Raniero la Valle, giornalista, scrittore, ex parlamentare, che rappresenta la memoria viva del Concilio, è la persona più adatta per valutare il significato del pontificato di papa Francesco.
«Abbiamo oggi degli elementi nuovi che fino a due mesi fa non avevamo. È una specie di svelamento del senso profondo, a lungo termine, di questo pontificato».
Potrebbe spiegare?
«A mio parere questo svelamento è avvenuto nelle messe e le omelie che ogni mattina papa Francesco ha celebrato da Santa Marta. Queste messe, rivolte a tutto il mondo, erano conosciute da pochi, ora invece sono seguitissime; l’altro giorno c’erano 300 gruppi di preghiera collegati. Questa predicazione si presenta con caratteri di assoluta straordinarietà, non solo per le parole dette, ma anche per il modo in cui sono rese visibili: l’espressione del volto, le esitazioni. Penso che se un giorno queste omelie si potessero raccogliere, come riflessioni da Santa Marta, avrebbero il valore delle Lettere degli Apostoli, col vantaggio di non essere scritte, ma visibili».
Qual è il senso complessivo di queste predicazioni?
«Il primo mi sembra il tema della crisi. Una lettura dagli Atti degli Apostoli raccontava che a quel tempo la Chiesa cresceva in pace in tutta la Samaria, la Giudea, avvenivano i miracoli; il Papa ha sottolineato che è la pace a rendere possibile tutto questo, mentre la crisi lo impedisce. Come si racconta nel Vangelo, di fronte alle parole dure di Gesù i discepoli cominciavano ad andarsene, il Papa esorta a stare attenti a che non se ne vadano, a non fare cambiamenti in questo tempo. Nella mia terra, l’Argentina, un detto recita: “quando si attraversa un fiume non si deve cambiare cavallo”. Senza dirlo esplicitamente, il Papa ha fatto una evidente analogia tra la crisi della pandemia, che è la crisi di tutto il mondo globalizzato e la crisi della Chiesa, per gli attacchi che subisce, per le accuse di eresia, per il denaro che viene investito nei tentativi di farlo dimettere».
Perché non opera quelle riforme che tutti i cristiani progressisti e conciliari gli hanno chiesto e che lui stesso aveva preannunciato?
«Perché siamo nella crisi e deve stare attento a non rompere quello che c’è, per portare avanti la fede. Le altre sono questioni ormai mature, ma non essenziali, fanno parte della mondanità della Chiesa: il celibato dei preti, il sacerdozio femminile, tutte cose importanti, ma non sono la sostanza. In questo momento di crisi ciò che è fondamentale è la predicazione della Parola, in un modo che finora non era stato usato».
La Valle commenta l’episodio di Emmaus «siccome sulla strada di Emmaus Gesù spiega le scritture ai discepoli, il Papa ha soggiunto: “Quanto mi piacerebbe sapere cosa ha detto! Io direi le stesse cose”. Lui si sta sforzando di trasmettere il messaggio di Gesù. I quattro Vangeli sono su Gesù, ma ce n’è un altro, non nascosto, quello che lui stesso ha proclamato, in cui non parla di sé, ma del Padre. Ogni riferimento è a Dio, è la sua rivelazione. Le predicazioni di Francesco si fondano sui quattro vangeli, ma sostanzialmente sono sul mistero del Padre».
Raniero sottolinea un altro punto cruciale.
«Nell’omelia del quattro maggio sul discorso di Pietro che torna a Gerusalemme e va in casa dei pubblicani e dei peccatori, mangia con loro, non si lava le mani, non rispetta la circoncisione e naturalmente viene accusato di infrangere la legge, il Papa ha intessuto un discorso molto radicale. Non si può fare distinzione tra le persone, tutti fanno parte del pascolo del buon pastore: buoni o cattivi, peccatori o non peccatori, battezzati o meno. Ha concluso l’omelia soffermandosi sulla parola “tutti”. Il senso di questo tempo nuovo che si sta aprendo è di pensare che l’umanità tutta è il popolo di Dio, la vera Chiesa. Anche coloro che non hanno ascoltato le rivelazioni o le hanno rifiutate. In questa pandemia Francesco si è rivelato come colui che sta all’incrocio tra la Chiesa dei santi e la Chiesa di tutti. È il pastore che sente la voce delle pecore che non appartengono al suo pascolo e le ascolta».
È la percezione di Francesco?
«Certamente. Se questa concezione si diffonde nella Chiesa rappresenta la più grande riforma, ben al di là di quelle scritte sulle pagine dei giornali, certamente giuste, ma alle quali non dobbiamo legare tutto il senso di una Chiesa che risponde alla sua vocazione oppure no. Ci saranno sempre limitazioni e resistenze, tanti passatismi, integrismi, ma quello che importa è che si recuperi il senso dell’annuncio del Vangelo, della croce, non solo per gli eletti, ma per tutti gli uomini».
