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La chiamata spirituale del risveglio

DOSSIER:  Raimon Panikkar: un pensatore profetico

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L’incontro con Raimon Panikkar, per chi ha avuto la fortuna di viverlo, era sempre un’esperienza. Certo incontravi un uomo di cultura straordinaria, un intellettuale raffinatissimo, un uomo spirituale, sì. Ma soprattutto era presente in lui, e lo avvertivi se esercitavi un minimo di attenzione, un “sentimento reale”, qualcosa di molto raro, nitido e profondo. Un sentimento che nasceva in lui, credo, dalla relazione profonda del corpo, della mente e dello spirito. Solo se le dimensioni che ci costituiscono sono unificate, armonizzate può nascere un sentimento reale. Una presenza effettiva, irradiante, veramente umana. In Panikkar il centro emozionale (per dirla in un linguaggio più tecnico) era vivissimo, sorgivo, coltivato e spontaneo. Ecco il sentimento. Qualcosa del genere si può ancora cogliere nei preziosi filmati dove lo si vede parlare. Anche nei suoi scritti, se si riesce a sentire che sotto l’ardita e talvolta difficile veste intellettuale sta al centro il cuore (biblicamente e non sentimentalisticamente inteso). Di persona, però, la “trasfusione” era immediata.

In qualunque caso, la figura di Raimon Panikkar, la sua vita e la sua opera (scritta e orale) sono di importanza incalcolabile, specie oggi in tempi di «selva oscura», dove un potente e immediato risveglio è sempre più necessario.

img420Uomo poliedrico, pluri-versale, un arcobaleno di culture, lingue, tradizioni riunite in uno: catalano e indiano per nascita, filosofo, teologo e sacerdote (ma laureato in chimica) ha insegnato nelle più prestigiose università d’Europa, America e India. Al crocevia di più tradizioni religiose d’Oriente e d’Occidente si è così descritto, con frase folgorante e sorridente: «Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista, senza cessare per questo di essere cristiano».

Maestro instancabile del dialogo interculturale e interreligioso, uomo di pace, Panikkar ha sempre creduto nella possibilità di incontrarsi nella differenza. «L’altro è per me esperienza di rivelazione», ha detto spesso. Allo “scontro tra le civiltà”, così facile, così corrivo, Panikkar ha sempre risposto costruendo relazioni, “ponti”, amicizie, dialoghi non dialettici, ma dialogali, aperti all’ascolto e al rispetto, anche nella diversità. Rigoroso e leggero, realista e pieno di speranza, Panikkar non ha cessato di ricordarci che «l’uomo è dio all’uomo», pur sapendo che però spesso homo homini lupus. Ma l’armonia è possibile!

Le sue intuizioni profetiche e liberanti, la sua saggezza mai disgiunta da umorismo e umanità, il suo coraggio intenso, concentrato hanno già toccato molti cuori e molte menti. Ma ancora di più ci accompagneranno nei prossimi anni: il futuro rende giustizia ai grandi.

L’opera sterminata e profonda del geniale filosofo non è riassumibile. La questione è seria: non si tratta di belle frasi o di un qualche sfoggio di cultura. Ne va della nostra sopravvivenza. Per questo l’importanza di Raimon Panikkar è incalcolabile. Vorrei indicare solo alcuni spunti, alcune gemme dell’eredità panikkariana. Adesso tocca a noi farle fiorire, “prolungarle”.

Ma il fulcro è l’attualità e l’importanza per noi di questo poliedrico autore, sacerdote cattolico, figlio di madre catalana e di padre indiano, nel cui Dna è inscritto un dialogo costitutivo di tradizioni e culture. Indichiamo qui nove punti, che ne fanno intuire la pregnanza.

1) Colligite fragmenta, «raccogliete i frammenti». Il lemma evangelico era molto caro a Panikkar. Bisogna raccogliere i frammenti: della nostra cultura, delle nostre tradizioni. E di quelle altrui. Nessuna civiltà, religione, cultura può pensare di avere la soluzione ai problemi dell’oggi. Certo neppure la tecnoscienza. Serve un incontro profondo, non facile, ma fecondo tra le varie tradizioni, per un mutuo e vicendevole arricchimento. Tutti abbiamo bisogno di tutti.

