Cronache d'epoca
Nato a Bologna in una famiglia della buona borghesia, con la mamma irlandese, il ragazzo è un pessimo studente, bocciato agli esami di ammissione all’Accademia Navale di Livorno. Anche l’università di Bologna lo respinge. Il giovane ha una passione, quella per l’elettricità. Così stando le cose i suoi gli mettono a disposizione l’ampia soffitta della casa di campagna che possiedono, non lontano da Bologna. Quella soffitta è il laboratorio dove il ventenne costruisce i suoi strumenti: con tubetti di vetro, un po’ d’argento, un po’ di nichel, rame, ferro, piombo che manipola da autodidatta, finché arriva il gran giorno: il giovane, dal suo laboratorio, è pronto a premere il tasto di un suo apparecchio. Di fronte alla casa c’è una collina e al di là un uomo con il fucile carico e un ricevitore. Il giovane manda il segnale dall’altra parte, arriva il suono della fucilata. È l’8 dicembre 1895, il giovane è Guglielmo Marconi e quel giorno è stata inventata la telegrafia senza fili.
Passano appena venti giorni da questo fatto, a Parigi quel sabato sera fa un freddo cane sul Boulevard des Capucines; un banditore invita gli infreddoliti passanti a entrare nel Gran Café: «Entrate signore e signori, venite a vedere uomini che si muovono nella fotografia animata»; ne entrano trentacinque di persone, radunate in uno scantinato dal nome esotico “Salone indiano”. Si spengono le luci, su un telone bianco inchiodato al muro appaiono le prime immagini in movimento. Sono una dozzina di film della durata di due minuti, fra cui L’uscita degli operai dalla fabbrica. È il 28 dicembre 1895, è nato ufficialmente il cinema dei fratelli Lumière. L’ingresso è costato un franco, ne hanno incassati 35, quanti gli spettatori. Tre settimane dopo si arriva già a un incasso di 2000 franchi al giorno. Anche se uno dei fratelli Lumière, Louis (l’altro si chiama Auguste) è convinto che «il cinema è senza avvenire, solo una curiosità iniziale». Gli fanno eco quelli con la puzza sotto il naso e i perbenisti (oddio, i perbenisti!) che scrivono: «le sale sono disertate da gentiluomini di buongusto, è uno spettacolo da baraccone da associare alla donna cannone e alle scimmie ammaestrate, frequentate dalle serve e dai soldati in libera uscita».
Due invenzioni, in quel dicembre 1895: la telegrafia senza fili e il cinema, due fatti importanti, carichi di ricche conseguenze per il secolo che sta per entrare (A dirla tutta, l’invenzione di Guglielmo Marconi non fu presa in considerazione dal ministero delle Poste Italiane. Marconi andò a Londra, dove ricevette importanti finanziamenti). Chiusa la parentesi, qui si parla di cinema, il quale farà la sua comparsa ufficiale in Italia un anno dopo, nel 1896, a Torino. A Città di Castello il cinematografo muove i primi passi con l’apparire del nuovo secolo, il 1900. Vivacchia con proiezioni itineranti e saltuarie. Nei settimanali che si pubblicavano in città in quel tempo, l’Unione popolare, la Rivendicazione, L’altotevere, solo per citarne alcuni, non è raro leggere di intrattenimenti «con proiezioni cinematografiche» e i loro commenti. A questi giornali ora sarà data una sfogliata a volo d’uccello, come si diceva una volta. L’Ottocento sta spirando quando si legge: «A porta San Florido si aprì sotto una tenda un teatro meccanico che mostrava scene in movimento per mezzo di una lanterna magica e altri marchingegni, vi si poteva vedere e godere: una nevicata; l’ultima eruzione del Vesuvio; la caccia all’orso e altre mirabilie». Sarà il “Teatro