Personaggi. La nobiltà castellana
“Arriva la Principessa, viene da noi!”- così Ezio, il commesso, annuncia a voce alta l’evento. Io, bambino delle elementari, mi alzo di scatto e, curiosissimo, mi avvicino alla vetrina dell’Antica Farmacia Ducci.
Rimango quasi fulminato quando vedo avvicinarsi un’antica signora, tutta vestita di nero sino ai piedi, grande cappello compreso, affiancata da due uomini in giacca nera e pantaloni a righe… Al suo passaggio tutti si tolgono il cappello e s’inchinano. Fatta aprire la porta, mio padre e mio nonno l’accolgono con un inchino omaggiandola del titolo di Eccellenza, lei porge benevolmente la mano, soltanto sfiorata dalle loro labbra. Domandatole rispettosamente cosa desiderasse e ricevuta l’ordinazione, si prepara un pacchettino confezionato a regola d’arte e appoggiato sul marmo del banco. Solo allora S.E. si rivolge a mio padre dicendogli “me lo mandi a Palazzo” e rispondendo con un benevolo cenno del capo esce con lo stesso cerimoniale dell’ingresso.
Io ero rimasto impalato in piedi da una parte, mentre il commesso cominciava a correre a perdifiato verso palazzo Vitelli a S. Egidio per consegnare il farmaco al guardiaportone prima del ritorno della Principessa.
Questa visita mi suscitò molti interrogativi: perché la principessa non era giovane, bella e vestita d’azzurro o di rosa come nelle favole…; perchè veniva chiamata Eccellenza come il Vescovo; e perché non aveva preso il medicinale da sé o fatto prendere dai suoi servitori. Lo chiesi al mio babbo: lui me lo spiegò, ma non ne rimasi troppo convinto.
Questa anziana “signora” era stata molto munifica verso la nostra città, come i suoi antenati, che durante il Rinascimento la resero importante nell’ambito della magnifica Firenze medicea sottraendola al dominio oscurantista del papato; ma nell’immediato dopoguerra l’ultima discendente di un così nobile casato subì un grande affronto: la piazza principale di Città di Castello, da secoli legittimamente intitolata alla dinastia vitellesca, cambiò denominazione; mani iconoclaste distrussero la targa intitolata alla gloriosa signoria tifernate e la sostituirono con quella dedicata all’eroico martire della libertà Giacomo Matteotti. Questi, senza dubbio alcuno, avrebbe meritato l’intitolazione di una via o di una piazza del centro storico, ma forse non a scapito di quella celebrativa e così identitaria per la storia locale.
Donna Isabella Boncompagni Ludovisi Rondinelli Vitelli reagì prontamente: il Palazzo Vitelli a Sant’Egidio, sua residenza, che per testamento aveva precedentemente assegnato – insieme alla Palazzina, al giardino, alle pertinenze e a tutti gli arredi –, al Comune per uso della cittadinanza, fu invece destinato al Vaticano.
Il “piccolo Pitti altotiberino” conteneva splendide opere d’arte che solo in parte, per ulteriore disgraziata beffa, raggiunsero la Santa Sede: per lo più furono infatti trafugate nottetempo e stivate in alcuni camion fatti passare dal giardino per andare ad arricchire antiquari di grandi città e rigattieri locali.
Il Palazzo passò poi all’Università di Perugia, che ne completò la spoliazione e l’abbandonò alle ingiurie del tempo, con gravi danneggiamenti strutturali cui si è posto rimedio solo negli ultimi anni.
Io credo che Giacomo Matteotti, dal suo Paradiso, si sia addolorato anche per questa triste deriva. ◘
Paolo Dr. Ducci