2) La relazione è “in principio”: non si dà un “io” senza un “tu”. L’uomo non può vivere senza l’altro, ma neppure sconnesso dalla terra, dal cosmo, dalla materia e da quel mistero indicibile che alcune tradizioni chiamano “Dio”, ed altre con altri nomi: Infinito, nirvana, Pace, Giustizia, Silenzio, Nulla ecc., senza mai poterlo esaurire. Da qui anche l’intuizione cosmoteandrica, Dio-Uomo-mondo, il pensare triadico-trinitario ecc.

3) Se la relazione è costitutiva, ecco che il dialogo dialogale (e non dialettico e contrappositivo) diventa una prassi indispensabile, ardua, ma insieme profondamente umana. Il dialogo è amicizia. L’amicizia è dialogo. La ricerca è “comunità di ricerca”.

4) Il pluralismo è anch’esso costitutivo. Non esisterà “la” religione, ma le religioni. Non un cristianesimo, ma cristianesimi. E ancora: no monismi, no dualismi. Siamo sempre tentati di ridurre tutto a uno (un pensiero unico, un solo sesso, una sola religione, una sola cultura… la nostra, per lo più) e rischiamo di essere lacerati dai dualismi: Dio vs uomo, carne vs spirito, ragione vs passione ecc. Esiste però una terza possibilità, una terza forza: misteriosamente divento capace di tenere insieme queste polarità, senza confusione e senza separazione…

5) La riscoperta della mistica come “diritto umano”. Questo è forse il richiamo di Panikkar più importante: la riscoperta di una dimensione infinita che abita dentro ciascuno di noi. La mistica è una possibilità per tutti, al di là delle credenze o delle appartenenze religiose o non.

6) L’istanza interculturale ha un valore filosofico-euristico imprescindibile. Lo sguardo interculturale ha potenzialità critiche, liberatorie ed emancipatorie immense.

7) La parola è inscindibile dal silenzio, è «l’estasi del silenzio». Senza un silenzio previo, le parole diventano chiacchiera, flatus vocis, anche menzogne. Per questo siamo realmente umani quando coltiviamo la parola, ma quando anche facciamo esperienza del silenzio, che non è “assenza”, isolamento, ma grembo in cui una parola autentica può nascere. Una parola autentica fa ciò che dice. E così una triade armoniosa si costituisce: Silenzio-Parola-Azione.

8) La critica al dogma scientista: per quanto uomo di scienza lui stesso, Panikkar non ha risparmiato affilate critiche al monopolio culturale e linguistico della scienza, soprattutto quando essa crede di poter calcolare e matematizzare il mondo, di fatto riducendolo a numero e dominandolo. In tempi come i nostri, dove sembra sempre più evidente lo strapotere di un paradigma bio-securitario, ora medicalizzato, le riflessioni panikkariane risultano quanto mai profetiche. Non si tratta di rigettare inopinatamente gli apporti positivi della scienza, ma di liberarci dall’«epistemologia del cacciatore», che punta “il fucile” del controllo sul mistero della realtà, e di ricondurre la scienza nei suoi giusti limiti, che sono più quelli della certezza che non della verità sul reale.

9) La centralità del cosmo: la terra è viva, la materia non è inerte. Tutto il cosmo è pervaso da un’anima, l’anima mundi, come la chiamavano gli antichi. La realtà senza il cosmo è decurtata di una parte essenziale. Anche qui il messaggio panikkariano è di fatto dirompente ed essenziale: siamo in tempi di catastrofe climatica e di sesta estinzione di massa. Il capitalocene è costruito sulla predazione senza fine della natura. Riscoprire l’«ecosofia», la «sapienza della terra», non è un vezzo, ma una necessità vitale e non rimandabile.

Panikkar continuamente ci parla della pienezza dell’uomo, che è umana, divina e cosmica. E ci richiama al risveglio. O ti risvegli o sei perduto è la chiamata spirituale panikkariana e dei nostri tempi. ◘

Di Gianni Vacchelli


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