Francesca Mannocchi, giornalista freelance e reporter, ha svelato al mondo il dramma dei lager libici e delle torture, stupri e violenze perpetrate contro i migranti. Ha raccontato la guerra siriana, contro i curdi e la rivolta in atto a Baghdad. Le abbiamo rivolto alcune domande per comprendere cosa è cambiato dopo l’assassinio del generale siriano Qasem Soulemani.
Le capitali Tripoli e Baghdad sono due piazze in fermento per motivi opposti. Che cosa sta succedendo in questi due paesi? «Sicuramente l’Iraq e la Libia sono i due paesi a cui dovremo guardare con molta attenzione. A Baghdad ci sono state proteste animate da gruppi di giovani, di disoccupati e lavoratori per chiedere le dimissioni del governo. Piazza Tahir è interessante perché è una piazza trasversale, senza leader, senza barriere religiose, senza bandiere politiche, che parla come le tante piazze animate a livello globale come in Cile, in Venezuela, in Iran. È una piazza che chiede la fine della corruzione in un paese ricchissimo di petrolio (è il quarto fornitore dell’Opec e contemporaneamente è il 12simo paese al mondo per tasso di corruzione)».
E la Libia? «In Libia la situazione è diventata fluida soprattutto dopo l’offensiva lanciata dal generale Haftar per conquistare Tripoli. Ma anche per i tentativi di negoziazione politica rivelatisi fallimentari: Berlino è stato l’ennesimo passo falso dopo Palermo e Abu Dhabi che avrebbe dovuto portare a nuove elezioni e alla definizione di una nuova Costituzione. A Berlino Haftar ha addirittura abbandonato il tavolo negoziale e, mentre i paesi partecipanti firmavano il cessate il fuoco tra i belligeranti, il suo esercito, appoggiato anche da milizie salafite oltranziste, bombardava la periferia di Tripoli e conquistava Misurata».
Pensa che si arriverà a una spartizione della Libia tra Russia e Turchia? «Non credo a una spartizione geografica, anche se una spartizione di fatto da parte della Turchia e della Russia c’è già stata. Erdogan e Putin non sono certo amici, ma nemmeno nemici, perché hanno interessi economici condivisi. Bisogna ricordare che Erdogan e Putin hanno fatto un loro invito al cessate il fuoco a Istanbul mentre inauguravano il Turkistream, il gasdotto che porterà il gas della Russia in Europa».
Cosa significa questo? «Che la spartizione in zone di influenza c’è già nei fatti, come è avvenuto in Siria. Erdogan e Putin hanno sperimentato un modello che funziona. L’elemento che può trascinare la Libia in una confusione militare e politica davvero difficile da dirimere dipende dagli Emirati Arabi. I Paesi del Golfo stanno continuando a spedire, nonostante l’embargo, armi e droni ad Haftar. Per gli Emirati l’opzione militare sembra la più interessante, e ciò potrebbe modificare l’equilibrio raggiunto tra Putin ed Erdogan».
In questa situazione l’Europa sembra aver perso qualsiasi ruolo e influenza. «Gli Stati Uniti hanno deciso da anni di tirarsi fuori dalla partita mediorientale. Già nella campagna elettorale del 2016 Trump affermava: “Voglio chiamarmi fuori da queste guerre infinite, che non vedono soluzione”. E, coerentemente, hanno fatto passi indietro in Libia, senza nascondere le loro intenzioni. L’Europa anziché approfittarne per riempire il vuoto creatosi, si è divisa dietro a interessi diversi: l’Italia su petrolio e immigrazione, la Francia per i suoi interessi strategici nella Cirenaica».
Pochi giorni fa è stato rinnovato il Memorandum con il governo libico, ossia la politica di sostegno alla Guardia costiera libica per il suo addestramento. Cosa ne pensa? «Non aveva senso farlo, anche se può essere modificato in qualsiasi momento. È un documento pieno di ombre sulle quali sono state fatte numerose inchieste giornalistiche, ma anche denunce del Consiglio delle Nazioni Unite. Le zone grigie riguardano soprattutto il passaggio dei flussi di denaro dall’Europa prima e dall’Italia poi verso la Guardia Costiera. Rinnovarlo in una situazione di guerra, avalla di fatto l’idea che la Guardia Costiera libica riporti indietro le persone che stanno tentando di fuggire da un paese in guerra.»
È sostenibile l’accusa rivolta al Governo di aver trafficato con i “trafficanti” di esseri umani? «In Libia è talmente nebbiosa la distanza tra la Guardia Costiera ufficiale e le milizie che controllano le mafie locali che non ci può essere stata chiarezza né trasparenza nella scelta dei propri interlocutori. Dare denaro a queste istituzioni significa... volontariamente?, involontariamente? far arrivare denaro alle mafie locali, perché sono le milizie che controllano i territori».
Cosa sappiamo in realtà della situazione dei migranti in Libia e dell’Africa? «Di quello che avviene in Libia sappiamo tutto, e non possiamo dire di non aver visto o di non sapere. Dei migranti sappiamo poco. Scappano per tante ragioni: per sfuggire alla guerra, perché la famiglia è sottoposta a minacce di gruppi terroristici, per problemi climatici, oppure perché si vuole una vita diversa. Queste sfumature non le raccontiamo con la dovuta precisione, prestiamo poca attenzione ai paesi e alle culture da cui provengono questi ragazzi e li raccontiamo come una cosa indistinta, persone tutte uguali, prevalentemente disgraziati».
Quanti sono i migranti detenuti in Libia e qual è il loro destino se durerà la guerra? «In Libia ci sono circa 6mila persone rinchiusi nei luoghi di detenzione ufficiali, di quelli non ufficiali gestiti dalle milizie è impossibile parlare. Possiamo aggiungere che la presenza di persone non libiche si attesta attorno a 700mila unità. Queste persone vengono usate come armi di ricatto verso l’Europa o vengono costretti a combattere in prima linea: carne da macello. Molti migranti sono entrati in Libia per motivi di lavoro, ma sono rimasti incastrati nelle dinamiche politiche della guerra, nelle divisioni interne e nel conflitto per cui non riescono più a rientrare nei loro paesi».
Si è celebrato il “Giorno della memoria” tra tanta retorica e rigurgiti razzisti. Ritiene appropriato l’accostamento di questo evento storico alla realtà attuale? «Sono sempre molto cauta nell’usare paragoni di questo tipo. Abbiamo tante parole per raccontare la tragedia e gli abusi che stanno accadendo in Libia. Non abbiamo bisogno di tirare il linguaggio fino a quel punto. In Libia ci sono delle prigioni, ci sono delle persone incarcerate senza motivo e ingiustamente, ci sono delle donne stuprate e degli uomini torturati. Credo che abbiamo parole sufficienti per raccontare questo dramma.