dei signori Accademici Illuminati”, per primo, a ospitare e offrire ai tifernati questo nuovo genere di spettacolo, seguito più tardi dal Bonazzi, ex Vittoria, di Piazza dell’Incontro, poi dalle sale dei Banicchi di Via San Florido, nel rione Prato, e in altri locali occasionali. Scrivono i giornali: «Il pubblico si diverte molto, vorrebbe che lo spettacolo non finisse mai. Si vedono dal vero molte cose che la maggior parte del pubblico aveva solo immaginato», «lo spettacolo è veramente perfetto, luminosità e nitidezza di proiezione», ancora «il pubblico apprezza la nitidezza dei quadri, con scene amenissime, riproduzioni magnifiche di viaggi e dei paesaggi più sconosciuti». Da come si legge, i commenti sono tutti favorevoli. Sarà nel 1907, tre giorni prima di Natale, che Città di Castello avrà una vera e propria sala adibita solo a proiezioni cinematografiche. Questo l’annuncio dell’avvenimento: «Domani, 22 dicembre, nella elegante sala di Via Sant’Antonio n. 7 sarà inaugurato con un attraente programma il cinematografo Galvani, aperto su iniziativa di una società locale cui auguriamo un’ottima e meritata fortuna. Gli spettacoli avranno luogo tutti i pomeriggi dei giorni festivi». Una settimana dopo ecco il puntuale commento dell’avvenuta inaugurazione: «il cinematografo permanente, inauguratosi domenica scorsa, ha avuto in questa settimana un lieto successo che è premessa e garanzia di prosperi affari per l’avvenire, sicuri che il pubblico continuerà ad accorrere numeroso, ogni sabato e domenica». (continua) ◘
Di Dino Marinelli
Racconto. La Val Minima è un ambiente paesaggisticamente straordinario in cui il Comune vorrebbe autorizzare un allevamento intensivo di polli
Il volo della farfalla
Ho conosciuto la Val Minima per quel pasticciaccio brutto dell’allevamento avicolo. La Val Minima, raccolta attorno al torrente omonimo, è quella valle a sud ovest del Comune di Città di Castello, identificabile con Petrelle, che s’incunea stretta tra i maestosi e incontaminati boschi appenninici, formando una sorta di lungo canalone che porta dritti verso la Toscana: Cortona dista solo una ventina di chilometri. Sono arrivato lì a ottobre, un ottobre che sembrava voler trattenere l’estate appena finita. Sono andato per parlare di polli, di inquinamento, di prepotenze, di malgoverno, e mi sono ritrovato di fronte persone agguerrite ma pacifiche, arrabbiate ma ragionevoli, indignate ma pacate, soprattutto determinate a non tirarsi indietro. Persone speciali in un luogo speciale. Così, rapito da tanta bellezza, ho deciso di mettermi in cammino per un’immersione totale in quei luoghi estremamente affascinanti. Non conoscevo strade “alternative”, di quelle che appagano i camminatori tenendoli lontani dall’asfalto, ma d’improvviso dal bosco è spuntata una farfalla ad indicarmi la strada ed io l’ho seguita. Ho camminato circa cinque ore per giungere a Petrelle, che si snoda lungo il margine destro della strada provinciale. Appena giunto, mi accorgo che il tempo, eccetto che per qualche auto, sembra essersi fermato agli anni ’ 30. "ONORATE Il PANE, GLORIA DEI CAMPI, FRAGRANZA DELLA TERRA, FESTA DELLA VITA" firmato: Mussolini. Queste parole, riprese dal discorso che fece il Duce nel 1924 in occasione della festa del pane, le troviamo incise su una pietra rettangolare che tutt’ora campeggia sulla facciata del paese. Una testimonianza di interesse storico, la prima delle tante che da qui in poi, immergendoci in un viaggio a ritroso nel tempo, la Val Minima sarà in grado di regalarci.
