Il virus dell'incertezza
A circa un mese e mezzo dall’avvio del nuovo anno scolastico nel regime di vigile allerta legata al Covid, a fronte di linee guida ministeriali in evoluzione e non sempre perfettamente puntuali, di certo c’è che gli Istituti scolastici riapriranno, che dovranno provvedersi di misure di prevenzione a tutela di studenti e lavoratori del settore, e che dovranno dimostrare autonomia e flessibilità nella gestione didattica e logistica. Il primo nodo parte dalle strutture perché, come si evince dal documento ufficiale del Comitato Tecnico Scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile pubblicato dal Ministero dell’Istruzione, oltre all’adozione di dispositivi di protezione individuale per alunni e insegnanti (riservandosi di puntualizzare tipologia e modalità di utilizzo più a ridosso dell’avvio delle attività per rispondere in maniera ottimale all’evoluzione del quadro clinico-epidemiologico), alla rigorosa igiene personale delle mani e degli ambienti, permarrà l’obbligo al distanziamento fisico di almeno un metro tra persona e persona come precauzione inderogabile per l’esposizione al contagio e la strutturazione di percorsi e spazi che impediscano raggruppamenti e assembramenti. Gli Enti Locali sono chiamati ad assolvere obblighi specifici per ciò che concerne la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici, a partire dall’analisi delle criticità delle singole istituzioni scolastiche, alla ricognizione degli spazi e al rimodulamento, adeguamento o individuazione di ulteriori strutture di appoggio qualora non fossero rispettati i parametri di sicurezza necessari. L’intero processo è legato a un vincolo temporale estremamente contenuto, che si riduce progressivamente con l’avvicinarsi di settembre.
Ma qual è lo stato dell’arte nel territorio tifernate? Dal confronto avuto con Emanuela Arcaleni, docente e consigliera comunale del gruppo di opposizione Castello Cambia, particolarmente sensibile all’argomento in virtù della propria posizione istituzionale e professionale, emerge che «il Covid ci ha semplicemente costretto a prendere atto dei gravissimi ritardi e delle gravissime incongruenze che esistevano già prima». Nel campo dell’edilizia scolastica, pur non essendo noto né il piano improntato per i sopralluoghi né la tempistica degli stessi, vi sono criticità insolute da tempo che aggravano il contesto post-covid e sono rintracciabili nell’elenco di scuole che necessitano di adeguamento e chiusura di plessi con spostamento dei bambini in altre strutture. Ne sono esempio la Primaria di Userna, per la quale si prevede una demolizione-ricostruzione e si è oggi appena in fase di progettazione (come riferito dall’assessore Secondi nel Consiglio Comunale 22 giugno), che appoggia gli studenti nella struttura scolastica della Dante Alighieri, sottraendo ambienti che sarebbero necessari per la risposta al Covid; o la scuola Infanzia “Asilo Cavour”, altra annosa questione che dal 2017 rappresenta un insoluto e un sospeso. Le vicende sono note: la sede, frequentata da circa 100 bambini, è stata spostata nei locali dell’ex Seminario Vescovile dal 2017. La struttura presentava criticità già all’inizio, essendo concepita per finalità ben diverse e doveva rappresentare una scelta temporanea in attesa dell’attuazione del Progetto 0-6 “Franchetti-Cavour-San Filippo”, che prevedeva la costituzione di un polo unico nel quartiere Meltina. Il plesso non è stato realizzato e a tutt’oggi, nonostante l’inadeguatezza della struttura del Seminario, non è dato sapere dove saranno collocati a settembre i bambini frequentanti.
Anche in merito alla didattica, prosegue Arcaleni, ci sono degli interrogativi che restano sospesi. Ci sono ancora oggi zone in cui non arriva l’ADSL, non servite da altro che dalla linea telefonica. Il primo interrogativo riguarda l’open fiber della regione (con stanziamenti precedenti al Covid): qual è lo stato dell’arte al momento? Ci sono zone sulle quali non si sa né quando né come arriverà e questo esclude, di fatto, una parte di studenti dalla didattica a distanza o li costringe a sacrifici per la frequenza. I docenti e gli studenti si sono trovati di fronte a strumenti perfettamente funzionanti, ma privi di collegamento di rete, con conseguente ovvio disagio. L’infrastruttura tecnologica è indispensabile: anche in presenza, la didattica in digitale è necessaria e complementare.
Infine resta l’incognita maggiore, quella della riorganizzazione dei percorsi e delle aule all’interno dei plessi scolastici, del piano relativo ai trasporti, della carenza di personale: gran parte delle classi hanno più di 20 studenti, che devono rimanere nella stessa aula per 5 ore al giorno; metà del personale docente ha più di 50 anni (nell’anno scolastico 2017-2018 il dato nazionale riferisce che sono oltre 300 mila i docenti titolari con oltre 54 anni di età, il 17% ha più di 60 anni [fonte MIUR]): come si tradurrà, concretamente, il distanziamento fisico, la separazione dei percorsi, lo scaglionamento dei trasporti, le procedure stringenti sull’igiene ambientale? Quante strutture servono e dove e come contiamo di reperirle? Ci hanno detto che anche se non ci sono comunicazioni il lavoro sta proseguendo. Ma queste domande non stanno ancora trovando una risposta che possa soddisfare quella che non è curiosità, ma legittima e consapevole preoccupazione. ◘
Di Chiara Mearelli