Che senso ha dire “mai più”. E poi vendere armi che uccidono, fare la guerra, negare i diritti ai rifugiati?», hanno scritto a quattro mani Donatella Di Cesare e Wlodek Goldkorn in vista dei 75 anni della ricorrenza di Auschwitz. Una retorica che chiude gli occhi di fronte alla realtà. Le potenze che comandano il mondo stanno riempiendo i loro arsenali di armi convenzionali e nucleari, come non si era mai visto prima d’oggi. Con una mano si moltiplicano i tavoli per la pace, con l’altra si costruiscono ordigni di morte. L’Italia è classificata tra i primi dieci esportatori di armi al mondo. Intrattiene pacifici rapporti con l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi, vendendo loro armamenti usati nello Yemen e in altri campi di battaglia.
Le nostre aziende produttrici hanno accusato un calo di fatturato nell’ultimo anno, ma, come ci spiega Benedetta Giuliani nel dossier, non c’è da preoccuparsi: bisogna aspettare che si svuotino un po’ gli arsenali e gli ordini riprenderanno come prima più di prima. E l’unico modo per svuotarli sono le guerre. Nonostante ciò continuiamo a dichiararci pacifisti in forza dell’articolo 11 della Costituzione in base al quale gli italiani hanno deciso di rifiutare la guerra. Ma nello stesso tempo ospitiamo più di 50 basi militari statunitensi nel nostro territorio, 50 bombe atomiche di ultima generazione (le ultime notizie alzano questo numero a 60/70) e ci apprestiamo, pare, a ricevere anche le 40 che gli Stati Uniti vogliono evacuare dalla Turchia, diventata terra infida e insicura dopo la svolta guerriera del sultano Erdogan.
Tutto questo armamentario si giustifica agli occhi di un’opinione pubblica imbambolata come sforzo per la pace, compreso il Mous di Sigonella, l’immensa rete tecnologica sorella di quella di Ramstein in Germania, con cui il Pentagono pianifica tutte le operazioni di guerra, ossia le uccisioni mirate, con gli aerei invisibili a guida automatica, i droni, dall’Africa al Medio Oriente. Il ché significa, senza timore di sbagliare, che l’omicidio di Solouemani è passato necessariamente per il nostro territorio. A nostra insaputa, perché ormai l’Italia è colonia dell’Impero americano, come lo sono la Germania e tutti i Paesi che fanno parte della Nato.
L’Occidente è in guerra, ma non ci viene spiegato che questo stia accadendo. I conflitti degli ultimi venti anni, compreso quello della ex Jugoslavia, sono stati conflitti per procura, ovvero scatenati per interesse diretto dell’Occidente in Africa e in Medio Oriente. E tutti si basano sul presupposto che ci stiamo difendendo da un nemico, che non si trova più a est, la Russia, ma a sud: l’Islam. In altre parole, le guerre al terrorismo e alla barbarie le abbiamo inventate per nascondere la rapina di materie prime così necessarie al nostro sistema industriale e di vita, a dimostrazione che il colonialismo non è mai cessato. La vicenda libica è un caso di scuola. Petrolio e mire espansionistiche di vecchi imperi stanno ridisegnando il Mediterraneo e non solo, ma la giustificazione dell’intervento è sempre la stessa: la pace. Gli alleati di Serraj difendono i diritti della Tripolitania; gli alleati di Haftar difendono i diritti della Cirenaica. Tutti indistintamente difendono il proprio diritto: quello di poter mettere le mani sull’oro nero presente nelle viscere della terra del bel sol d’amore.
Questo clima di guerra ha incrudito anche i linguaggi, vive nelle parole, ha fatto sorgere i sovranismi e i revanscismi. A ricordarcelo sono scese in campo le sardine, un movimento di giovani e non solo, che da due mesi sta facendo il controcanto a quel parolaio di professione che si chiama Salvini, il quale sta conducendo, da par suo, una campagna elettorale per la conquista del santo Graal della sinistra, l’Emilia Romagna, con vette di bassezza inaudita. Il suo linguaggio, studiato, lo rappresenta come vittima sacrificale al centro di un complotto regionale, nazionale e internazionale. E il popolo è sensibile quando gli viene suggerito di “impiccare” il cattivo. Non a caso, il capo della Lega ha affermato che, se sarà premier, riconoscerà Gerusalemme capitale di Israele. Far capire in modo più chiaro chi sia il nemico da “impiccare” non era possibile: l’Islam. Ma anche tutto ciò che a esso si riconduce: la sinistra, i centri sociali, le sardine, il Pd, i migranti, l’Europa ecc. come da catalogo.
Il movimento dei giovani bolognesi ha invitato tutti a uscire dalla gabbia delle parole, perché esse portano dritti dritti al conflitto. E non è poco di questi tempi.
Il 26 gennaio si capirà dove volge la storia. Se la sinistra (e il Pd) riuscirà a spuntarla, grazie soprattutto alle sardine e non certo ai 5stelle, si aprirà una nuova fase politica come Zingaretti ha cercato di declinare. Se vincerà la destra c’è il rischio che oltre all’Emilia Romagna crolli anche il governo Conte senza se e senza ma, contrariamente a quanto viene detto, e si inneschi una mina destabilizzante per tutto il continente e forse anche per gli assetti globali. Per far pendere le cose al peggio siamo sempre in prima fila; per cercare di governare la difficile transizione in cui si trova l’intero pianeta, siamo agli ultimi posti.
Non resta che aggrapparsi alle sardine, anche se l’acqua le rende ancora troppo scivolose. Ma altri scenari sarebbe davvero difficile pensare e descrivere.
Redazione Altrapagina.it