Attraverso velocemente le poche case di cui è composto il paese, in direzione San Zeno a Poggio. Ed ecco che, dopo pochi minuti di cammino, ci troviamo all’A.D. 1250. Di fronte a me, sempre sul lato destro della provinciale, si staglia il magnifico e ben conservato castello dei marchesi Bourbon di Petrella. La farfalla si insinua lungo la strada che conduce sotto le mura, ed ecco che il marchese Onorio e sua moglie Cecilia mi accolgono in quel luogo stupefacente. La famiglia da cui il marchese Onorio discende, i Bourbon di Petrella, ha governato in modo magnanimo su queste terre per settecento anni. Cecilia mi racconta un sacco di storie sul castello e sui fatti accaduti in questa valle molti secoli or sono. È preparatissima; ha scritto anche un libro Storia di un Feudo Imperiale, reperibile per chi fosse interessato in tutti i book-store digitali o alla libreria Paci “La Tifernate”. Sono momenti che vorresti non finissero mai, tanta è la bellezza che si scopre nel legame che una piccola valle come questa ha con la Storia (con la S maiuscola).
Ma devo continuare il cammino, saluto i coniugi Bourbon di Petrella e mi metto di nuovo all’inseguimento della mia farfalla che si spinge avanti, come a volermi indicare che questi luoghi hanno ancora tanto da raccontare. Dalla provinciale, che taglia la pancia della valle, seguo la mia guida lungo una strada in salita, per la quale arriviamo alla chiesa di san Zeno. Una chiesa romanica, la cui edificazione è da far risalire probabilmente al 1340 d.C. Troviamo sull’architrave dell’antico ingresso anche chi la fece costruire "HOC OPUS FECIT FIERI R.FRANCISCUS RECTOR ECLESIAE S. ZENONIS". Nei secoli la chiesa è stata sottoposta a molte ristrutturazioni e modifiche, ma riesce ancora a conservare quel fascino e quel profumo che solo certi luoghi sanno avere e che arrivano a noi consegnandoci un filo partito da lontano, come fosse un testimone da dover portare a nostra volta ad altre generazioni. Mi sporgo dalla collina dove sorge la chiesa e mi accorgo che a qualche decina di metri dovrebbe sorgere quel pasticciaccio brutto del pollificio, e penso sia proprio vero che al peggio, alla prepotenza e all’ignoranza non c’è mai fine.
Provo amarezza, ma la farfalla comincia a spiraleggiare di nuovo vicino a me; così riprendo vigore e, alzando gli occhi, dall’altra parte del Minima, arroccato in alto, quasi sospeso, scorgo nella sua maestosità il castello di Petriolo. In questa valle la bellezza non è solo monumentale, la strada per raggiungerla si inerpica tra boschi tanto vasti quanto meravigliosi. Al pari, se non più del resto, la natura qui è il vero monumento: boschi a perdita d’occhio, silenzio, pace, contatto profondo con se stessi e col mondo. La mia farfalla mi indica una piccola strada sulla destra, una piccola e tortuosa viuzza immersa in un’aria da fiaba. Immagino quale e quanta fatica per quelle persone che nei secoli sono riuscite a ricavare e conservare questo passaggio nel cuore del bosco. Anche questa è storia e cultura, anche questa è in qualche modo arte; arte di vivere e di saperlo fare in simbiosi e rispetto dell’ambiente che ci accoglie. Chissà se il pollificio sarà in grado di tener fede a questa nobile arte. Dopo alcuni tornanti mi trovo al castello. La sua fondazione risale circa al 1.100, il nome probabilmente ci indica che è stato costruito su di una roccia, “petra”, da qui il nome Petriolo. Attualmente si presenta con una magnifica facciata settecentesca, frutto dei vari ampliamenti apportati nei secoli. I propietari, Otto Grolig e la moglie Lieve, vengono dal Belgio e venti anni or sono, innamorati di queste terre, decisero di acquistare il castello. Il fatto che in origine fosse costruito sulla pietra ha dato luogo anche a una leggenda. Otto e Lieve mi conducono all’interno e mi mostrano la scalinata che porta ai sotterranei. La leggenda narra che in una notte di tempesta sia stato il diavolo in persona con la sua coda a scavare quel passaggio nella roccia. Rimango colpito da quello che i due attuali proprietari son riusciti a creare all’interno, con restauri completamente reversibili, e per la bellezza che sono riusciti a restituire a quegli ambienti senza deturparne affatto la bellezza originaria, anzi, aggiungendo bellezza alla bellezza.
