Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore scientifico, durante un suo sopralluogo sui ghiacciai ha risposto alle nostre domande sul tema del clima.
Qual è la condizione climatica attuale del nostro pianeta? Di quanto sta aumentando la frequenza dei fenomeni estremi?
«Basta guardare gli ultimi rapporti sul clima per farsi un’idea della gravità del fenomeno. Tutti i parametri misurati sono abnormi. In Canada, all’inizio di luglio, la temperatura ha raggiunto i 49,6 gradi, in Scandinavia oltre il circolo polare 34 gradi, in agosto i 48,8 gradi a Siracusa, la temperatura più alta della Storia d’Europa; i satelliti del sistema europeo Copernicus hanno certificato il terzo luglio più caldo della Storia a livello globale, dopo quelli del 2019 e del 2016. Il Sesto Rapporto sul clima dell’Ipcc dell’Onu non lascia più dubbi: siamo in “codice rosso”, e questo per l’umanità rappresenta una grave minaccia. Pensiamo poi ai numerosi eventi che hanno colpito il nostro Paese: nubifragi in Liguria e in Sicilia, un numero sempre maggiore di eventi estremi accompagnati da raffiche di vento violente, trombe d’aria, grandinate, precipitazioni importanti, seguiti poi da periodi prolungati di siccità. Purtroppo questa è una tendenza prevista anche per i prossimi anni».
I devastanti incendi che hanno colpito varie parti del mondo, quanto possono accelerare la degenerazione climatica e ambientale?
«Gli incendi, naturalmente, sono l’effetto, prima ancora che la causa del riscaldamento globale. L’aridità delle foreste le rende più vulnerabili e favorisce la combustione, la loro distruzione aumenta il tasso di CO2, ma questa può essere compensata con la ricostituzione delle foreste stesse, anche se il processo richiede molti anni. Quella che non è compensabile è la CO2 generata dal consumo di risorse fossili limitate. Il petrolio, il carbone e il gas immagazzinati da milioni di anni nel sottosuolo non sono rigenerabili e purtroppo ancora oggi sono le risorse energetiche più utilizzate che aumentano l’effetto serra».
Vede reazioni apprezzabili e azioni concrete da parte delle istituzioni europee?
«Il Green new deal con cui l’Unione europea ha inteso programmare interventi è un buon proposito di economia verde, una bella slide con tante proposte sostenibili, ma adesso bisogna tradurle in realtà e questo non sta accadendo. Dopo la piccola diminuzione di inquinamento durante i lockdown del 2020, calcolata in media del 6%, tutto è tornato come prima».
Il Youth 4 Climate, l’incontro tenutosi a Milano tra i giovani delegati dei movimenti ambientali e i ministri dei vari Paesi occidentali, ha dato una spinta alle trattative o teme che l’istituzionalizzazione del movimento possa in qualche modo neutralizzarlo?
«Il rischio è concreto perché abbiamo osservato altre volte questo fenomeno. Si fa qualche manifestazione, le istituzioni mostrano una disponibilità all’ascolto, poi tutto passa nel dimenticatoio. Facciamo un esempio pratico: Draghi ha incontrato i giovani esprimendo loro sostegno, poi in Consiglio dei ministri ha cancellato l’Ecobonus per la ristrutturazione energetica degli edifici singoli. Era l’ultimo provvedimento da togliere, piuttosto andavano ridotte le spese militari, questo sarebbe stato un atto di intelligenza politica. Draghi avrebbe dovuto essere coerente e fare tesoro dell’incontro con i giovani».
Il ministro italiano per la cosiddetta “transizione ecologica” non sembra avere un curriculum o delle competenze adeguate, per di più ha resuscitato il doloroso tema dell’energia nucleare: cosa ne pensa?
«Non giudico sul curriculum, ma sui fatti e purtroppo, per ora, questa transizione è tutto meno che ecologica. Bisogna avere il coraggio di fermare quei processi che danneggiano il clima e l’ambiente, anziché parlare di energia nucleare, come ha fatto anche la von der Leyen in un pericoloso rigurgito di irrealismo, si dovrebbe investire sulle rinnovabili. La transizione ecologica si fa anche con una bella legge contro il consumo di suolo, che sarebbe utilissima per fermare la cementificazione e i rischi climatici che da essa derivano».
Si spinge molto sulla conversione elettrica delle auto, nonostante questa tecnologia presenti sin da ora costi ambientali e umani considerevoli. Per quale ragione lei ritiene che si stia procedendo su una strada così difficile?
«Io sono favorevole all’auto elettrica, ma come tutte le realizzazioni umane presenta pregi e difetti. I difetti sono ovviamente l’estrazione di minerali in Paesi con scarsi diritti in materia ambientale e del lavoro, ma si tratta di problemi sociali e operativi che non vanno confusi con le finalità e l’utilità. Se certi Paesi come il Congo sono gestiti in un certo modo, non è colpa nostra, piuttosto sarebbe opportuno che le Nazioni Unite decidessero di intervenire sui governi per sollecitare un risanamento. Ma questo vale per molti altri prodotti e servizi, pensiamo al tessile, o alla produzione di telefoni cellulari, i voli aerei, il cibo e la carne che crea deforestazione in Amazzonia e lesione dei diritti dei popoli indigeni. Mi sembra una bella ipocrisia puntare il dito sull’auto elettrica e trascurare tutto il resto che è causa di danni considerevoli, da tempo. Bisogna ripensare l’economia mondiale. Tecnologicamente parlando, è chiaro che le auto elettriche dovrebbero essere ricaricate solo con energie rinnovabili, non con energia prodotta da centrali a carbone, e si dovrebbe prevedere il riciclo obbligatorio delle batterie. Queste sono condizioni imprescindibili che renderebbero l’auto elettrica parte della soluzione. Ho un’auto elettrica da dieci anni e la ricarico con i miei pannelli solari, perciò quando circolo, realmente lo faccio grazie al sole».
Una raccomandazione che si sente di fare?
«Fare in fretta. Questo è il punto. Queste riflessioni sono tutte complicate e occorrono molti anni per risolvere questi problemi, questi anni non li abbiamo perché sono stati persi in chiacchiere. Le informazioni sono note dal ’92, dal forum delle Nazioni Unite di Rio, abbiamo avuto trent’anni di tempo per fare ciò che ora si tenta affannosamente di recuperare. È una punizione per aver trascurato e persino ostacolato questo processo di cambiamento». ◘
di Romina Tarducci