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L'altra metà del cielo

L'altra metà del cielo

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L'altra metà del cielo

È ormai finita l’epoca del patriarcalismo dove il maschio diventa padre-padrone, anche se certi periodi storici durano molto a lungo. Il segno più evidente è la ribellione delle donne iraniane contro il regime, che ha riempito le piazze con tre parole essenziali: donna, vita, libertà.
Il razzismo e il patriarcalismo sono intrecciati a filo doppio e danneggiano la vita delle persone creando distruzione e morte. La cronaca ci presen­ta continuamente donne che vengono uccise perché hanno tentato di ribellarsi per non essere più con­siderate un oggetto di proprietà del marito.
Sul corpo delle donne si esercita una violenza terribile, come sanno bene quelle imprigionate per ciò che hanno subito nei campi libici o in quella zona di frontiera tra Stati Uniti e Messico dove le donne latinoamericane soffrono per il razzismo e per il misconoscimento della loro dignità.
In ogni parte del mondo le donne vengono emar­ginate, ridotte al silenzio, terreno di conquista e di dipendenza. Avrebbero invece bisogno di conosce­re, amare, realizzare libere scelte.

La vita delle donne afro e indigene trascorre nell’anonimato: esse vengono rese visibili solo nel momento in cui la identità culturale può risultare redditizia. Questo succede nel campo della bellezza: si esaltano i valori, gli abiti, la lingua, i cibi e le tradizioni dei popoli afro e indigeni. Ma per il resto dell’anno la vita trascorre nel silenzio nel quale spe­rimentano le più diverse forme di discriminazione.
Purtroppo il razzismo e il sessismo imperversa­no ancora e spingono le donne verso la povertà, la violenza, le molteplici forme di discriminazione. È importante smantellare l’intreccio tra razzismo, patriarcato e capitalismo perché possa sbocciare una storia inedita e aprire al mondo l’altra metà del cielo. Abbiamo perciò invitato quattro giornali­ste per presentare la condizione femminile in alcuni paesi. Chi ha visto di persona assume il peso della testimonianza al di là dei discorsi intellettuali.
Malalai Joya è una attivista afghana che difende i diritti delle donne ed è stata eletta nel Parlamento di Kabul. Dopo il ritorno dei talebani è stata co­stretta a fuggire dal paese e vive in Spagna sotto scorta. Viaggia in tutto il mondo per denunciare i soprusi che avvengono in Afghanistan.
Mariam Ouédraogo, giornalista e reporter del quotidiano Sidwaya del Burkina Faso, è stata la prima africana a vincere un premio internazionale per i corrispondenti di guerra. Si è impegnata so­
prattutto nel descrivere le condizioni delle donne nel suo paese e in Africa. Le difficoltà burocratiche, la situazione politica in Niger le hanno impedito di essere presente al convegno de l’altrapagina. Ha inviato, comunque, un testo scritto e un video che Maria Sensi gentilmente ha tradotto dal francese per i partecipanti.
Francesca Borri è corrispondente di guerra per un importante quotidiano israeliano e si inte­ressa di islamismo e jiadismo. Ha studiato diritto internazionale a Firenze, si è trasferita in Medio Oriente e, dopo quattro anni a Ramallah con Mu­stafa Barguthi, si è dedicata al giornalismo. I suoi reportage e i suoi scritti sono stati tradotti in tutto il mondo. In Italia scrive per Il Venerdì di Repub­blica e collabora con l’altrapagina. Attualmente vive a Kabul.
Lucia Goracci è giornalista e reporter di guerra per il Tg Rai. Inviata in Medio Oriente, ha seguito da vicino le vicende drammatiche degli ultimi decen­ni. Corrispondente e responsabile della sede Rai di Istanbul, studia con particolare attenzione a quello che accade sul quadrante mediorientale dopo l’a­scesa e la sconfitta dell’Isis e il ritorno dei talebani in Afghanistan.
La sua esperienza giornalistica ci aiuta a de­scrivere la condizione femminile in questo angolo martoriato del mondo.

Sono quattro voci femminili che hanno il pregio di aver visto e ascoltato alcune situazioni dramma­tiche e ci danno la possibilità di uscire da quell’in­differenza in cui stiamo precipitando.