In tempi più recenti il castello è stato anche studio di un pittore di fama mondiale come Balthasar Klossowski in arte Balthus. C’è ancora l’ala Balthus dove l'artista aveva il suo studio.
Saluto Lieve e Otto e, scortato dalla dolce farfalla, mi dirigo alla mia meta, l’agriturismo “Il Cucciolo”. Devo solo scendere un po’, il luogo è proprio a due passi dal castello. Marta, la proprietaria, l’ho conosciuta per questa storiaccia dei polli, ed è stata molto gentile ad accogliermi in un momento come questo, in cui il Covid ha praticamente annullato le richieste dei turisti e l’agriturismo è deserto. Questo casolare fu aquistato da suo nonno materno negli anni '70. Fu lui già negli anni '80 a convertire le coltivazioni di tabacco tipiche delle nostre zone in coltivazioni biologiche. Marta ha rilevato il posto all’inizio di questo nuovo millennio e ha ristrutturato i casolari per farne una struttura ricettiva. Voleva farne un luogo per artisti in cammino. Non che io sia artista, ma in cammino certamente lo sono, così mi ha offerto un piccolo appartamento per dormire. Appena sono arrivato in quell’aia, tra le mura di quei casolari ristrutturati stupendamente, la farfalla, così com'è arrivata, se ne è andata, infilandosi nel bosco. E allora mi sono chiesto come mai proprio una farfalla mi abbia accompagnato in Val Minima, in questo museo naturale e storico a cielo aperto, proiettato ora in una disputa che guarda dritta al futuro, cercando di difendere nel presente i luoghi e un’atmosfera che ha diritto di essere difesa, non solo dagli abitanti della valle, ma da tutti i concittadini, a partire da quelli che rivestono cariche politiche e che avrebbero il dovere e la responsabilità di farlo. Gli stessi proprietari di Energala, in quanto concittadini degli abitanti di quella valle, dovrebbero essere contro l’insediamento del loro stesso pollificio.
Dunque dicevo: perchè una farfalla? Non ci ho messo molto a capirlo. In primo luogo perchè la farfalla è simbolo di rinascita e trasformazione, come a dire che le cose si possono cambiare anche quando sembra impossibile. Un pollificio dunque può essere scongiurato, se a dire di no è l’amore e il rispetto per la vita in tutte le sue forme. In seconda battuta la farfalla era lì a ricordarmi ciò che è chiamato appunto “effetto farfalla”. L’effetto farfalla è quel fenomeno per cui, come diceva Lorenz, il matematico che ha coniato questa locuzione, “un battito d’ala di farfalla in Brasile provoca un tornado in Texas”. Ecco cosa mi stava dicendo la farfalla portandomi a ritroso tra tanti batter d’ali che hanno prodotto nei millenni e nei secoli una bellezza di cui ancora possiamo godere, ed ecco anche il monito che ne ho ricavato: siete sicuri che quel pollificio, che ora ad alcuni sembra un piccolo batter d’ali, non provochi poi un tornado spaventoso capace di spazzare via per sempre bellezza e quiete da quei luoghi della Val Minima e oltre? Beh sì, siamo sicuri che accadrà proprio questo, se il pollificio verrà realizzato.
Voglio ringraziare tutte le persone speciali che ho conosciuto in questo breve viaggio nel cuore di una meravigliosa valle, sperando che quel pasticciaccio brutto del pollificio sia scongiurato e che al suo posto possa sorgere qualcosa di importante per tutta la comunità. Qualcosa magari che fra mille anni gli abitanti del mondo, entrando in questa valle, potranno guardare con rispetto e ammirazione. ◘
Di Andrea Cardellini