TEOLOGIA. L’altra metà del cielo: il percorso della teologia femminista
La teologia femminista come disciplina si è sviluppata negli ultimi decenni del XX secolo ma possiamo dire che essa è stata preceduta e in un certo senso generata dai movimenti nati a sostegno del suffragio femminile di fine Ottocento. Le donne che in Europa e negli Stati Uniti lottavano per il diritto al voto trovarono una forte opposizione soprattutto nel mondo delle Chiese, opposizione dovuta anche a una secolare interpretazione pregiudiziale delle Sacre Scritture. Fu Elizabeth Cady Stanton (USA) con il volume The Woman’s Bible del 1895 che dette avvio alla prima ondata di teologia femminista. Questo volume nacque dalla collaborazione di una commissione di studiose che, dopo aver selezionato i passaggi biblici riguardanti le donne, li ripulirono dalla scorretta traduzione inglese, aggiungendo un commento a ogni sezione. Molte delle intuizioni di questa opera furono ampiamente riconosciute e universalmente accolte, soprattutto la connotazione patriarcale e androcentrica delle Scritture, ma l’opinione pubblica non era ancora pronta a recepire le istanze di questo lavoro critico, che avrebbe potuto innescare processi concreti di emancipazione delle donne. Persino il movimento suffragista tradizionale prese le distanze dalle posizioni della Cady Stanton che fu costretta addirittura a una ritrattazione pubblica. Ciò segnò la fine della prima ondata di teologia femminista. Tuttavia alcune idee si svilupparono nonostante tutto e, anche se fino agli anni sessanta del Novecento non si ha traccia di alcun movimento ufficiale, molte donne continuarono in altri ambiti il percorso iniziato dalla Cady Stanton. Da allora moltissime abbandonarono i ruoli sociali loro prescritti assumendo compiti e ruoli tradizionalmente maschili e ciò sia nell’ambito civile che nella vita delle Chiese.
Nel 1949 fu pubblicato il libro di Simone de Beauvoir Le deuxième sexe, che ebbe grande risonanza soprattutto negli Stati Uniti e contribuì al crescere della seconda ondata femminista che si accompagnò, questa volta, a una estesa riflessione teologica delle donne. La riflessione femminista andò di pari passo con lo svilupparsi del pensiero teologico femminista e, mentre in ambito civile si assisteva a un progressivo emergere delle donne che conquistavano competenze e cultura, anche all’interno delle Chiese ci si preparava a un nuovo modello che si adattasse alla società moderna. Per le protestanti americane la seconda ondata di femminismo coincise con la possibilità di assumere ruoli di potere in molte denominazioni. Per le donne cattoliche il Concilio Vaticano II segnò l’inizio di una nuova era in quanto favorì il loro accesso agli studi teologici, ma fu anche fonte di delusione perché nelle varie sessioni conciliari le donne non furono minimamente ascoltate. Questa delusione e la conseguente riflessione furono raccolte in due importanti scritti che rappresentano la prima teologia femminista cattolica: Storm na de Stilte (1964) della studiosa olandese Catharina Halkes e La Chiesa e il secondo sesso (1968) della nordamericana Mary Daly. Possiamo dire che, anche se il movimento formale trae origine dal contesto nordamericano, la teologia femminista è sempre stata un fenomeno non uniforme e di portata internazionale. In primo luogo si ebbe una trasformazione all’interno del movimento in quanto le studiose femministe si accorsero che, mentre criticavano la teologia cristiana tradizionale che aveva escluso dalla sua visione il vissuto delle donne, il vissuto delle donne nere era stato escluso da un movimento teologico femminista molto bianco e molto eurocentrico. Così diverse studiose afroamericane produssero testi molto importanti introducendo nella disciplina teologica non solo le esperienze delle donne afroamericane del movimento femminista, ma anche le diverse esperienze delle donne nere date dalla schiavitù, dal forte svantaggio economico e dall’oppressione fondata su basi razziali. Ugualmente importante fu lo sviluppo delle prospettive teologiche delle donne dell’America latina tra le quali sono da ricordare, per la fama internazionale, María Pilar Aquino e Ada María Isasi-Díaz.
I movimenti di teologia femminista nel mondo si concentrarono in maniera specifica sulle esperienze delle donne nei loro contesti d’origine così che, ad esempio, in Asia non venne analizzata solo l’oppressione patriarcale, ma anche il modo in cui l’imperialismo coloniale ha influenzato questa parte del mondo. Inoltre nella riflessione delle teologhe femministe asiatiche pesa il contesto multireligioso nel quale si sviluppa e che si arricchisce della prospettiva di fonti non cristiane. Le studiose asiatiche più note, nell’ambito della seconda ondata di teologia femminista, sono Chun Hyun Kyung e Kwok Pui Lan. Anche nel lavoro delle teologhe femministe africane alcune caratteristiche della teologia femminista globale si mescolano con visioni intrinsecamente legate al contesto africano. Qui, infatti, l’esperienza del colonialismo e dell’imperialismo culturale, unita alla povertà e al maschilismo, ha portato a vedere il cristianesimo come una realtà liberante. Rappresentativa di questa visione è l’opera Daughters of Anowa di Mercy Amba Oduyoye (1995). Pur essendo partiti da una riflessione cristiana, i vari movimenti che hanno dato vita alla teologia femminista sono molto spesso di natura interreligiosa, come dimostrano vari studi in cui teologhe femministe cristiane, induiste, musulmane, buddhiste, ebree affrontano temi comuni relativamente alle proprie religioni come, ad esempio, in After Patriarchy: Feminist transformations of the World Religions (1991). Nella terza ondata le teologhe hanno posto più attenzione all’intreccio tra sessismo, classismo e razzismo, e, puntando sulla possibilità interpretativa di mettere in relazione il discorso su Dio con l’istanza femminista, si sono addentrate in un nuovo ambito di ricerca. Ecco perché il panorama che oggi ci viene consegnato non è affatto omogeneo, ma si presenta in maniera frastagliata in cui non è sempre agevole riconoscere le varie prospettive. In sostanza, però, le diverse metodologie e le diverse prospettive del movimento teologico femminista condividono questi due punti fondamentali: l’interesse per il “benessere” delle donne e la critica all’androcentrismo patriarcale che ha caratterizzato la tradizione cristiana. Buona parte della teologia femminista è infatti concorde sull’idea che la tradizione cristiana sia stata in gran parte forgiata da uomini e che non solo essa rifletta principalmente esperienze maschili, ma che riproduca e rafforzi realtà sociali che hanno posto gli uomini in posizioni di potere e privilegio rispetto alle donne. ◘
di Marcella Monicchi