L'altra metà del cielo

È ormai finita l’epoca del patriarcalismo dove il maschio diventa padre-padrone, anche se certi periodi storici durano molto a lungo. Il segno più evidente è la ribellione delle donne iraniane contro il regime, che ha riempito le piazze con tre parole essenziali: donna, vita, libertà.
Il razzismo e il patriarcalismo sono intrecciati a filo doppio e danneggiano la vita delle persone creando distruzione e morte. La cronaca ci presen­ta continuamente donne che vengono uccise perché hanno tentato di ribellarsi per non essere più con­siderate un oggetto di proprietà del marito.
Sul corpo delle donne si esercita una violenza terribile, come sanno bene quelle imprigionate per ciò che hanno subito nei campi libici o in quella zona di frontiera tra Stati Uniti e Messico dove le donne latinoamericane soffrono per il razzismo e per il misconoscimento della loro dignità.
In ogni parte del mondo le donne vengono emar­ginate, ridotte al silenzio, terreno di conquista e di dipendenza. Avrebbero invece bisogno di conosce­re, amare, realizzare libere scelte.

La vita delle donne afro e indigene trascorre nell’anonimato: esse vengono rese visibili solo nel momento in cui la identità culturale può risultare redditizia. Questo succede nel campo della bellezza: si esaltano i valori, gli abiti, la lingua, i cibi e le tradizioni dei popoli afro e indigeni. Ma per il resto dell’anno la vita trascorre nel silenzio nel quale spe­rimentano le più diverse forme di discriminazione.
Purtroppo il razzismo e il sessismo imperversa­no ancora e spingono le donne verso la povertà, la violenza, le molteplici forme di discriminazione. È importante smantellare l’intreccio tra razzismo, patriarcato e capitalismo perché possa sbocciare una storia inedita e aprire al mondo l’altra metà del cielo. Abbiamo perciò invitato quattro giornali­ste per presentare la condizione femminile in alcuni paesi. Chi ha visto di persona assume il peso della testimonianza al di là dei discorsi intellettuali.
Malalai Joya è una attivista afghana che difende i diritti delle donne ed è stata eletta nel Parlamento di Kabul. Dopo il ritorno dei talebani è stata co­stretta a fuggire dal paese e vive in Spagna sotto scorta. Viaggia in tutto il mondo per denunciare i soprusi che avvengono in Afghanistan.
Mariam Ouédraogo, giornalista e reporter del quotidiano Sidwaya del Burkina Faso, è stata la prima africana a vincere un premio internazionale per i corrispondenti di guerra. Si è impegnata so­
prattutto nel descrivere le condizioni delle donne nel suo paese e in Africa. Le difficoltà burocratiche, la situazione politica in Niger le hanno impedito di essere presente al convegno de l’altrapagina. Ha inviato, comunque, un testo scritto e un video che Maria Sensi gentilmente ha tradotto dal francese per i partecipanti.
Francesca Borri è corrispondente di guerra per un importante quotidiano israeliano e si inte­ressa di islamismo e jiadismo. Ha studiato diritto internazionale a Firenze, si è trasferita in Medio Oriente e, dopo quattro anni a Ramallah con Mu­stafa Barguthi, si è dedicata al giornalismo. I suoi reportage e i suoi scritti sono stati tradotti in tutto il mondo. In Italia scrive per Il Venerdì di Repub­blica e collabora con l’altrapagina. Attualmente vive a Kabul.
Lucia Goracci è giornalista e reporter di guerra per il Tg Rai. Inviata in Medio Oriente, ha seguito da vicino le vicende drammatiche degli ultimi decen­ni. Corrispondente e responsabile della sede Rai di Istanbul, studia con particolare attenzione a quello che accade sul quadrante mediorientale dopo l’a­scesa e la sconfitta dell’Isis e il ritorno dei talebani in Afghanistan.
La sua esperienza giornalistica ci aiuta a de­scrivere la condizione femminile in questo angolo martoriato del mondo.

Sono quattro voci femminili che hanno il pregio di aver visto e ascoltato alcune situazioni dramma­tiche e ci danno la possibilità di uscire da quell’in­differenza in cui stiamo precipitando.


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