: legname, funghi, erbe (foraging), frutti di bosco, tartufi, pesca, pascolo.
Quelle esperienze hanno attraversato i secoli e sono ancora (molto) presenti e attive: in Umbria hanno anche una propria rappresentanza nel Coordinamento dei Domini collettivi, una delle 14 diverse denominazioni che le identificano (riportate nel box).
La 168 costituisce l’ultimo capitolo della sequenza legislativa in materia: già nel 1894 la legge 397 prevedeva un Ordinamento dei domini collettivi nelle Provincie dell’Ex stato Pontificio, mentre la 1766 del 1927 decideva il “ Riordinamento degli usi civici” seguita dalla 278 nel 1957.
IL PATRIMONIO DELLE COMUNITA' ORIGINARIE
Secondo i dati riportati dal sito della Regione Umbria
[ https://www.regione.umbria.it/cartografia-dei-domini-collettivi-dell-umbria ]
Il patrimonio complessivo delle proprietà pubbliche dell’Umbria, più o meno soggette agli usi civici, è di 84.161 ettari, pari a poco più del 10% della superficie territoriale della Regione, di cui il 67% sono boschi (56.049 ettari), il 30% pascoli e cespugliati e il 3% coltivi e incolti. La proprietà delle “comunità originarie” è di circa 52.177 ettari, mentre quella dei comuni è di circa 31.984 ettari.
Nel suo insieme una risorsa pubblica che necessita di una nuova cultura gestionale che porti a piani di assestamento e gestione forestale in ogni realtà: solo così saranno rispettate prerogative e interessi delle comunità.
In caso contrario i beni comuni presenti nei territori delle comunità originarie rimarranno un obiettivo di “predatori” di tutte le risme.
Una realtà composita che sta uscendo dall’ombra in cui è rimasta relegata per decenni.
Tre i fattori determinanti:
1) il recupero di consapevolezza sul ruolo che le comunità originarie non hanno mai smesso di svolgere nella tutela dei beni comuni;
2) la nascita di movimenti che, a cavallo del nuovo millennio, ne hanno affermato valori e autonomia raggiungendo il traguardo di una normativa al passo con i tempi (la legge 168);
3) le mutazioni climatiche e il riscaldamento globale che stanno imponendo la necessità di rivalutare persone, risorse naturali, biodiversità presenti nei territori periferici.
Difendere i beni comuni per contrastare lo spopolamento, l’invecchiamento e la disoccupazione, nonché la mancanza di servizi essenziali dei territori delle montani.
Ed è stata proprio la difesa delle sorgenti d’acqua a Gaifana, al confine tra Gualdo Tadino e Nocera Umbra, che ha dato energia al movimento che si è andato diffondendo in Umbria e che ha stretto i nodi di una rete diffusa con la nascita del Coordinamento Domini Collettivi (CoDoCo).
*intervento pronunciato nel 2017 agli Incontri di Colfiorito (Foligno)
IL BOSCO C'E'
Manuale giocoso di selvigoltura
di Giorgio Filippi
“Caro Carpino Nero – tuona il Pino col suo vocione – perdi le foglie durante l’ inverno e non ti occupi di proteggere il terreno durante le piogge e poi mi sfrutti. Vuoi insediarti e coprire il suolo come se fosse tuo e della Roverella. Assurdo! Ahhh! Per non parlare delle estati molto siccitose... ti inaridisci e come un avaro, riduci la vegetazione. La Roverella, dal canto suo, ama farsi solleticare dalle larve, le famose Processionarie. Ancora più assurdo! Un comportamento il vostro proprio incomprensibile”.
Eccolo un brano tratto da “Gualdo umbroso” la prima delle tre storie che vanno a comporre un agile volumetto, titolo “Il bosco che c’è”, pensato e scritto da Paolo “Pablos” Parigi (edizioni Joelle, 2020), con le illustrazioni di Elias Giulivi e Lorenzo Filippi. Definito “manuale giocoso” spiega – anche in forma di favola per tutte le età – il lavoro del selvicoltore, in un contesto dove è presente il pino d’Aleppo (Pinus halepensis), segnatamente la bassa Valnerina ternana.
La “martellata” è una pratica legata all’utilizzazione del bosco, effettuata – appunto - con un martello recante, nella propria testa, inciso il timbro col numero dell’ordine di appartenenza e il nome del professionista che ha effettuato la selezione degli alberi che non vanno tagliati nelle operazioni di ceduazione dei boschi: il colpo secco che viene inferto sul tronco lascia un vero e proprio timbro di riconoscimento. In Umbria, le piante scelte sono contrassegnate con la vernice rossa.
Paolo Parigi è dottore forestale che vive in Umbria. Dopo essersi formato a Torino ha praticato la sua professione in Piemonte e nelle regioni settentrionali guidato da un docente come l’agronomo Marco Moschini. Proprio Moschini, nella prefazione al libro, definisce l’Umbria una realtà “dove boschi e foreste sono davvero governate”.
Ogni volta che il libro è stato proposto agli studenti, come Castiglione del Lago in quattro occasioni e a Norcia, ha ottenuto un buon successo perché l'autore fa parlare le piante e gli animali del bosco.
NaturaSì
Un Sì per la Terra e per l’Uomo
un ecosistema di persone che lavorano con cura e passione
Le Terre di Ecor è il marchio di alta qualità biodinamica di NaturaSì: San Michele, Cascine Orsine, La Decima, Fattoria Di Vaira e Il Cerreto sono alcune delle aziende agricole del nostro ecosistema, vicine ai valori e alla ilosoia di NaturaSì, accomunate dalla stessa mission di ridare vitalità ai terreni, seguendo i principi della biodinamica.
Nei nostri negozi potrete trovare i prodotti delle aziende agricole Le Terre di Ecor: cereali e legumi di varie tipologie, farine, prodotti caseari come latte, yogurt e formaggi, conserve di pomodoro, frutta e ortaggi, che si susseguono mese dopo mese, seguendo il ritmo delle stagioni.
PERUGIA con bistrot
via della Pallotta, 45
FOLIGNO
via G. Vasari, 15