Mercoledì, 04 Dicembre 2024

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Ripartire dal basso

image 026Quella che segue è la fotografia della nostra regione secondo l’ultimo rap­porto dell’Agenzia Umbria Ricerche: poco spazio ai giovani, una terra di anziani, un territorio poco collega­to, politiche di coesione frammentate, bassa produttività, ricerca e sviluppo ancora al palo, redditi e profitti bassi, laureati sottoutilizzati, una società in bilico ma ancora coesa, terra di buona vita, di un buon saper fare e di un buon capitale umano, ma il futuro è a rischio. In­dicatori questi che, oltre una pesante eredità, rappresentano altrettante sfide. Potrebbe esse­re capace di affrontarle la nuova maggioranza emersa prepotentemente nelle ultime elezioni regionali? Dal clima che si respira sembrereb­be di no.

Quello che apparentemente appare un grande cambiamento politico si potrebbe rivelare, bene che vada, una deludente conti­nuità. Del resto chi ha governato fino a que­sto momento ha adottato anche un sistema spartitorio e consociativo a cui l’opposizio­ne, la stessa che oggi ha vinto le elezioni, ha partecipato largamente. Invece servirebbe un cambiamento radicale nel metodo e nel modo di concepire l’esercizio dell’amministrazione pubblica. Il vero segnale di svolta deriverebbe dalla volontà di coinvolgere le forze più dina­miche e avanzate della società regionale e dal­la capacità di costruire convivenza, solidarietà e responsabilità, gli unici modi per fare i conti con le fragilità emerse dal citato rapporto, ma anche per valorizzare le potenzialità.

Forse invece che partire dal fare ci si dovrebbe im­pegnare a creare le condizioni per poter fare, come ci viene indicato dalle numerose e par­tecipate manifestazioni dei giovani in questi ultimi tempi. Prima di tutto contano i compor­tamenti: convivere in maniera attiva e respon­sabile, recuperare senso civico e fiducia negli altri, essere solidali e rispettosi. Il territorio è l’ambito ideale per sperimentare tutto questo, creando un diverso rapporto fra amministra­zioni pubbliche e collettività. Si potrebbe par­tire, ad esempio, da un progetto di recupero del territorio, attraverso il coinvolgimento di chi lo abita, basato su attività di cura e messa in sicurezza, gestione del verde, valorizzazione di beni ambientali e storici, creazione di luo­ghi di incontro, prevedendo la collaborazione dell’associazionismo ambientale e culturale. Tali forme di coinvolgimento si potrebbero sperimentare anche in ambito sociale, dove la comunità tenta di riconoscere il disagio socia­le, di relazionarsi con le situazioni di fragilità, di creare un ambiente che consideri gli anziani e i bambini, che si occupi pure di educazione alimentare, sanitaria e di prevenzione. Questa condizione può maturare anche con l’opera di promozione e sostegno delle associazioni sociali e del volontariato cattolico e laico e dell’amministrazione comunale, che, in modo intelligente, dovrebbe favorire tutto ciò, anche attraverso forme di sussidiarietà orizzonta­le, e mettere a disposizione gli strumenti e i servizi di supporto necessari (strutture, spazi, mediatori). L’ideale sarebbe individuare e for­mare in ogni comunità (frazione o quartiere) un gruppo (un consiglio) disposto ad animare e guidare un progetto di questo tipo. Sarebbe una modalità per realizzare un welfare più ef­ficace e diffuso con meno risorse pubbliche, attraverso appunto la costruzione di una rete fra tutti i soggetti in campo, in un ambito li­mitato e circoscritto. Questa funzione sareb­be importante dal punto di vista economico ma potrebbe anche contribuire a ricomporre il legame sociale ed evitare il rischio di chiu­sura in ambiti e orizzonti sempre più ristretti e nell’individualismo, che sono i presupposti dell’impoverimento culturale. Ma il territorio è anche l’ambito ideale per valorizzazione e recupero di tutto ciò che possiede, per riscoprire anche forme di au­toconsumo e autoproduzione. Un progetto interessante potrebbe essere legato a un pia­no di riutilizzo delle terre incolte o semiab­bandonate, per costruirci sopra un’idea di valorizzazione rurale del territorio. Può es­sere questo un ambito di attività facilmente accessibile alle persone più in difficoltà ma, nello stesso tempo, i giovani sono molto at­tratti da questa prospettiva.

Si potrebbero pensare semplicemente iniziative tendenti all’autosostentamento familiare (negli anni 50 del secolo scorso la povertà era più pe­sante e diffusa di quella attuale, ma ognu­no, a differenza di oggi, si poteva sostenere attraverso la produzione diretta di alimen­ti base quali uova, carni, latticini, ortaggi e frutta, utilizzando appunto l’ambiente rurale disponibile). Ma potrebbero essere stimolate e incentivate anche piccole e diffuse inizia­tive imprenditoriali, come alternativa a mo­delli di produzione basati su monocolture, a partire dall’agroalimentare, dall’ortofrutta e dai prodotti del bosco. Tali progetti potreb­bero non limitarsi alla vendita del prodotto, ma alla sua trasformazione, costruendo una filiera che arrivi fino al mercato, che faccia rimanere il valore nel territorio, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti. Questo presuppo­ne sostenere le piccole iniziative, soprattutto dei giovani, e favorire l’aggregazione. Il tutto deve essere pensato nell’ottica dell’alta quali­tà. Si potrebbe così contribuire anche a con­trastare pratiche agricole sconsiderate, per­dita di bio diversità, che non lasciano spazio a colture innovative e integrate.

Il nostro ter­ritorio potrebbe così recuperare la propria antica fisionomia ma con caratteristiche di modernità e innovazione. In conclusione, solo attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse umane e la valorizzazione delle com­petenze locali, si può sperare di avviare una fase nuova e promettente. E questo vale in tutti i campi, compreso quello industriale e del manifatturiero, dove le amministrazioni locali, avendo minori strumenti di interven­to, possono agire soprattutto nel creare le condizioni per far interagire le aziende le­ader locali con quelle sub fornitrici e tutto il sistema produttivo con quello formativo. Insomma solo un deciso cambio di metodo e di cultura politica può far sperare in una prospettiva meno a rischio. Ma tutto questo non è assicurato da una semplice alternanza di governo e non dipende solo dalla politica ma da ognuno di noi. 


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