Quella che segue è la fotografia della nostra regione secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Umbria Ricerche: poco spazio ai giovani, una terra di anziani, un territorio poco collegato, politiche di coesione frammentate, bassa produttività, ricerca e sviluppo ancora al palo, redditi e profitti bassi, laureati sottoutilizzati, una società in bilico ma ancora coesa, terra di buona vita, di un buon saper fare e di un buon capitale umano, ma il futuro è a rischio. Indicatori questi che, oltre una pesante eredità, rappresentano altrettante sfide. Potrebbe essere capace di affrontarle la nuova maggioranza emersa prepotentemente nelle ultime elezioni regionali? Dal clima che si respira sembrerebbe di no.
Quello che apparentemente appare un grande cambiamento politico si potrebbe rivelare, bene che vada, una deludente continuità. Del resto chi ha governato fino a questo momento ha adottato anche un sistema spartitorio e consociativo a cui l’opposizione, la stessa che oggi ha vinto le elezioni, ha partecipato largamente. Invece servirebbe un cambiamento radicale nel metodo e nel modo di concepire l’esercizio dell’amministrazione pubblica. Il vero segnale di svolta deriverebbe dalla volontà di coinvolgere le forze più dinamiche e avanzate della società regionale e dalla capacità di costruire convivenza, solidarietà e responsabilità, gli unici modi per fare i conti con le fragilità emerse dal citato rapporto, ma anche per valorizzare le potenzialità.
Forse invece che partire dal fare ci si dovrebbe impegnare a creare le condizioni per poter fare, come ci viene indicato dalle numerose e partecipate manifestazioni dei giovani in questi ultimi tempi. Prima di tutto contano i comportamenti: convivere in maniera attiva e responsabile, recuperare senso civico e fiducia negli altri, essere solidali e rispettosi. Il territorio è l’ambito ideale per sperimentare tutto questo, creando un diverso rapporto fra amministrazioni pubbliche e collettività. Si potrebbe partire, ad esempio, da un progetto di recupero del territorio, attraverso il coinvolgimento di chi lo abita, basato su attività di cura e messa in sicurezza, gestione del verde, valorizzazione di beni ambientali e storici, creazione di luoghi di incontro, prevedendo la collaborazione dell’associazionismo ambientale e culturale. Tali forme di coinvolgimento si potrebbero sperimentare anche in ambito sociale, dove la comunità tenta di riconoscere il disagio sociale, di relazionarsi con le situazioni di fragilità, di creare un ambiente che consideri gli anziani e i bambini, che si occupi pure di educazione alimentare, sanitaria e di prevenzione. Questa condizione può maturare anche con l’opera di promozione e sostegno delle associazioni sociali e del volontariato cattolico e laico e dell’amministrazione comunale, che, in modo intelligente, dovrebbe favorire tutto ciò, anche attraverso forme di sussidiarietà orizzontale, e mettere a disposizione gli strumenti e i servizi di supporto necessari (strutture, spazi, mediatori). L’ideale sarebbe individuare e formare in ogni comunità (frazione o quartiere) un gruppo (un consiglio) disposto ad animare e guidare un progetto di questo tipo. Sarebbe una modalità per realizzare un welfare più efficace e diffuso con meno risorse pubbliche, attraverso appunto la costruzione di una rete fra tutti i soggetti in campo, in un ambito limitato e circoscritto. Questa funzione sarebbe importante dal punto di vista economico ma potrebbe anche contribuire a ricomporre il legame sociale ed evitare il rischio di chiusura in ambiti e orizzonti sempre più ristretti e nell’individualismo, che sono i presupposti dell’impoverimento culturale. Ma il territorio è anche l’ambito ideale per valorizzazione e recupero di tutto ciò che possiede, per riscoprire anche forme di autoconsumo e autoproduzione. Un progetto interessante potrebbe essere legato a un piano di riutilizzo delle terre incolte o semiabbandonate, per costruirci sopra un’idea di valorizzazione rurale del territorio. Può essere questo un ambito di attività facilmente accessibile alle persone più in difficoltà ma, nello stesso tempo, i giovani sono molto attratti da questa prospettiva.
Si potrebbero pensare semplicemente iniziative tendenti all’autosostentamento familiare (negli anni 50 del secolo scorso la povertà era più pesante e diffusa di quella attuale, ma ognuno, a differenza di oggi, si poteva sostenere attraverso la produzione diretta di alimenti base quali uova, carni, latticini, ortaggi e frutta, utilizzando appunto l’ambiente rurale disponibile). Ma potrebbero essere stimolate e incentivate anche piccole e diffuse iniziative imprenditoriali, come alternativa a modelli di produzione basati su monocolture, a partire dall’agroalimentare, dall’ortofrutta e dai prodotti del bosco. Tali progetti potrebbero non limitarsi alla vendita del prodotto, ma alla sua trasformazione, costruendo una filiera che arrivi fino al mercato, che faccia rimanere il valore nel territorio, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti. Questo presuppone sostenere le piccole iniziative, soprattutto dei giovani, e favorire l’aggregazione. Il tutto deve essere pensato nell’ottica dell’alta qualità. Si potrebbe così contribuire anche a contrastare pratiche agricole sconsiderate, perdita di bio diversità, che non lasciano spazio a colture innovative e integrate.
Il nostro territorio potrebbe così recuperare la propria antica fisionomia ma con caratteristiche di modernità e innovazione. In conclusione, solo attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse umane e la valorizzazione delle competenze locali, si può sperare di avviare una fase nuova e promettente. E questo vale in tutti i campi, compreso quello industriale e del manifatturiero, dove le amministrazioni locali, avendo minori strumenti di intervento, possono agire soprattutto nel creare le condizioni per far interagire le aziende leader locali con quelle sub fornitrici e tutto il sistema produttivo con quello formativo. Insomma solo un deciso cambio di metodo e di cultura politica può far sperare in una prospettiva meno a rischio. Ma tutto questo non è assicurato da una semplice alternanza di governo e non dipende solo dalla politica ma da ognuno di noi.