Ci sono dei fatti di cronaca che devono far pensare e dovremmo chiederci cosa accade nel mondo degli adolescenti. Una ragazzina romana di dodici anni che passeggia nel parco è schiaffeggiata da una coetanea, buttata a terra da un’altra, presa a calci e pugni da un giovanissimo, più o meno della stessa età. Chi assiste alla scena non interviene, addirittura filma la sequenza col classico atteggiamento indifferente.
In questo tempo di pandemia in cui i ragazzi sono rimasti chiusi in casa davanti a un computer, non stupisce che l’esito finale sia il ricorso alla violenza e a gesti distruttivi. Fioriscono le baby gang di quartiere dove gli adolescenti si sentono vivi e si aggregano al gruppo dei coetanei. La ragazzina romana, da parte sua, aveva sconfitto la disabilità e aveva trovato nella danza la propria realizzazione. È bastata un’aggressione gratuita per ripiombarla nello sconforto e ferirla nella dignità. Ci sono delle piaghe che rimarginano a fatica solo dopo una lunga cura di tenerezza.
Per questo è importante appassionarsi agli ultimi, essere sensibili al dolore altrui. L’autorità dei sofferenti è il fondamento dell’etica, che consiste nell’assumersi responsabilità di fronte al volto dell’altro. Sono proprio loro a custodire il senso della vita e da loro bisogna ripartire per ricostruire la cultura. Forse il mondo adulto si è preoccupato di fornire ai giovani i beni primari, ma si è dimenticato di offrire loro le parole essenziali che sostengono la vita e li ha lasciati sprofondare nell’abisso della violenza. ◘
di Redazione l'Altrapagina