Chi sono gli avversari che ostacolano la sua azione pastorale?
«I papi non sono l’ovvio che tutti si aspettano, sono sempre criticati e combattuti. È successo anche con Giovanni XXIII, quando il principe dei giornalisti italiani, Montanelli, lo attaccò sul Corriere della Sera. Successe anche all’interno della Chiesa: con Paolo VI ci fu lo scisma di Lefevre, con Francesco c’è stata la reazione vendicativa del Nunzio a Washington. Nella Chiesa ci sono sempre state queste aporie, ma non sono state sufficientemente potenti per mettere in discussione l’equilibrio della Chiesa in epoca moderna».
Adesso c’è qualcosa di più?
È il mondo che Gesù non ha amato, perché viene contestato il proprio idolo, il denaro, questo mondo a cui non interessa nulla della religione, della fedeltà al Vangelo. Tutto il sistema economico e sociale che ha preso possesso del mondo si sente confutato in ciò che rappresenta e non può che scatenarsi, cercando di distruggere questo antagonismo. Il capitalismo aggressivo durante la divisione in blocchi del pianeta, era contenuto, persino in Occidente. Si è dovuto costruire lo stato sociale, attuare una certa dose di keinesismo, redigere lo Statuto dei Lavoratori, si son dovuti riconoscere i diritti fondamentali dell’uomo, perché c’era un antagonista esterno, il comunismo».
Oggi che questo nemico esterno non c’è la situazione è migliorata?
«Nemmeno per sogno! Il capitalismo domina il mondo. Quando è caduto il muro di Berlino l’Occidente ha trionfato come se avesse vinto la guerra, persino la sinistra ha esaltato la caduta del muro, mentre quello era il momento per procedere a una grande riforma di tutto il sistema mondiale. Si poteva lavorare per la pace, spendere i soldi per lo sviluppo, l’educazione, la salute. Invece è stato creato questo sistema assurdo per cui dieci persone detengono la ricchezza che equivale a quella di miliardi di poveri. Una predicazione come quella di Francesco, se diventa senso comune, non solo per i cristiani ma per tutti, potrà debellare questo nemico. Certo, i profeti del capitalismo si servono di argomenti religiosi, ma il vero scopo è non lasciare la presa sul mondo. Basta osservare come non arretrino neanche di fronte alla pandemia, pretendono la riapertura delle fabbriche, sorvolando sulle migliaia di morti in ossequio al darwinismo sociale, per far ripartire i profitti e far girare il meccanismo».
Cosa ne pensi dell’uscita di papa Benedetto sulle questioni non negoziabili, sul libro intervista di Peter Seeweld?
«Sono residui di una storia passata, già conclusa. Benedetto XVI ha relativizzato l’immagine mitica e idolatrica del papato che era stata costruita nel tempo e ha compiuto con estremo coraggio il gesto di dimettersi. Essendo lui un uomo della vecchia chiesa si è reso conto di non essere in grado di guidare la nuova. Tuttavia è rimasto il teologo che era prima e continua a esprimere il suo pensiero con maggior libertà. Non credo che lo abbia fatto per intralciare l’azione di papa Francesco, ma perché si è sentito in diritto di manifestare il proprio pensiero ed è stato condizionato a farlo».
La Laudato Si' è stata accolta con tiepidezza dal mondo cattolico tradizionale. Come mai?
«Il mondo cattolico non sta capendo questo Papa, pretende che lui faccia cose che non può fare. Nella Chiesa c’è anche il sensus fidei del popolo di Dio che non può subire traumi, deve essere condotto con dolcezza, come fa il pastore con il gregge. La Laudato Si' è una grande enciclica in cui il Papa, per la prima volta, non si rivolge ai cattolici o ai cristiani, ma a tutti gli abitanti del pianeta. È un cambiamento profondo che non abbiamo conosciuto nei secoli scorsi. Per attuare la Laudato Si', ci vuole la scienza, la volontà, ma soprattutto la politica, che prenda in mano le istanze della scienza, dell’esperienza e della cultura e realizzi quei necessari cambiamenti radicali. Se non si traduce in politica, questo prezioso messaggio non passa. La pandemia ha rivelato a tutti che i problemi non sono ascrivibili a singoli paesi, ma coinvolgono tutto il mondo, perciò la risposta dev’essere altrettanto universale. C’è necessità di formulare dei principi e fondare degli istituti di garanzia che abbiano valore per tutti e che garantiscano in primo luogo il diritto alla vita, alla salute, all’accesso alle cure, al cibo, alla scuola. Serve una nuova idea del diritto e del rapporto tra le società politiche, una costituzione mondiale, sovraordinata alle costituzioni degli Stati. Se questo non verrà fatto, la Laudato Si' rimarrà semplicemente il segnale che queste cose erano state comprese, dette e chieste, ma non realizzate».
di Achille Rossi